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 2013  gennaio 04 Venerdì calendario

I POETI DEL TRULLO

«Chi ha detto che il Trullo è una borgata abbandonata? Le grida della quieta partitella, la muta primavera, non è questa la vera Italia, fuori dalle tenebre?» Sono versi di La Partitella. Pasolini scrive la poesia nel 1963, dopo avere giocato a pallone con alcuni ragazzi del Trullo, tra Monte delle Capre e Montecucco, nella periferia romana, dove tornerà tre anni dopo per girare Uccellacci e uccellini.
Quella che stiamo per raccontare è una storia più recente, ma con quella Partitella ha molto a che fare. Inizia al Trullo nel 2010, quando due ragazzi s’incontrano davanti alla chiesa di San Raffaele. Sono amici d’infanzia, piuttosto diversi tra loro: il primo è appassionato di Pasolini, il secondo del gruppo hip hop Colle der Fomento, uno studia Lettere e l’altro spaccia droga. Sono Inumi Laconico ed Er Bestia.
Inumi riesce a convincere l’amico d’infanzia a scrivere qualche verso. «Provaci, che ti costa?» gli avrà detto. Er Bestia, che aspira a fare il rapper, prende carta e penna e produce Rapina: «Lo sapevamo bene ch’era ’na cazzata/ma era necessario... io ve l’assicuro./ In fondo che è ’na rapina a mano armata?/ Un modo pe’ ingrana’ ’sto schifo de futuro...» è l’attacco della sua prima opera.
In poco tempo Er Bestia passa dalle sostanze stupefacenti alle rime e presto i suoi versi si ammantano di altro contenuto: «Du’ libri s’è comprato! Ma che dici è ’na follia/ Er Bestia sai pe’ libri c’ha na certa riluttanza./ E invece ve sbajate, sarà pure ’na pazzia/ ma non voglio più restace e dentro l’ignoranza». Sarebbe già un grande risultato per Inumi, ma il ragazzo ha in mente qualcosa di più grande.
Il luogo dove è nato e cresciuto è nella cronaca nera almeno cinque volte l’anno, tra sparatorie e rapine. Dal Trullo Inumi ha già provato a scappare per accorgersi che l’isolamento della periferia gli resta dentro, ovunque vada. È giovane e vuole cambiare il Mondo, almeno il suo. Forse Er Bestia gli ha fatto ascoltare i Colle der Fomento che cantano «Perché quando le tue idee sono giganti/ puoi risollevarti, puoi resuscitarmi» e l’idea gigante di Inumi consiste nel pensare questo: l’arma per il cambiamento è la poesia.
Per capire da dove venga un’idea tanto eccentrica occorre tornare a una Partitella, giocata da un intellettuale contro dei ragazzi di borgata, ormai invecchiati. Uno di loro è il nonno di Inumi. «So’ io Accattone! Da Ponte Sisto, ner Tevere me ce buttavo davero!» ripete. Il nonno ha raccontato spesso al nipote del giorno in cui ha avvistato Pasolini. «Fèrmete, a Pa’, da du’carcico’nnoi!». Lo ha detto per ridere, ma Pa’ si toglie veramente la giacca e si mette a giocare con lui. Non solo. Nella Partitella, descrive quel ragazzo di borgata come un poeta che gli corre incontro, su quel prato, dalla Storia. Quel giorno al Trullo Pier Pa’ ha seminato qualcosa, segno che non sempre una discesa in campo rade gli animi al suolo.
«Il Trullo è un luogo della mente. Tor Pignattara, Tor Bella Monaca, Torre Angela, le periferie sono ovunque» pensa Inumi e, non contento di avere salvato un amico, vuole creare un Movimento. «Quanno capiremo che noi semo er futuro/ avremo già buttato giù qualunque muro./ Quanno capiremo che noi semo potenti/ staremo già cambiando er corso degli eventi» scrive.
