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 2013  gennaio 05 Sabato calendario

LA MATEMATICA CI RIPROVA: «ECCO PERCHE’ DIO ESISTE»

«Dio esiste, perché la matematica non è contraddittoria. E il diavolo esiste, perché non possiamo dimostrarlo», diceva il grande matematico André Weil. Ora un manoscritto di 70 pagine, datato 25 dicembre 2012 e intitolato Una dimostrazione divina della consistenza della matematica, prova una delle ossessioni della storia della logica.
Mostra infatti nei dettagli come, partendo dall’ipotesi dell’esistenza di Dio, si può dimostrare che la matematica non è contraddittoria. Forse, dunque, Dio c’è, ma il diavolo no. L’autore del manoscritto è Harvey Friedman, uno dei logici matematici più famosi, originali e prolifici. Da enfant prodigeprese un dottorato in matematica al Massachusetts Institute of Technology all’età di soli diciott’anni. Dopo essere stato immediatamente assunto dall’Università di Stanford, entrò nel Guinness dei Primati come il più giovane professore universitario della storia. In seguito ha insegnato matematica, filosofia e musica, essendo un ottimo pianista. Ed è andato a un soffio dal vincere nel 1986 la medaglia Fields: un onore che, finora, non ha arriso a nessun logico matematico, e che quell’anno andò per uno scherzo del destino al suo quasi omonimo Michael Freedman.
Non si tratta, dunque, di un crackpot, come molti svitati che provano a combinare fra loro teologia e matematica. E non era un crackpot neppure Kurt Gödel, il logico più famoso del Novecento, autore nel 1931 di un teorema sull’impossibilità di dimostrare la consistenza di un sistema matematico all’interno del sistema stesso: teorema che diede appunto a Weil lo spunto per la seconda parte del suo aforisma. E fu lo stesso Gödel a dimostrare nel 1941, e in una forma rimaneggiata nel 1970, un teorema sull’esistenza di Dio, che ha ora dato lo spunto alla dimostrazione di consistenza di Friedman relativa alla prima parte dell’aforisma.
Per capire di cosa stiamo parlando, dobbiamo fare un passo indietro di qualche anno: approssimativamente, un migliaio, e per la precisione, 935. Fu infatti nel 1077 che Anselmo d’Aosta inventò la cosiddetta “dimostrazione ontologica” dell’esistenza di Dio, che nella versione di Cartesio nel Discorso sul metodo,
del 1637, si riduce al seguente giochetto. Definiamo Dio come l’essere perfettissimo, alla maniera del Catechismo. Poiché l’esistenza è una perfezione, Dio avrà pure quella. Dunque, esiste.
Nel breve saggio del 1676 Sull’esistenza dell’essere perfettissimo, Leibniz obiettò che Anselmo e Cartesio se l’erano cavata un po’ troppo a buon mercato. Prima di poter dedurre l’esistenza di qualcosa da un ragionamento, infatti, bisogna almeno dimostrare che quel qualcosa è possibile. Nel caso di Dio, definito come essere perfettissimo, bisogna dunque dimostrare che è possibile che qualcuno abbia tutte le perfezioni. E la dimostrazione che Leibniz propose è che, essendo le perfezioni compatibili due a due, allora si possono considerare una dietro l’altra, dimostrando alla fine la compatibilità di tutte.
Quando Gödel vide questa supposta dimostrazione, gli si drizzarono i capelli. In matematica e in logica, infatti, non basta che certe proprietà siano compatibili fra loro due a due, affinché lo siano tutte insieme! Ad esempio, ci sono numeri maggiori di qualunque coppia di interi, ma questo non significa affatto che ci siano numeri maggiori di tutti gli interi.
