Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2013  gennaio 05 Sabato calendario

«DALLA POLITICA ALLA LUNA, ORA VIVO CON STENDHAL»

Cappottone e sciarpa sono già in valigia, il colbacco Luciana Castellina progetta di acquistarlo in loco, anche se poi scoprirà che attualmente al Circolo Polare Artico è più facile trovare un panama che non un copricapo di tal fatta: la bellissima fondatrice del «Manifesto» è partita in treno per il suo transito più lungo, la Siberia, con libri e bagagli, l’amato tablet e tanti e-book. Quest’avventura in Russia - dove per la prima volta era stata nel 1957 («allora non mi capacitavo che Mosca fosse così diversa dal resto del mondo. Poi capii. Non c’era nemmeno un cartellone pubblicitario») - la Castellina l’ha descritta nel suo ultimo, delizioso libretto, Siberiana : «E’ la stata la curiosità a spingermi verso questi spazi veramente immensi… Anche se la mia permanenza è stata breve ho cercato di capire quella che Viktor Pelevin chiama la “generazione P” (ovvero PepsiCola) che, dall’alcolismo alla droga, al rapporto con la malavita, in quanto a trasgressioni non si è fatta mancare niente. I ragazzi di San Pietroburgo di Sergej Bolmat mi ha illuminato sull’inclinazione per la violenza fine a se stessa e Zachar Prilepin, con Patologie, mi ha fatto scoprire l’impatto della guerra in Cecenia. Quando sono rientrata a Roma, ho preso in mano la bellissima biografia di Emmanuel Carrère dedicata a Limonov, idolo dell’underground sovietico, clochard e capo carismatico di un partito di giovani barbudos y desperados. Per questo viaggio ho voluto anche ripercorrere le tappe della rivoluzione d’ottobre: mi ha aiutato la Storia della rivoluzione russa 1917-1921 di William Henry Chamberlin, un vecchio volume di mio padre». Era ricca la biblioteca di fami­glia? «Dipende da quale famiglia. Io di papà ne ho avuti due, quello naturale e il secondo marito di mia madre. Con entrambi ho avuto un ottimo rapporto: il primo non era dedito alla lettura e il secondo era un bibliofilo che si faceva consegnare a casa casse di tomi freschi di stampa. Però la mia strada verso la cultura non è stata lastricata di libri».

Di cosa allora? «Nel dopoguerra dipingevo e la mia fonte intellettuale erano le mostre che mi facevano scoprire Picasso, il surrealismo, la Scuola romana e, sempre tramite le esposizioni d’arte, l’antifascismo e la Resistenza. Frequentavo il famoso Tasso, avevo come compagni Citto Maselli, Sandro Curzi, Lietta Tornabuoni. Erano colti, intelligenti, comunisti, dirigevano il circolo del Liceo classico: timidissima decisi di fare il mio esordio con una conferenza sul cubismo e me la cavai in maniera egregia. Per fare propaganda imparavo a memoria slogan oscuri di cui capivo a malapena il significato».

Luciana Castellina è nata a Roma

nel 1929 Quali? «Si iniziò la campagna per la riforma scolastica e gridavamo ai quattro venti che “bisognava liberare la scuola dai canoni crociani”. Che voleva dire? Quella oscura dizione mi risuona ancora nelle orecchie… Poi però lessi il libro di Nello Rosselli su Carlo Pisacane e capii che si poteva fare la storia del Risorgimento senza essere seguaci di don Benedetto». Ilcinema?Nonèstatounaltroca­ posaldodellasuaformazione? «Da ragazza, a Verona, frequentavo il Cineguf dove proiettavano anche film piuttosto belli e non allineati con il regime; nel dopoguerra passai ai Cineclub. Ad aprirmi gli occhi su quella che doveva essere la vocazione più moderna degli artisti fu Toti Scialoja sulla rivista Mercurio di Alba de Céspedes in cui teorizzava l’impegno e l’arruolamento in politica degli intellettuali. Mentre a introdurmi alla cultura degli Stati Uniti, Americana , fu la bellissima antologia di autori d’oltreoceano di Vittorini». Quando andò a dirigere la rivi­sta «Nuova generazione» a lei passò il testimone, ovvero il compito di stimolare i ventenni comunisti alla lettura. «La mia vita si complicò: frequenti erano gli scontri con Mario Alicata che, per esempio, detestava gli articoli di Alberto Asor Rosa che io pubblicavo volentieri. Non apprezzò nemmeno il battage in favore di Pasolini e dei suoi Ragazzi di Vita ». Finalmente arrivarono gli anni Sessanta. «Finalmente. Un decennio sorprendente. Si potevano incontrare personaggi del calibro di Andrè Gorz e Perry Anderson della New Left Review, gli autori prediletti dal movimento studentesco, Marcuse e Chomsky. Con la fine di questo decennio dorato mi immersi in una dura corvéé».

Cosa accadde? «Con la nascita del giornale Il Manifesto era tutta una corsa contro il tempo, il quotidiano doveva chiudere alle 17, veniva caricato su un pulmino scassato e portato a Milano per essere distribuito nel Nord. In quegli anni era difficile dedicarsi ai libri. Frequentavo le periferie, le borgate, i cancelli di Mirafiori. Prima ancora quando avevo incontrato Alfredo Reichlin, il mio futuro marito, mi era sembrato che lui appartenesse a un universo a me sconosciuto. Era un giornalista dell’Unità e aveva occasione di frequentare ambienti culturali a cui io non avevo tempo di dedicarmi». Piazza del Popolo, il bar Rosati, le soste notturne di scrittori, re­gisti, pittori, da Moravia a Felli­ni a Schifano, era la fucina del­ l’intellighentia italiana. Parteci­ pava? «Macché. Io mi occupavo di sindacato. Loro erano veramente la luna. Adesso sono sbarcata anch’io su quel pianeta e mi godo, direbbe Proust, il tempo ritrovato, mi dedico, incredibile ma vero, alla passione d’amore, da Lucien Leuwen di Stendhal ad Anna Karenina. Ho cominciato a leggere su questo argomento per una conferenza e non ho più smesso» .