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 2013  gennaio 04 Venerdì calendario

La «presidenta» in crisi rilancia sulle Falkland - Non era mai successo nel­la storia dei rapporti in­ternazionali: un Paese che compera una pagina sui principali quotidiani di un altro per intimargli la cessione di un suo territorio

La «presidenta» in crisi rilancia sulle Falkland - Non era mai successo nel­la storia dei rapporti in­ternazionali: un Paese che compera una pagina sui principali quotidiani di un altro per intimargli la cessione di un suo territorio. Eppure, questa è l’ultima trovata di Cristina Fer­nandez de Kirchner, presiden­te dell’Argentina, per rilanciare le sue rivendicazioni su quelle isole Falkland (o Malvinas, nel­la sua versione), che nel 1982 un suo predecesso­re, il generale Galtieri, tentò invano di con­quistare con la for­za delle armi. «La invito - ha scritto la signora nella lettera aperta in­dirizzata al pre­mier britanni­co Cameron - a porre fine al co­lonialismo in tut­te le sue forme e manifestazioni, come previsto da una risoluzione dell’ Onu del 1960». Inutile dire che Londra ha respinto la richiesta a giro di posta, ribadendo che le Falk­land non sono mai appartenute all’Argentina e che comunque i suoi 3.000 abitanti, tutti di origi­ne britannica, hanno più volte espressolavo- lontà di resta­re sotto lo Union Jack. Per difen­dere i loro diritti, 31 anni fa Mar­ga­ret Thatcher spedì nell’Atlan­tico meridionale una poderosa forza aeronavale che in undici settimane di guerra cacciò dall’ arcipelago gli invasori, inflig­gendo loro una disastrosa sconfitta. «La posta in gio­co era alta - scrisse poi la Lady di ferro nelle sue memorie - . Quello per cui noi combattevamo a ottomila miglia dalla patria, non era solo il territorio e il po­polo delle Falk­land; difendeva­mo il nostro ono­re di nazione e il principio, fonda­mentale per il mon­do intero, che gli ag­gressori non devono mai prevalere». Con questi precedenti, è im­probabile che la Kirchner conti davvero che una lettera aperta basti a riaprire la vertenza. La ve­ra ragione della sua bizzarra ini­ziativa è che, dopo essere stata trionfalmente rieletta appena un anno e mezzo fa, è in vertigi­nosa caduta di popolarità e ha un disperato bisogno di distrar­re l’opinione pubblica interna dai problemi economici che stanno di nuovo mandando a fondo il Paese. Dopo otto anni di forte crescita, alimentata da­gli alti prezzi dei suoi prodotti agricoli sui mercati mondiali, l’Argentina - a causa soprattut­to della sua politica dirigista im­posta da un gruppo di giovani economisti marxisti - sta tor­nando ad essere la grande mala­ta dell’America Latina. Ormai da mesi, si susseguono scioperi e dimostrazioni di protesta (chiamate cacerolazos , perché i manifestanti per farsi sentire percuotono ritmicamente pen­tole e altri utensili da cucina), e il 21 dicembre si sono verificati i primi assalti ai supermercati da parte di folle inferocite per una inflazione del 25%, che sta ero­dendo il loro potere di acquisto. Ma la perdita di valore del pe­so non è la sola ragione di mal­contento: la corruzione ha rag­giunto livelli intollerabili, nel so­lo 2012 il 31% degli abitanti è sta­to vittima di qualche reato, il funzionamento dei servizi pub­blici peggiora di giorno in gior­no. Per finanziarsi, il governo at­tinge arbitrariamente ai fondi delle casse previdenziali e l’estate scorsa ha nazionalizza­to, senza indennizzo, la compa­gnia petrolifera spagnola Rep­sol, con il risultato di fare fuggi­re gli investitori stranieri. Intan­to, stanno venendo al pettine anche vecchi nodi, legati al de­fault di 81 miliardi di dollari che dieci anni fa colpì anche tanti ri­sparmiatori italiani. Un fondo americano che ha rifiutato il concordato con cui Buenos Ai­res ha cercato di chiudere il con­tenzioso pagando il 35% del suo debito ha ottenuto una senten­za che lo autorizza a chiedere la confisca di beni argentini all’ estero per un valore di 1,6 mi­liardi e due mesi fa è riuscito a far bloccare la nave scuola ar­gentina «Libertad» in un porto del Ghana. La reazione della presidenta è di ricorrere a metodi sempre più autoritari. Chi mette in dub­bio le false statistiche sull’infla­zione diffuse dal governo viene pesantemente multato. I critici del governo sono perseguitati dal fisco. Perfino una parte del movimento peronista che ha portato Cristina al potere le sta voltando le spalle. «La storia di ripete in maniera inesorabile ­ha commentato il New York Ti­mes- . Ogni dieci anni circa que­sto Paese, che sembra benedet­to da Dio per le sue risorse, si av­vita in una crisi; e quella che si sta preparando non avrà nulla da invidiare alle altre».