Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2013  gennaio 03 Giovedì calendario

GLI ATTORI E I POLITICI HANNO UN DESIDERIO IN COMUNE: LA RIBALTA. E SE VE LO DICO IO


[Intervista a Arnold Schwarzenegger]

Signor Schwarzenegger, nel film «The last stand» (l’ultima sfida) lei torna a calarsi nei panni dell’eroe d’azione con tanto di pistola in mano. Cosa si prova a ritornare sul set dopo tanto tempo?
È stato come un corso intensivo per me. Il primo film che ho fatto è stato I mercenari. È qui che ho ripreso a usare le grosse armi da fuoco.
Le è mancato recitare?
In realtà no, anzi il contrario. Ogni volta che mi capitava di visitare un set durante il mio mandato da governatore sentivo di non volere mai più tornare a recitare, sebbene quando venni eletto, e interruppi la carriera di attore, avessi dichiarato che sarei tornato nel mondo del cinema alla fine di questa esperienza. Ricordo una volta sul set di un film di Steven Spielberg, dove c’era anche Tom Cruise appeso a testa in giù a un’imbracatura: l’ho guardato e mi sono detto che non mi sarei mai più fatto appendere in quel modo in vita mia.
Quindi le è piaciuto andare al lavoro in giacca e cravatta per un certo periodo...
Esattamente. Mi piaceva vestirmi in giacca e cravatta ogni mattina e andare a fare un lavoro «da grande». Così come mi piaceva tenere discorsi alle elettrici e poi magari agli anziani. È stato davvero fantastico.
Nonostante ciò, alla fine il cinema l’ha riconquistata.
Già, è come una droga. Non puoi farne a meno. È troppo divertente: dà dipendenza. Quando ricominci a lavorare a un film, ti rendi conto improvvisamente di quanto sia coinvolgente. Mi sono chiesto come ho fatto a lavorare tutti i giorni a Sacramento (dove ha sede il governo della California, ndr) con così tante persone noiose. Chiunque si chiede subito come sia stato possibile. (ride)
Pensa davvero che recitare possa essere una droga?
Non è solo la recitazione. Tutte le esperienze di questo tipo sono una specie di droga. Anche la politica può esserlo. E per me lo è stato. È impressionante l’impatto che hai sulla gente. Penso che sia per questo che i politici fanno così fatica a lasciare la poltrona. Io ho avuto la fortuna di passare in un altro ambiente dopo la politica.
La costituzione degli Stati Uniti non le consente di candidarsi alla presidenza, perché non è nato in America. Se avesse potuto, avrebbe partecipato alla campagna per la carica?
Assolutamente sì. Adoro la politica e sarà sempre così. Ma questo paese, che amo dal profondo del cuore, non lo consente. E non c’è nulla che io possa fare per cambiare le cose.
Quindi non ha chiuso i conti con la politica.
No, per questo ho fondato lo Schwarzenegger institute alla University of Southern California. Ora lavoriamo al lato accademico della politica. Il mio grande desiderio è sempre stato quello di unire i repubblicani e i democratici: usare la capacità intellettiva di entrambi per il bene della gente, non per quello del partito.
Cosa pensa della vittoria di Barack Obama?
Credo che la gente non abbia necessariamente votato per Obama, ma contro l’alternativa repubblicana. Ora resta da vedere cosa succederà nei prossimi quattro anni.
Si interessa sempre anche di fitness?
Certo, mi alleno tutti i giorni. Faccio la cyclette orizzontale, l’ellittica, vado in bici, nuoto. Vado ancora in palestra e faccio pesi. La battaglia del fitness non ha mai fine. La Arnold Classic impazza in tutto il mondo. Ci sono quasi 200 mila atleti coinvolti.
C’è una grande battuta nel film: lei compare dopo uno scontro a fuoco e qualcuno le chiede come si sente; la sua risposta è molto divertente…
Sì, dico solo «vecchio».
E come si sente a invecchiare?
Forse sarebbe meglio chiedere se per uno come me, che è stato premiato come l’uomo meglio sviluppato della storia, che è stato in forma smagliante e sollevava 240 chili alla panca piana, non essere più come prima non sia una punizione peggiore del semplice fatto di invecchiare. Improvvisamente ti rendi conto che il tuo corpo non è più come ai bei tempi, non hai più la forza e la resistenza di una volta, e ovviamente ti senti deluso. Non riesco più a sciare per ore di fila e poi alzarmi la mattina dopo e rifarlo di nuovo. Ho bisogno di pause, di riposo. Questo è frustrante. Ma allo stesso tempo sono fiero di essere ancora in ottima forma per la mia età. In The last stand ho girato personalmente molti degli stunt: mi sento ancora in grado di farlo. A 65 anni sento di essere in una condizione fisica molto migliore di tanti uomini più giovani di me.
