Bruno Vespa, Panorama 3/1/2013, 3 gennaio 2013
LE MIE PRIGIONI
[Salvatore Cuffaro]
Lo sai che le cornacchie una volta erano bianche e bellissime? Apollo ne scelse una come custode della sua amante Coronide, una principessa arcade. Ma l’indole umana portò Coronide a innamorarsi di un guerriero greco. Apollo furioso uccise con un dardo Coronide che prima di morire gli confessò di aspettare un bambino da lui. Apollo, pentito, estrasse dal ventre della donna il bambino che sarebbe diventato Esculapio, dio della medicina, e punì la cornacchia facendola diventare nera e con la voce sgraziata». Totò Cuffaro alza lo sguardo: «Qui intorno a Rebibbia il cielo è pieno di cornacchie. Ma in fondo cornacchie siamo anche noi detenuti. Un tempo eravamo belli e puri come l’uccello di Apollo. Poi ci siamo sporcati e la società ci ha affidato a un custode incolpevole, il carcere. La rieducazione carceraria è una leggenda. Il carcere non ha i mezzi e le strutture. Ma ti dà il tempo per incontrarti con te stesso, se hai voglia di farlo. Allora parli con la tua anima, con la tua coscienza e trovi dentro di te il clima giusto. Se accetti il carcere, ce la fai. Altrimenti la vita qui dentro è devastante. E bada, per farcela non devi avere rancori, risentimenti. Se io li avessi coltivati, il carcere sarebbe stato un inferno…».
Cuffaro ha raccontato la storia dell’uccello punito da Apollo in un bel libro (Il candore delle cornacchie) che mi dedica scrivendo accanto alla firma «detenuto in Rebibbia». «Volevo una copertina rigida, ma in carcere un libro così non sarebbe entrato. Si teme che dentro la rilegatura possa nascondersi droga. Qui la droga entra nascosta nei posti più impensabili, la biancheria dei bambini, i reggiseni delle nonne…». Ha scontato due anni dei sette inflittigli per associazione mafiosa: ha detto a un amico di non andare a casa di un sospettato di mafia perché sarebbero stati intercettati. Carcere semiduro: niente permessi, meno colloqui, meno telefonate degli altri detenuti. Più di 100 parlamentari sono andati a trovarlo in carcere: il senso di colpa della classe politica per una vicenda assurda. «La mia cella? Una stanza 4 metri per 5 che divido con 3 compagni: un ergastolano per duplice omicidio e altri due condannati per traffico di stupefacenti, rapina e truffa. Andiamo d’accordo, altrimenti la vita sarebbe complicata. Giuseppe, il «truffatore», cucina la cena. A pranzo usiamo il vitto del carcere. La sera, alle 6 del pomeriggio, integriamo. Io lavo i piatti, pulisco la cella e il bagno. Ci mettono a disposizione i detersivi, ma se qualcuno tenta il suicidio bevendo candeggina, magari non ce la passano per un mese. Un altro compagno una volta alla settimana fa le pulizie di fondo. Il quarto lavora nella cucina del carcere. Io dormo 2 o 3 ore per notte. Quando mi sveglio, mi accendo una lucetta avvolta nella carta igienica per non disturbare gli altri e leggo, scrivo, rispondo alle lettere: 170 in 15 giorni dopo che il Corriere della sera ha fatto una bella recensione al mio libro. Perché scrivo a matita? Hai mai provato a scrivere sdraiato con la biro? Dopo un minuto l’inchiostro non scende più. Sono medico, ma ho deciso di studiare legge. Sono al terz’anno, ho dato 11 esami, la media è molto alta. Vengono i professori dalla Sapienza. Oliviero Diliberto, il leader dei Comunisti italiani, mi ha dato 30 e lode all’esame di istituzioni di diritto romano. Il professor Cerri per darmi la lode in diritto costituzionale mi ha fatto un’ultima domanda sui conflitti di attribuzione tra Stato e regioni a statuto speciale. Capirai, sono stato 7 anni presidente della Regione siciliana… Eppure, sembra incredibile, Cerri non mi ha riconosciuto. Quando approfondivo, lui mi ha chiesto: ma lei queste cose come le sa? E io: le ho lette sul suo libro, professore. Lui: ma nel mio libro non ci sono scritte… Non so se poi qualcuno gli abbia chiarito il mistero, ma per me è stato meraviglioso questo ritorno nella normalità dell’anonimato, dopo tanti anni sotto i riflettori.
D’altra parte i detenuti alla normalità ti abituano subito: qui non si fanno sconti, sei subito uno come gli altri. Dicevamo della mia giornata. Alle 8 e mezzo esco dalla cella con il mio k-way rosso e vado a correre per un’ora e mezzo, la mia razione d’aria. Mi vedi in forma? Nei 2 anni di detenzione ho perso 31 chili. Prima cenavo all’una di notte, andavo a letto alle 2, alle 7 già ricevevo gente. E ingrassavo. Dopo la corsa, doccia e studio. Nel pomeriggio altra «aria» e poi 3 ore di studio e di lezione. Cena e televisione, solo la sera per evitare gli eccessi. Una volta alla settimana, c’è il colloquio con la famiglia. Per il detenuto la festa non è Natale o Pasqua: è il colloquio. Quando in fondo al corridoio urlano il tuo nome e dicono di prepararti al colloquio entri in una specie di incantesimo. Passi davanti alle celle dei tuoi compagni e loro si affacciano dalle sbarre e dicono: «Buon colloquio!». Io, condannato per mafia, ho diritto a 4 ore di colloquio al mese, 2 meno degli altri. E 2 telefonate al mese, contro 4 o 6 degli altri. Utilizzo le telefonate per parlare con i miei genitori, soprattutto con mio padre che sta morendo. A ottobre mi hanno consentito di vederlo un’ultima volta a Raffadali. (Il papà di Cuffaro è morto il 31 dicembre, ma al figlio non è stato possibile assistere ai funerali del 2 gennaio perché il giorno di Capodanno non c’era nessun magistrato di turno che leggesse la richiesta di permesso, ndr). Qui ogni venerdì vengono mia moglie e i miei figli. Potrebbero venire una volta per 4 ore, o 2 volte per 2 ore. Mia moglie vuole venire ogni settimana: è medico, paga questi viaggi con le notti in ospedale e parte da Palermo per stare un’ora sola con me. Il regolamento ci consente di tenerci per mano. Una telecamera ci filma, senza audio. E appena lei mi lascia, ricomincia l’attesa per il venerdì successivo. Vengono anche i due figli, il maschio che studia medicina e la femmina che si è laureata a luglio in legge. Ho letto l’indomani sul Corriere della sera che aveva avuto la lode con encomio pubblico. Nonostante quello che mi è successo, mia figlia continua nella sua vecchia idea di fare il magistrato e s’è già iscritta ai corsi preparatori. È una nemesi storica e sono molto contento di avere fatto capire ai miei figli il valore delle istituzioni».