Presto a Er Bestia si aggiunge Marta del Terzo Lotto, nata nel 1987 e amante dei classici greci e latini: «Adesso che Amore conosco ed apprezzo/ Adesso mi uccide l’estraneo tumore.../ Felicità, è questo il tuo prezzo». Poi arriva Er Quercia e subito dopo ecco Er Finto che, nonostante sia nato a Roma nel 1990, non passa il tempo a mettere lucchetti a Ponte Milvio, giurando compulsivamente amore eterno ora a una bionda ora a una mora, ma scrive: «Mbè che c’è de male/ Se accenno sur canale/ E spizzo quello bello/ Che sta ar Grande Fratello?/ De male nun fai gnente./ Ma se sei intelligente/ A chi parla butta ’n occhio./ Senti er Grillo, no Pinocchio!».
Con Er Parco e ’A Gatta Morta, si forma un gruppo che si da il nome di Poeti der Trullo. Sono sette.
Il numero è un omaggio ai re e ai Colli di Roma, ma siamo lontani dal Campidoglio e dal Palatino. Siamo, appunto, a Montecucco e Monte delle Capre, dove un antico sepolcro romano, il Trullo Dei Massimi, convive con l’edificio chilometrico del Corviale, una stortura paesaggistica così riuscita da alterare la direzione del vento. «Lunghi corridoi infiniti, dove risuona l’eco delle ansie, cemento sporco e anfratti come celle in cui succede tutto, in cui ho visto tutto». Cosi Er Farco descrive il Serpentone, di cui occupa abusivamente una casa fin da bambino. Non deve essere stata una grande infanzia, quella di Er Farco, nemmeno prima di essere inquilino abusivo: «I giochi da fa’ so’ sempre gli stessi/ sempre più solo ar decimo lotto/ Me s’avvicina quel ragazzetto./ Dorci parole, sguardi dimessi». Ovviamente né Inumi Laconico né Er Bestia o ’A Gatta Morta sono i veri nomi dei poeti. L’anonimato è per i sette una faccenda seria: la poesia è ancora cosa rara al Trullo e in borgata i poeti preferiscono non farsi individuare. Del resto la loro è una guerriglia urbana: le poesie sono scritte sui muri, anche se con pennarelli lavabili, e l’opera dei sette è come una mostra a cielo aperto finché non passa l’Ama, l’azienda municipale addetta alla pulizia. Il collettivo ha regole ferree, tra cui «non si toccano i monumenti» e un’idea originale, che l’antipolitica abbia bisogno di poesia oltre che di «vaffanculo». Un patto iniziale prevede che solo Inumi ed Er Finto possano incontrare i curiosi ed eventualmente accompagnarli, come hanno fatto con noi, nella borgata deserta.
Raffinato nel pensiero e nella rima, Inumi lo è meno nella guida: nell’ansia di mostrarci tutto fa di continuo retromarcia in un paese di 28 mila abitanti. «Posso scrivere che ti sei perso al Trullo?» chiedo. Risponde Er Finto: «Scrivi che se sto a fa’ tutto Viale Ventimiglia ‘n contromano».
Tra gli schiaffi architettonici dell’era più recente, al Trullo resistono grandi spazi verdi e una villa del seicento, Villa Koch, ridotta a un rudere e detta La Casaccia. Sorti per iniziativa dell’Istituto fascista autonomo case popolari, i Lotti sono come un paesello, dove le case affacciano su grandi cortili e le madri possono ancora gridare: «Ho buttato la pasta!» interrompendo i giochi dei bambini. Mi chiedo se i Poeti der Trullo non siano gli ultimi ragazzi cresciuti giocando insieme, imparando a darsi regole di gruppo.
«Questa è chiamata Tribuna Montecucco, per distinguerla da quella di Monte Mario, all’Olimpico» mi spiega Er Finto, mostrandomi un muro che affaccia su un terrapieno in basso. «Qua sotto i ragazzini facevano due tiri a pallone e qua sopra ci stavano i padri che urlavano le peggio cose, specialmente all’arbitro...».
