Andrea Tarquini, la Repubblica 5/1/2013, 5 gennaio 2013
CORSIVI
Nelle democrazie più stabili e avanzate, accade che scontri legali tra cittadino e Stato esplodano per motivi singolari, difficilmente immaginabili altrove. In Islanda una ragazza di 15 anni ha fatto causa alle autorità perché queste hanno rifiutato di registrare il suo nome: Blaer, che in islandese vuol dire brezza leggera. Semplicemente perché Blaer non è nella lista dei 1712 nomi maschili e 1853 nomi femminili autorizzati dal registro ufficiale dei nomi dell’isola dei Geyser. Teoricamente, la legge del registro dei nomi aveva l’intento di difendere i bimbi da idee strampalate dei padri, ma anche nomi comuni altrove al nord come Carolina, Christa, Cesil cominciano con la C, e la C nell’alfabeto islandese non esiste. La guerra dei nomi di Reykjavik è decisiva, perché come forse sapete in islandese di fatto il cognome non esiste: dice solo che sei figlio (-son) o figlia (-dottir) di tuo padre. Anche il presidente della Repubblica, Olafur Ragnar Grimsson (figlio di Grim appunto) nell’elenco telefonico, come tutti, lo cerchi con il nome, e lo distingui poi da altri Olafur con quella specie di patrominico-cognome. Blaer è decisa a non mollare, ma per adesso sui documenti si chiama solo Stulka, ragazza.