Gabriele Villa, il Giornale 4/1/2013, 4 gennaio 2013
La guerra di San Patrignano Muccioli: «Ricattato dai ricconi» - Lo sfogo. Lo sfogo più amaro oltre 16 mesi dopo le dimissioni da tutti gli incarichi nella comunità di San Patrignano, fondata nel 1978 da suo padre Vincenzo
La guerra di San Patrignano Muccioli: «Ricattato dai ricconi» - Lo sfogo. Lo sfogo più amaro oltre 16 mesi dopo le dimissioni da tutti gli incarichi nella comunità di San Patrignano, fondata nel 1978 da suo padre Vincenzo. Andrea Muccioli ha voluto ieri affidare a Facebook la sua versione dei fatti sul suo abbandono della popolare comunità, destinata al recupero dei tossicodipendenti, che ha sede a Coriano, nel Riminese, e che attualmente ospita oltre 1300 ragazzi. E lo ha fatto con parole dure e tese come frecciate. Dirette agli storici sponsor e finanziatori della comunità, Letizia e Gianmarco Moratti. Senza mai nominarli, certo. Ma senza nemmeno usaregiri di parole che potessero suscitare qualche ambiguità nelle sue affermazioni. Ecco cosa scrive Muccioli in risposta ad un ex ragazzo di «Sanpà» che, come tanti altri, gli aveva chiesto di spiegare perchè avesse lasciato: «I ricconi frustrati che conosci hanno deciso di espropriare la comunità con un semplice ricatto: il posto dipende dai nostri soldi, o te ne vai via tu o noi interrompiamo immediatamente i finanziamenti e voi dovete chiudere nel giro di un mese ».Dunque,questa la tesi di Andrea Muccioli, «Un complotto preparato da tempo, rallentando il flusso delle donazioni per determinare un bel buco e dare al momento opportuno la colpa a me».Guardando al recente passato, non è un mistero che le dimissioni di Andrea, che guidava la comunità dalla morte del padre, avvenuta nel 1995, erano state già fatte risalire a «divergenze» sulla gestione e i bilanci di San Patrignano tra il figlio del fondatore e la famiglia di Letizia e Gianmarco Moratti. Ma adesso, nella sua sua durissima dichiarazione, sulla quale peraltro Letizia Moratti, da noi raggiunta telefonicamente ha preferito non esprimersi, Andrea Muccioli sostiene che «la scusa ideale» per costringerlo a lasciare la guida della comunità «è stata la famosa casa, quella che hanno fatto vedere ai giornalisti raccontando che ero fuori di testa e mi volevo costruire una reggia, dimenticandosì che per sette anni loro erano lì, a progettarla assieme a noi, ad arredarla con i loro architetti. E aggiunge: Mi sono sacrificato per provare a dare un’altra chance alla comunità. Ho rifiutato soldi e favori da parte dei ricconi, perché per avere sicurezze economiche per la mia famiglia avrei dovuto rinnegare la verità e affermare davanti a tutti che non c’era stato nessun complotto, che loro, i padroni, erano i continuatori ideali dell’opera di mio padre, che i loro dieci scagnozzi erano il gruppo dirigente ideale per la continuazione ». Difficile stabilire la vera verità se è vero come è vero che, ancora recentissimamente, proprio Letizia Moratti, in un’intervista così chiosava, mostrando il suo profondo attaccamento alla comunità: «Noi abbiamo vissuto questi anni a San Patrignano conoscendo ragazzi usciti dal carcere, con famiglie distrutte e esistenze rovinate, mi passano davanti mille volti, mille momenti. San Patrignano ha una intensità di vita che è difficilmente paragonabile alla vita quotidiana. Le esperienze che si fanno lì sono uniche, quante volte abbiamo incontrato ragazzi che potevano morire dopo poche ore e che ci hanno lasciato quando gli abbiamo trovato un lavoro e hanno riavuto la vita?». Per questo le parole, o, meglio, le accuse incalzanti di Andrea Muccioli suonano ancora più stridenti: «Se avessi voluto arricchirmi, o conquistare agi e potere, non avrei mai fatto la vita che ho scelto, perché, avendo vissuto accanto a mio padre per tanto tempo, sapevo ciò che sceglievo. Io ho la coscienza a posto e l’animo tranquillo di chi si è sempre comportato con trasparenza e onestà. Anche a 48 anni, senza lavoro, con un affitto da pagare e costretto a chiedere a mia madre un aiuto economico per mandare avanti la mia famiglia. Troppe falsità sono state dette ai ragazzi per costituire le presunte basi di una rinascita. Oggi in me c’è più serenità che amarezza. Ma non per risentimenti personali, per la preoccupazione che quel posto possa perdere la vocazione per cui era stato realizzato».