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 2012  dicembre 30 Domenica calendario

FATE LARGO ALLE BADANTI, SE SIETE LIBERALI

Trent’anni sono il breve spazio di una generazione umana, il tempo necessario perché i figli diventino genitori, e i genitori diventino nonni. Ebbene, nel giro di appena trent’anni, la popolazione italiana ha vissuto una vera rivoluzione demografica che ha toccato tutti i momenti cardine della vita e mette in discussione l’organizzazione sociale e il sistema del welfare, come ho illustrato insieme a Guglielmo Weber nel libro Cose da non credere (Laterza).
Nel 2011 i matrimoni sono stati quasi 100 mila in meno rispetto al 1980, mentre continuano ad aumentare le coppie che vivono assieme senza essere sposate. Nel corso dello stesso trentennio, anche le separazioni legali sono fortemente aumentate: si può stimare che un matrimonio su quattro, fra quelli celebrati in Italia nel 2000, si concluderà con una separazione legale, mentre solo i coniugi di un matrimonio su venti, fra quelli celebrati nel 1970, si sono separati.
Per secoli, il nostro Paese è stato abitato quasi esclusivamente da gente radicata in Italia da generazioni. In appena trent’anni il numero di stranieri stabilmente residenti è passato da quasi zero a cinque milioni, con una velocità di crescita paragonabile — per i grandi Paesi europei — solo alla Spagna. Nel 2010 in Italia sono nati 80 mila bambini stranieri, e oggi più di un milione di studenti delle scuole italiane è straniero.
Infine, la popolazione anziana è aumentata ancora più rapidamente della popolazione straniera. In trent’anni, gli italiani con più di ottant’anni sono triplicati, tanto che oggi superano i tre milioni e 600 mila. La sopravvivenza degli anziani continua a crescere, e l’Istat stima che fra trent’anni gli italiani con più di ottant’anni saranno sei milioni e 600 mila, quasi il doppio di oggi.
Nell’ultimo capitolo di un bel libro appena uscito per Marsilio (Alle radici del welfare all’italiana) Maurizio Ferrera cita l’invecchiamento demografico come la causa dirompente delle tensioni a cui è stato sottoposto il welfare all’italiana: a partire dal 1992 (riforma delle pensioni varata dal governo Amato), la rapidità dell’aumento degli anziani ha costretto ad aggiustamenti sempre più decisi, finché i conti previdenziali sono stati messi in salvo con la riforma Monti-Fornero, che adegua in modo automatico e tempestivo il sistema ad (auspicabili) ulteriori incrementi della sopravvivenza. Il discorso di Ferrera va tuttavia esteso e approfondito, perché anche altri fra i citati mutamenti demografici mettono sotto stress il welfare all’italiana, come cercherò di illustrare nei due esempi seguenti.
La grandissima parte degli stranieri sono di condizione socioeconomica modesta, e non dispongono delle reti familiari alle quali può ricorrere la maggior parte degli italiani. Un recente intervento, che ho curato con Anna Giraldo ed Enrico Rettore per il Centro Studi Economici Antonveneta, mostra come la nascita di un bambino determini con frequenza assai maggiore l’abbandono del lavoro da parte della madre straniera, perché raramente ci sono nonni d’appoggio, perché gli stranieri più spesso hanno una visione tradizionale del ruolo materno, ma specialmente perché i servizi pubblici a buon mercato per l’infanzia sono pochi e difficilmente la coppia straniera può permettersi il nido privato. Di conseguenza, l’arrivo di milioni di stranieri ha stressato un’offerta di servizi pubblici per la prima infanzia già da prima deficitaria, creando una «guerra fra poveri» per l’ammissione ai nidi pubblici. E proprio le coppie straniere e quelle italiane di modesta condizione economica avrebbero maggior necessità di conciliare lavoro e cura dei figli piccoli. Infatti, nelle società contemporanee il lavoro di entrambi i coniugi è la migliore assicurazione contro la povertà dei bambini: se al crescere della famiglia la donna abbandona il lavoro, la famiglia stessa e i bambini rischiano di cadere in povertà; in secondo luogo, la socializzazione precoce ha effetti positivi e duraturi sulla capacità di apprendimento del bambino, specialmente per i figli delle famiglie economicamente e socialmente deprivate, come mettono in luce Daniela Del Boca e Alessandro Rosina nel recente saggio Famiglie sole (Il Mulino).