«Dove ho sbagliato? Di una cosa sono certo: non ho mai favorito la mafia. Sono stato condannato con l’accusa di avere detto a Mimmo Miceli, candidato del mio partito, l’Udc, alle elezioni del 2001: perché vai a casa di Giuseppe Guttadauro che è intercettato? (Guttadauro, poi rivelatosi un boss mafioso, è medico ed era collega di Miceli, anch’egli medico, nell’ospedale civico di Palermo). In primo grado mi diedero 5 anni per favoreggiamento e violazione del segreto d’ufficio. In appello l’accusa sostenne che Guttadauro, grazie alla soffiata, aveva scoperto le microspie che aveva in casa vanificando anni di indagine e fui condannato a 7 anni per avere favorito l’intero fenomeno mafioso. La Cassazione ha confermato, nonostante il parere contrario del procuratore generale. Quando mi si accusa di rapporti con Michele Aiello (manager della sanità condannato a 15 anni per associazione mafiosa) si dimentica che Aiello andava a cena con Antonio Ingroia. Entrai al ristorante, li vidi insieme e me ne andai perché Ingroia mi aveva indagato. Ho raccontato queste cose da Santoro, Ingroia mi ha querelato e il processo è in corso. Le foto con i cannoli? L’accusa di avere voluto festeggiare la condanna di primo grado perché non mi avevano riconosciuto colpevole di avere favorito la mafia? La sentenza era stata pronunciata sabato e io avevo indetto per lunedì mattina una conferenza stampa per annunciare le mie dimissioni. Entrato nella sala delle riunioni con i giornalisti, vidi un vassoio di cannoli sul tavolo, portato come ogni lunedì da un signore di Agrigento. Invece di dire a un commesso di spostarlo, lo feci io come un cretino. I giornalisti sono testimoni che non ho offerto cannoli a nessuno, ma i flash dei fotografi mi fissarono col vassoio in mano e l’effetto fu devastante. Gli errori che mi riconosco? Troppo disponibile ad abbracciare e baciare la gente, a stringere qualche mano sbagliata senza accorgermene. Quello che è stato definito cuffarismo, clientelismo sfrenato era ricevere fino alle 2 di notte persone che magari aspettavano dalle 2 del pomeriggio e alla fine non mi chiedevano niente, se non di potere dire di avere bevuto un caffè col presidente della Regione. Se scendi tra la gente, in Sicilia corri sempre il pericolo di sbattere contro la persona sbagliata. E io sono andato a sbattere contro la mafia senza avere mai voluto favorirla. Perciò auguro a Rosario Crocetta che non gli succeda quello che è capitato a 13 su 15 dei suoi predecessori. Se anche lui inciampasse in qualche guaio giudiziario, sarebbe un ulteriore colpo mortale per la Sicilia. Mi auguro che abbia voglia di governare e lo faccia bene. Io? La politica è stata la mia vita fin da quando ero ragazzo. E la seguo anche adesso, scontando la legge del contrappasso».
«Eppure la politica è molto cambiata. La Dc e il Pci avevano le correnti, ma sui temi di fondo erano unitissimi. Adesso i partiti si stanno aggregando più su un’idea economica della rappresentanza che su un ideale. In ogni partito c’è tutto e il contrario di tutto. E scegliere è più complicato. Crocetta è stato eletto con un sesto dei voti con cui sono stato eletto io. Avevo previsto che più di metà dei siciliani non sarebbe andata a votare e ho azzeccato. Prendi mia madre, democristiana da sempre. Se votava Udc dava il voto a Crocetta, ma se votava Pdl votava Nello Musumeci, che viene dall’estrema destra. A livello nazionale, speravo che Mario Monti mettesse insieme tutti i moderati, dall’Udc al Pdl e invece adesso il moderato che vota Udc rischia di vedere il suo partito alleato di Nichi Vendola. Eppure, se potessi, mi ributterei in politica con i rischi che comporta. Vuoi mettere l’arricchimento che ti dà stare in mezzo alla tua gente? E invece sto qui, col peso di una interdizione perpetua dai pubblici uffici che mi impedirà perfino di fare il medico dentro un ospedale. A proposito del carcere che reinserisce nella società. Aspetto l’autunno per chiedere che venga attenuato il rigore della pena per mafia ed eventualmente essere poi ammesso ai servizi sociali. Quando uscirò, rimarrò vicino ai detenuti e tornerò alla mia azienda agricola vicino a Piazza Armerina. Le arance, i fichi d’india. Ah, i fichi del secondo fiore».