Gödel decise di vedere se si poteva in qualche modo rimediare all’errore di Leibniz. Sostituì anzitutto le imprecise “perfezioni” di Cartesio con precise “proprietà positive”, definite in analogia con la positività dei numeri, appunto. In particolare, postulò che le proprietà positive avessero le caratteristiche logiche corrispondenti a questi ovvi fatti aritmetici: primo, il prodotto di due numeri positivi è positivo; secondo, lo zero non è un numero positivo; terzo, dato un numero diverso da zero, o lui o il suo opposto sono positivi; e quarto, un numero maggiore di un numero positivo è anch’esso positivo. Insiemi di proprietà aventi queste caratteristiche sono ben noti in logica e in matematica, e si chiamano “ultrafiltri”.
Gödel definì Dio come un “essere positivissimo”, cioè avente tutte le proprietà positive. E dimostrò facilmente che, nel caso di un universo finito, Dio esiste e
ha esattamente tutte e sole le proprietà positive. Il caso di un universo infinito è più complicato, ma Gödel dimostrò che anche in quel caso Dio esiste, purché si
faccia un’ipotesi aggiuntiva: che “essere Dio” sia anch’essa una proprietà positiva.
L’ipotesi è controversa, naturalmente, visto che un seguace della teologia negativa, o un ateo, potrebbero pensare esattamente il contrario. Ma, soprattutto, l’ipotesi aggiuntiva rende banale la dimostrazione, perché equivale a dire che le proprietà positive sono appunto tutte compatibili fra loro: dunque, è solo un modo mascherato di postulare che l’essere perfettissimo esiste.
Fin qui Gödel, di cui si possono trovare l’articolo originale, e una serie di spiegazioni e commenti, nel libretto La prova matematica dell’esistenza di Diocurato
da Gabriele Lolli e me, pubblicato dalla Bollati Boringhieri nel 2006. Di qui in poi Friedman, che come egli stesso ricorda nell’introduzione del suo lavoro, in quello stesso 2006 partecipò, nel centenario della nascita di Gödel,
al grande convegno di Vienna sponsorizzato tra gli altri dalla Fondazione Templeton: la stessa che assegna ogni anno l’omonimo premio per «il progresso verso la ricerca o la scoperta di realtà spirituali».
A quel convegno Peter Hajek ed io tenemmo due conferenze sulla dimostrazione di Gödel dell’esistenza di Dio, e Friedman ricorda di «aver trovato particolarmente sorprendente l’uso delle proprietà positive», sia per le implicazioni etiche della parola “positivo”, che per la connessione matematica con gli ultrafiltri. Questi ultimi, infatti, se hanno certe particolari proprietà (ad esempio, se sono “numerabilmente completi”), permettono dimostrazioni di consistenza di sistemi formali anche molto forti, come quelli usati normalmente nella teoria degli insiemi (ad esempio, il sistema ZFC di Zermelo e Fraenkel, con l’assioma di scelta).
Il problema era che l’ultrafiltro usato da Gödel, come si è detto, è banale. Si trattava dunque di trovarne uno che fosse teologicamente rilevante come quello, ma allo stesso tempo matematicamente non banale, in modo da permettere una dimostrazione di consistenza. Il modo per farlo (che è troppo complesso per essere riassunto qui) venne a Friedman al congresso di Heidelberg su
Il dialogo tra scienza e religione: passato e futuro
dello scorso ottobre, in onore del centenario
della nascita di John Templeton.
Con il suo risultato, egli diventa ora un naturale candidato per il premio Templeton, che è per statuto più ricco del premio Nobel: un milione e centomila sterline! La cosa non cambierà molto il suo conto in banca, visto che suo padre morendo lasciò dieci milioni di dollari a ciascuno dei tre fratelli. Ma poiché Friedman ha tenuto per trentacinque anni una cattedra nell’Ohio, quando poteva averne dovunque, perché gli offriva la possibilità di essere il matematico più pagato d’America, si può forse pensare che la sua ricerca abbia comprensibilmente avuto anche qualche motivazione terrena, oltre ovviamente a quelle celesti.