Anche la diffusione generalizzata dei nuovi tipi di famiglia e delle separazioni mettono in discussione un welfare tradizionalmente basato sul binomio coppia stabilmente coniugata e uomo lavoratore. Separazioni e divorzi possono creare madri, padri e figli poveri, soprattutto in assenza di una robusta rete di protezione familiare. Inoltre, ignorando i cambiamenti nei costumi coniugali, si determinano esiti paradossali. Ad esempio, nell’attuale formulazione dell’Isee (indicatore della situazione economica equivalente), il reddito e la ricchezza familiari vengono calcolati facendo riferimento ai soli soggetti coresidenti. Ma una coppia non coniugata può formarsi senza che i due partner risiedano legalmente assieme: in tal caso, quando nasce il figlio, la donna figura come madre sola, e il reddito e la ricchezza del padre non entrano nel calcolo dell’Isee: in questo modo, una misura nata per agevolare poche ragazze-madri favorisce oggi indebitamente molte coppie di fatto, penalizzando in modo ingiusto le coppie regolarmente coniugate, perché quasi sempre marito e moglie sono legalmente coresidenti.
Le sfide poste dalla nuova rivoluzione demografica possono essere ben affrontate con il neowelfare liberale, descritto il 16 dicembre su queste stesse pagine da Maurizio Ferrera. Questo nuovo approccio è basato su tre pilastri: creare per tutti pari opportunità; sollecitare le energie originarie della società secondo una logica liberale e anticorporativa; adottare un atteggiamento pragmatico, mettendo in soffitta le ideologie, anche se ciò non significa affatto dimenticare i valori alla base del welfare stesso, primo fra tutti la tensione verso l’uguaglianza delle opportunità. È opportuno aggiungere anche l’aggettivo razionale, per sottolineare l’importanza di armonizzare le decisioni con la ricerca scientifica e socioeconomica, in particolare quella che valuta con approccio statistico l’impatto delle decisioni politiche, come fanno Alberto Martini e Ugo Trivellato nel libro Sono soldi ben spesi? (Marsilio).
Di nuovo, un esempio può aiutarci a comprendere che significa mettere in pratica questi auspici. Le famiglie italiane hanno reagito all’incremento dei «grandi vecchi» ricorrendo all’assistenza domestica di donne straniere, le uniche disposte a garantire — a costi contenuti — l’assistenza costante necessaria per evitare il ricovero dell’anziano poco o non autosufficiente in una casa di riposo. Adottando un approccio pragmatico e anticorporativo, le assistenti familiari straniere non dovrebbero essere considerate un male necessario, una sorta di rimedio straccione rispetto al migliore dei mondi possibili (fatto forse di assistenti domiciliari stipendiate dal Comune, di case di riposo pubbliche a basso costo per tutti, e — per i più nostalgici — del ritorno all’assistenza garantita da figlie, nuore e nipoti nella vecchia famiglia allargata). Al contrario, queste signore dovrebbero essere considerate il frutto di una felice congiunzione storica fra la caduta del Muro di Berlino e l’aumento della sopravvivenza, per garantire agli anziani nuove (se non pari...) opportunità di fronte alla disabilità. Ogni sforzo dovrebbe rendere più semplice la vita sia per le signore sia per gli anziani assistiti: favorendo l’incontro fra domanda e offerta, semplificando le procedure di reclutamento, rendendo meno penosa la loro vita affettiva grazie a periodici ritorni in patria, offrendo realistiche possibilità di formazione professionale, e così via.
Insomma, lo Stato dovrebbe incoraggiare un fenomeno che in questi anni ha garantito qualcosa che tutte le ricerche suggeriscono essere auspicabile, ossia il permanere dell’anziano fra le pareti domestiche. Lo Stato — in questo specifico caso — non dovrebbe programmare né regolare, ma solo facilitare e incoraggiare. È un esempio fra i molti possibili, per mostrare come il neowelfare liberale e razionale possa permettere all’Italia di percorrere nuove strade per migliorare la qualità della vita, trasformando in opportunità le sfide poste dalla nuova rivoluzione demografica.
Non tutte le situazioni sono di così immediata evidenza e possibilità d’intervento. Tuttavia, una responsabile documentazione e un’istituzionale ricerca sociale e scientifica possono favorire la tempestiva visione della nascita di nuove pratiche sociali spontanee, cui dedicare immediata attenzione e razionale risposta.
Gianpiero Dalla Zuanna