Alex Saragosa, il Venerdì 4/1/2013, 4 gennaio 2013
IL MONDO È TROPPO CALDO: RISCHIANO DI ESTINGUERSI SPAGHETTI E RIGATONI
Tra le prime vittime del cambiamento climatico, oltre agli orsi polari e alle isole del Pacifico, potrebbe esserci uno dei simboli dell’Italia nel mondo: la pasta. E se non sarà proprio la sua fine, come ha ipotizzato un articolo su Newsweek del dicembre scorso, certo si annunciano tempi duri per il grano duro, il solo cereale con cui viene realizzata la pasta secca italiana. Il Triticum durum contiene più proteine del frumento da pane, Triticum aestivum, e poco glutine. Questo lo rende molto nutriente e digeribile, e poco propenso a lievitare, ottimo quindi per creare prodotti secchi a lunga conservazione, dalla pasta al cuscus, da ammorbidire in acqua bollente. Se è un duro sulla tavola, il durum non lo è però sul campo, dove risulta molto più schizzinoso, meno versatile e più delicato del grano da pane. Creato tramite incroci nel Medio Oriente di novemila anni fa, il grano duro pretende un clima mediterraneo, con inverni piovosi e estati secche: se ci si allontana da queste condizioni (ed è quasi certo che questo accadrà in un futuro prossimo) resa e qualità del raccolto precipitano. L’Agenzia Europea per l’ambiente ha stimato che, a causa di siccità invernali ed eccessivo caldo estivo, nel 2050 la resa del grano duro in Italia (maggiore produttore europeo e secondo al mondo dopo il Canada) e in Francia calerà del 15 per cento, in Spagna addirittura del 25. Uno scenario simile, anche se per ragioni diverse, presenterà il più grande esportatore di grano duro del mondo, il Nord America, dove questa varietà viene coltivata intorno al confine con il Canada, ma i campi si stanno spostando sempre più a ovest, perché nelle aree di partenza le piogge tendono ormai a concentrarsi nel periodo sbagliato, cioè quando la spiga matura. Andando verso ovest, però, gli agricoltori incontrano terreni meno fertili, che fanno diminuire la resa. Notizie non buone arrivano anche da altri grandi esportatori, come Russia e Australia, alle prese con siccità estreme e ricorrenti. Nazioni tropicali come l’India, invece, potrebbero diventare troppo calde e secche per il grano duro. Che la situazione sia seria lo rivela anche la strategia di diversificazione dei fornitori di materia prima per la sua pasta intrapresa dalla Barilla, che punta a compensare un eventuale disastro climatico in un’area, con l’importazione da un’altra. Ma, alla lunga, ci dovremo rassegnare a mangiare spaghetti collosi, fatti di grano tenero? «Non credo» dice Massimo Iannetta, responsabile delle attività agro-industriali dell’Enea. ««Le previsioni climatiche non sono favorevoli al durum, è vero, ma i ricercatori stanno provando a fronteggiare la situazione. Per esempio elaborando varietà resistenti agli stress ambientali, grazie alla tecnica dei marker molecolari. Si individuano cioè, tra le piantine coltivate, quelle che esprimono i geni che danno resistenza al calore o alla siccità, e incrociando solo quelle si ottengono varietà più adatte al clima del futuro in soli 6-7 anni, invece dei 15 richiesti dagli incroci tradizionali. Puntiamo anche a ricreare il grano pluriennale, che non ha cioè bisogno di essere ripiantato ogni anno: la riduzione delle arature migliora la fertilità dei suoli e aiuta a trattenere più umidità. Una mano verrà poi dall’agronomia di precisione, che consente di valutare le esigenze delle culture metro per metro, cosi da dare a ogni parte del campo il giusto, in fatto di acqua o nutrienti, evitando sprechi e migliorando le rese»».