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 2013  gennaio 05 Sabato calendario

CARCERI, COSTI ALLE STELLE SENZA RISULTATI

Spendiamo per detenuto più della Francia, il doppio della Spagna, due volte e mezzo quanto investito dagli Stati Uniti. Dipendesse solo dal budget, la gestione del sistema penitenziario dovrebbe essere un fiore all’occhiello del nostro Paese. Eppure non è così.
L’affollamento e il tasso di suicidi (uno ogni mille detenuti) continuano a essere dolorose piaghe delle carceri italiane.
Nel mondo, le più costose sono Guantanamo e Halden (la prigione norvegese preparata ad ospitare Breivik, il terrorista di Utoya); «il prezzo della cella» – si intitola così l’analisi realizzata da «Le Due città», periodico del Dap – è rispettivamente di 52mila e 12mila euro al mese.
L’Italia si ferma a quota 3.511 euro a detenuto: 3mila solo per pagare la Polizia penitenziaria e il personale civile. Tra le voci minori, il vitto e il materiale igienico per i carcerati (137 euro). Appena 20 euro per la manutenzione – ordinaria e straordinaria – delle strutture.
La spesa, alla fine, è inferiore a quella sostenuta da Nuova Zelanda (5.929 euro a detenuto) e Regno Unito (4.684), ma più alta di quella francese (3.110) spagnola (1.650). Più elevata persino di quella degli Stati Uniti, che pure – rivela l’indagine – sono arrivati a destinare «più fondi alle carceri piuttosto che all’istruzione» e hanno visto «esplodere del 570% negli ultimi venti anni la spesa per il sistema penitenziario nazionale». Nelle prigioni di New York, prosegue lo Studio del Dap, «ogni recluso ha un costo medio annuale che supera i 40mila euro: il che significa che ogni cittadino della Grande Mela versa ogni anno attraverso la tassazione 100 euro da destinare alla gestione dei penitenziari cittadini». Eppure, complessivamente, gli Usa si fermano a 1.433 euro a detenuto: nonostante il boom di spese, restano sotto.
Alla quantità di risorse, però, non corrisponde automaticamente un miglioramento delle condizioni dei detenuti. Parlano sempre i dati, stavolta quelli del Consiglio d’Europa.
Nel 2009 si sono suicidati in Spagna 4 prigionieri ogni 10mila. In Italia (che, abbiamo visto, spende il doppio per la gestione del sistema penitenziario), ben 9,1. Meno della Francia (maglia nera in Europa, con 17,6), ma più di Germania, Austria, Polonia, Regno Unito.
Dietro ai numeri, le storie, le persone. Ciro, che dopo aver rubato qualche secondo ad un agente con una scusa («Ho bisogno di fumare, mi vai a prendere un accendino?») si è impiccato con le lenzuole alle sbarre della cella. O Sascha, che a 24 anni si è tolto la vita nel bagno della cella. Più tutti gli altri. Più i 10 poliziotti penitenziari che, ogni anno, si lasciano andare alla disperazione.
L’Italia, rileva una elaborazione del Centro Studi di Ristretti Orizzonti, «detiene il record del tasso di sovraffollamento penitenziario in Europa e, allo stesso tempo, presenta lo ’scarto’ maggiore tra suicidi dentro e fuori dal carcere: difficile pensare che non esista un rapporto tra affollamento delle celle, riduzione della vivibilità e elevato livello di suicidi». Cresciuto «del 300%», prosegue lo studio, dagli anni ’60 ai giorni nostri. I motivi?
Quarant’anni fa «i detenuti erano prevalentemente criminali professionisti (che mettevano in conto di poter finire in carcere ed erano preparati a sopportarne i disagi), mentre oggi buona parte della popolazione detenuta è costituita da persone provenienti dall’emarginazione sociale (immigrati, tossicodipendenti, malati mentali), spesso fragili psichicamente e privi delle risorse caratteriali necessarie per sopravvivere al carcere».
E per sopravvivere anche alla vita dopo il carcere. Formare i detenuti a un lavoro è uno strumento che può favorire il loro reinserimento nella società.
Ma la percentuale di detenuti lavoranti, stando ai report pubblicati dal Ministero della Giustizia, ha toccato in Italia i minimi storici: a giugno 2012 risultavano occupati 13.278 carcerati su 66.528, il 19,96%. Nel 2008 si superava il 24%, nel 2006 il 30%. In Toscana risultano occupati appena 58 dei 174 posti disponibili, in Campania 32 posti su 190. Nel settore «sartoria/calzetteria/maglietteri a» gli istituti penitenziari d’Italia avrebbero spazio per 309 lavoratori. Quelli effettivi sono però appena 80.
E l’impressione è che, alla fine, ad avere bisogno di un rammendo sia proprio il sistema-carcere.