Come sono cambiati gli action movie?
Alcuni film sono molto più veloci ora. Gli effetti digitali hanno leggermente alterato il ritmo.
Che film guardano i suoi figli? Gli action movie moderni come «Spider-Man» e «Superman» o quelli del padre?
I miei figli hanno già visto The last stand e pensano ancora che il loro papà sia un grande.
Signor Schwarzenegger, sono accadute molte cose nella sua vita privata l’anno scorso. Com’è il suo rapporto con Maria Shriver oggi?
Beh, sono ancora molto dispiaciuto per quanto è accaduto. Ho un’altissima opinione di Maria, ho sempre avuto una grande considerazione per lei e sarà sempre così. Penso solo che non sono stato l’unico a essere sotto pressione negli ultimi anni. Anche per Maria era lo stesso.
Cosa vuole dire?
Sentiva una pressione crescente per il fatto di provenire dalla famiglia più famosa d’America, i Kennedy. Questo non ha sempre reso la nostra vita facile.
Parlando di pressione, come vivono i suoi figli il fatto di avere un padre così famoso? Non deve essere semplice.
Dico questo: se c’è una cosa in cui Maria e io non abbiamo sbagliato, è stato di non fare mai alcuna pressione sui nostri figli perché fossero i migliori in tutto. Sono cresciuti liberi da qualsiasi costrizione interna. Mi rendo conto che avrebbe potuto essere un peso eccessivo per loro.
Come sono i suoi figli? Come li descriverebbe?
Catherine assomiglia molto a sua madre e vuole seguire le sue orme: vuole diventare giornalista. Patrick è molto più bello di me. È un ragazzo in gamba, ha anche molto più talento di me. Ho un buon rapporto con i miei figli, sono davvero orgoglioso di loro.
Teme che i giovani non la conoscano più? Non ha paura di diventare uno dei dinosauri di Hollywood?
No davvero. È strano, forse è per via dei dvd e di internet, ma rimarrebbe sorpreso dal vedere quanti bimbi di 5 anni mi fermano e mi dicono: «Ehi, ma tu sei Terminator». Non è cambiato nulla nell’industria cinematografica: la gente vuole ancora vedere dei bei film.
Se dovessero girare un film su di lei, chi vedrebbe nella parte del giovane Arnold?
Oh, non ci ho mai pensato. Comunque, attualmente sto lavorando con un giovane attore, molto in gamba, forte, deciso. Sì, lui potrebbe impersonare il giovane Arnold. Si chiama Joe Manganiello. È molto sicuro di sé. È tosto.
Che cosa pensa dello striptease maschile? Non ho nulla in contrario, ma il mio fine è sempre stato quello di concorrere per dimostrare di essere il migliore. Non ho mai mirato a spogliarmi.
Nascere in Europa, emigrare in America e viverne il sogno: è ancora possibile per gli altri vivere il sogno americano?
Assolutamente, è sempre possibile. Gli immigrati hanno avuto un grandissimo impatto su questo paese. L’America è ancora la terra delle opportunità. Ma se perdi l’attimo, è finita. Se non ci metti tutto te stesso, non ce la fai. In pratica, è facile quando hai la spinta dentro, la determinazione a fare di tutto per raggiungere il tuo obiettivo, anche se questo significa piangere di notte, ammazzarsi di fatica, fare qualsiasi cosa per arrivare. In America puoi ancora farcela, puoi ottenere quello che vuoi. La mentalità americana è: nessuno mi può fermare. In America nessuno ha interesse a fermarti. Questa è la grande differenza con l’Europa. In Europa la gente è invidiosa, ti riga la macchina, non vuole che qualcuno abbia successo. Devi avere una visione. La grande questione che mi sta a cuore è come riuscire a creare motivazione in coloro che non ne hanno, come coinvolgerli. Perché, se stiamo uniti, come società possiamo farcela. Io mi sento sia americano sia europeo. È per questo che in politica non sono mai riusciti a capirmi fino in fondo. Quando prendevo le decisioni «da europeo», gli americani vedevano il mio lato democratico, mentre quando le prendevo «da americano» la gente mi considerava un repubblicano. Non sono mai passato da repubblicano a democratico, alternavo tra americano ed europeo. Ovviamente ritengo che tutti debbano avere una copertura sanitaria: è un concetto molto democratico per gli Stati Uniti. Se non hai un’assicurazione malattia, qualcun altro dovrà pagarne le spese. È semplice. A Sacramento, quando risultavo troppo liberale, venivo attaccato dai miei colleghi. Mi dicevano che mi ero fatto incastrare dai Kennedy.
E lei cosa rispondeva?
L’unica cosa sensata: dicevo che era ovvio che i Kennedy mi avessero incastrato, visto che dormivo nello stesso letto con una di loro.