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 2013  gennaio 05 Sabato calendario

LO SHOPPING POLITICO DEL QATAR

Prima la partecipazione in Tiffany nel polo del lusso Louis Vuitton, poi le mani sul calcio con il Paris-Saint Germain, quindi il pro­getto per una riqualificazione delle banlieue francesi, 100 mi­lioni di euro solo per comin­ciare, un quarto di quello che Hamad Bin Khalifa Al Thani ha stanziato per costruire un’au­tostrada nella Striscia di Gaza e un trentesimo di quello che l’emiro del Qatar, signore indi­scusso di uno Stato del Golfo grande più o meno come la Corsica ma con un reddito pro capite di oltre 98 mila dollari – quasi il triplo di quello france­se e italiano, il doppio di quel­lo americano – intende inve­stire per costruire una città sa­tellite che porterà il suo nome nella sovraffollata enclave pa­lestinese.
Non stupirà dunque che un global player come il Qatar che annualmente destina dai 15 a 25 miliardi di euro per fare shopping in tutto il mondo ab­bia acquistato tramite la sua ammiraglia al-Jazeera la pic­cola ma seguitissima tv via ca­vo americana Current Tv, e­mittente indipendente fonda­ta dall’ex vicepresidente Al Go­re e destinata a chiamarsi tra breve Al Jazeera America, con il proposito dichiarato di rag­giungere 40 milioni di case a­mericane.

Ma se la strategia di penetra­zione globale del Qatar sul fronte finanziario che poggia su un fondo sovrano da 60 mi­liardi di euro (con le vistose e quasi sfrontate acquisizioni in­ternazionali, dai magazzini Harrod’s a Londra alla Mira­max a New York, dalla casa di moda Valentino a Milano alla Costa Smeralda in Sardegna, dallo strapagato acquisto de­gli Airbus a Parigi al 17% di Volkswagen) è nota, le più profonde ambizioni dell’emiro sono ben altre. Non solo lo shopping, bensì un ruolo poli­tico a livello planetario, sa­pientemente veicolato dalla sua tv satellitare, quella al-Ja­zeera che esordì nel 1998 con l’operazione Desert Fox in Iraq e che da allora si è rivelata – mercé anche a partire dal 2006 l’edizione in lingua inglese – u­na delle più credibili e seguite emittenti mondiali.

Benché avesse gettato le basi già nel 2003 ospitando a Doha il quartier generale della spe­dizione anglo-americana nella guerra che portò alla caduta del regime di Saddam Hussein, Al Thani è entrato nel grande gioco internazionale con la ri­voluzione libica del 2011, in­viando aerei, denaro, istrutto­ri. Il suo apporto nel rovescia­mento del regime di Muham­mad Gheddafi è stato decisivo: i poveri disorganizzati shabab di Bengasi e i pur ardimentosi guerriglieri Zintan e Warfalla mai avrebbero potuto prevale­re sull’esercito regolare libico senza l’appoggio aereo della Nato ma soprattutto senza i consiglieri militari qatarioti sul campo.

Solidamente filo-occidentale (la sharia è molto blanda a Doha, l’alcol è tollerato, le don­ne non hanno obbligo di velo), Al Thani flirta con l’esausto vecchio mondo (comprando­selo e insieme tessendo eccel­lenti relazioni, anche con l’Ita­lia) mentre strizza l’occhio al mondo arabo, allo scopo di al­lontanarlo dall’influenza scii­ta dell’Iran (Hamas è ormai un ottimo cliente del Qatar, i ribelli siriani anti-Assad lo stanno di­ventando, Hezbollah potrebbe seguirli a breve) e radunando­lo sotto l’accogliente ombrello sunnita. Con un piccolo parti­colare che l’Occidente finge di non vedere perché ne ricava un tornaconto politico, oltre che finanziario: accanto allo shop­ping di aziende, marchi e grif­fes, Al Thani finanzia e sostie­ne dovunque le organizzazio­ni salafite, esattamente come fanno i sauditi. Dal Marocco al Mali, dall’Egitto all’Indonesia, il marketing religioso di Doha e Riyad non conosce battute di arresto. Con i rischi – l’integra­lismo, i conflitti interreligiosi – che non è difficile immaginare nel prossimo futuro.