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 2013  gennaio 05 Sabato calendario

STEINBECK, UN NOBEL ARRIVATO AL NONO TENTATIVO —

Quando nel 1962 John Steinbeck vinse il Premio Nobel per la letteratura, la stampa mondiale protestò in coro. Un quotidiano svedese lo definì «uno dei più grandi errori dell’Accademia», mentre il «New York Times» si chiese perché la commissione del Nobel avesse premiato un autore «il cui limitato talento è, nei suoi migliori libri, annacquato da un filosofeggiare di bassa lega».
Interpellato sulla controversia, lo stesso Steinbeck si dichiarò sorpreso: «Francamente non credo di meritare questo Nobel», dichiarò in un’intervista. Dalle carte dell’Accademia di Svezia appena rese pubbliche (dopo essere rimaste come da tradizione top-secret per 50 anni) si scopre che anche per i giurati l’autore di Uomini e topi era stato un’ultima scelta: tra tutti i mali, quello minore.
Dei sessantasei scrittori candidati al Nobel per la letteratura nel 1962, c’era una short list che, oltre all’americano Steinbeck, includeva gli inglesi Robert Graves e Lawrence Durrell, il francese Jean Anouilh e la danese Karen Blixen. «Quest’anno il comitato del premio si trova in una situazione assai poco invidiabile», scrisse il giurato Henry Olsson, «perché non c’è nessun candidato che emerge in modo netto». Dalle carte appena declassificate, pubblicate dall’inglese «The Guardian», emerge che l’autrice de La mia Africa, la Blixen, era stata messa fuori gioco dalla morte, un mese prima dell’assegnazione, mentre Graves era considerato «soprattutto un poeta», pur avendo pubblicato diversi romanzi storici. In quanto a Durrell, Il Quartetto di Alessandria non fu giudicato un’opera abbastanza sostanziosa da meritargli il Nobel.
«Lo terremo in considerazione per il futuro», sentenziarono i giurati che l’avevano già bypassato l’anno prima perché «lascia un retrogusto equivoco a causa della sua preoccupazione monomaniacale per le complicazioni erotiche».
E Anouilh? La sua sfortuna fu di ritrovarsi stretto fra il Nobel assegnato nel 1960 al francese Saint-John Perse e quello vinto nel 1964 dal compatriota Jean-Paul Sartre, che la giuria di Stoccolma stava tenendo d’occhio già da diversi anni. Alla fine non rimaneva che Steinbeck. Anche se lo scrittore nato in California nel 1902 era stato nominato già otto volte, era opinione diffusa tra i professori svedesi che gli anni migliori erano alle sue spalle. Uomini e topi era uscito nel 1937, Furore nel 1939, Il cavallino rosso nel 1945, La perla nel 1947, La valle dell’Eden nel 1952.
Eppure l’uscita del suo nuovo libro, L’inverno del nostro scontento, nel 1961, riuscì a persuadere l’allora segretario permanente dell’Academy, Anders Österling, che fosse giunto il momento di accordargli il premio. «Dopo la pausa dei recenti anni Steinbeck ha riacquistato una posizione di scrittore realista e immaginativo, che unisce l’umore sensibile e la percezione sociale acuta», scrisse Österling, che lo giudicò «alla stregua dei suoi predecessori Sinclair Lewis ed Ernest Hemingway».
Nell’assegnargli finalmente il Premio Nobel, l’Accademia non lasciò trapelare i dubbi che l’avevano lacerata all’interno, citando Steinbeck come «il maestro della letteratura americana moderna». L’anno precedente i giurati avevano incoronato lo scrittore jugoslavo Ivo Andric, che batté J.R.R. Tolkien, eliminato «perché Il signore degli anelli non è in alcun modo all’altezza della grande letteratura di qualità».
Alessandra Farkas