Adesso lo stesso muro si affaccia su un Centro Sportivo a pagamento: campi di materiale sintetico hanno sostituito il prato, scomparse le grida della tifoseria da stadio e scomparsi i bambini, forse impegnati individualmente in qualche corso di aikido o karate. Le mamme aspettano, gingillandosi al telefonino e guardandole così sole vengono in mente le parole di Er Quercia: «Navighiamo nell’inutilità per dare senso alla nostra esistenza, invece di navigare nell’esistenza per dare senso alla nostra inutilità».
Poche sere dopo rivedo Inumi e Er Pinto all’Init, un locale di tendenza di Roma dove avviene una lettura delle loro poesie. Un’attrice di rara bravura, Simona Senzacqua, conferma che talento e notorietà in questo Paese divorziano spesso. La sua interpretazione della Fantasia sul tram di ’A Gatta Morta è degna di nota. «Lo stivale suo me sfiora, io divento tutta ’n forno/ non devi aver paura, non oppongo resistenza,/ me dice ’nvece scusa e io penso “scusa un como”...». L’intera poesia andrebbe letta attentamente perché invece che cinquanta sfumature dì grigio, qui ci sono vere pennellate di colore.
Quella sera incontro anche l’Ottavo poeta, un ragazzo esterno al gruppo, scelto periodicamente tra chi invia le proprie poesie all’indirizzo poetidertrullo @gmail.com. Quello che ho davanti non è però un Ottavo poeta qualsiasi, è stato il primo a farsi avanti, il primo discepolo, investito dalla luce, non divina, ma della pagina di Facebook che i sette hanno aperto. «Il nome mio è Caino,/ c’ha ’n che de liberatorio/ svestisse de ’n destino/ che mira ar purgatorio».
«Sei del Trullo?» chiedo. Er Caino parla con un italiano impeccabile. «No, sono di tutt’altro posto» risponde.
In assenza di accenti, per un attimo fantastico che venga da lontano e immagino che una vera epidemia si sia diffusa dallo Zen di Palermo a Pordenone, strappando vite umane ai centri commerciali. Er Caino mi riporta al presente. «Sono di Villa Adriana. Vicino Tivoli».
Per chi non lo sapesse Villa Adriana è patrimonio dell’Unesco e, soprattutto se abiti a Roma, è proprio difficile non conoscere un luogo così famoso della Storia. Er Caino però insiste a spiegarmi dove sia e intuisco che in discoteca gli hanno chiesto spesso: «E ’ndo sarebbe ’sta Villa?». Se il Trullo è la periferia di Roma, Villa Adriana è la Roma periferica: le chiavi sono ’e chiavi in romano e le gghiavi tutt’intorno. Con voglia di riscatto Er Caino scrive: «Io aspetto quer momento/ in cui starò de fronte,/ a lui che me vo’ spento/ ma scopre in me Caronte».
Mi domando se il ragazzo sappia quanto deve a una partitella di cinquant’anni fa. Quel gesto di Pa’, quel togliersi la giacca dell’intellettuale e spogliarsi di un ruolo, ha gettato i semi della poesia nella borgata e le sue piante stanno nascendo oggi. Il Trullo e la Magliana distano appena un chilometro, eppure «Tor Bella c’ha la bomba, la Chiesa c’ha i segreti, Majana c’ha la banda, er Trullo c’ha i poeti» scrive un ragazzo detto Er Bestia, un tempo pusher di cirdgn e oggi di poesia. Push the poetry è diventato il suo motto. Forse un giorno sapremo di Poeti allo Zen, in Padania e in ogni periferia dove le cronache descrivono ragazzi senza sogni. Ma ci vorrebbero più partitelle, meno intellettuali sedentari e tanti, tantissimi Inumi. Non è questa la vera Italia, Mori dalle tenebre?
Silvia Ranfagni