Fabio Poletti, La Stampa 5/1/2013, 5 gennaio 2013
IL VENTENNE ALLA MODA SEDOTTO DALLA CURVA
Abbiamo fatto una cazzata, ma tutto quello che è successo dopo è un’esagerazione...». Non ci sta a passare alla storia come il razzista numero uno questo ragazzino, classe 1992, vent’anni compiuti da poco, orecchino e zazzera alla moda, la sciarpa bianca e azzurra sempre al collo e adesso la fedina penale nera d’inchiostro con quell’accusa infamante di istigazione all’odio razziale. Quando i poliziotti del commissariato di Gallarate sono andati a prenderlo a casa dove vive ancora con i genitori non ci voleva quasi credere. E invece cercavano proprio lui, immortalato dalle telecamere dello stadio Carlo Speroni dove poco prima, insieme al solito gruppo di amici, aveva dato il peggio di sé insultando l’attaccante milanista
Boateng, la sua fidanzata Melissa Satta e un paio di altri calciatori stranieri nell’amichevole Pro Patria-Milan.
«Non sono stato io a cominciare, ma poi mi sono fatto trascinare...», gioca in difesa questo ragazzino impaurito davanti al pubblico ministero di Busto Arsizio Mirko Monti che snocciola la gravità delle accuse, parla di legge Mancino e di Daspo, il provvedimento di interdizione allo stadio, il babau degli ultrà di mezza Italia. A vent’anni - il diploma preso con fatica, qualche lavoretto quando capita, l’unica tessera in tasca quella del tifoso, zero politica, zero interessi a parte la domenica allo stadio - c’è poco da scherzare. Alla fine è lui che fa il nome degli altri cinque amici dello stadio, questo stadio senza curve e gli spalti dritti dove gli ultrà che una volta erano duecento e anche di più e si chiamavano Commandos Tigre, adesso si trovano in un gruppetto che non ha nemmeno un nome.
«Abbiamo gridato contro El Shaarawy, Muntari, Boateng e la sua fidanzata Melissa Satta, soprattutto contro la sua fidanzata Melissa Satta...», mette a verbale questo ragazzino finito al commissariato dopo che sono andati a prenderlo gli agenti della Digos che in casa gli hanno trovato la tessera del tifoso, l’abbonamento degli ultimi anni allo stadio e qualche giornale sportivo.
Il magistrato che lo ha sentito, Mirko Monti, giovanissimo di Procura, faccia da ragazzino pure lui, aspetta i fascicoli degli altri ultrà identificati: «Non hanno precedenti penali, il primo che ho sentito non aveva mai ricevuto interdizioni a frequentare lo stadio... Alla fine ha la stessa età di El Shaarawy... Ma come Procura dobbiamo intervenire anche per evitare che questi episodi si ripetano». Gli amici dell’unico indagato, gli altri ultrà biancoazzurri della Pro Patria, vorrebbero che questa storia finisse qui, senza strascichi giudiziari. «Sono ragazzini spaventati. Di questa cosa che capita ogni domenica in ogni stadio ne ha parlato pure il New York Times... Hanno sbagliato, ma perché Boateng non ha mai avuto la stessa reazione durante un derby o in un incontro di Champions? Il giorno che lo farà, avrò rispetto per lui», minimizza Cristiano, il leader storico degli ultrà della Pro Patria, 42 anni di cui 25 passati allo stadio.
«Volevamo fare un comunicato. Preferiamo essere dimenticati», insiste lui al telefonino, la linea di difesa minimalista di tutti in questa città . «Io li ho sentiti allo stadio. Erano di fronte a me. Ululavano soprattutto contro Melissa Satta, la fidanzata di Boateng...», giura lui come se il razzismo declinato al femminile fosse meno peggio di quello che nasce dal colore della pelle. Al punto da insinuare che in quei cori vergognosi ci fosse pure il risentimento verso questi ventenni milionari con donne bellissime che giocano al pallone, un gioco in cui gli ultras non si riconoscono più da tempo.