Francesca Ghirardelli, il Venerdì 4/1/2013, 4 gennaio 2013
SU ALL’EST - E LA BADANTE TORNA A CASA CON LA SINDROME ITALIANA
CHERNIVTSI (Ucraina). Si toma a casa. La casa vera, non quella dei nonni italiani che queste donne ucraine assistono per lavoro. Per fortuna, appena passata la frontiera slovena, qualcuno ha tirato fuori una coperta, una di quelle spesse e pesanti, a fiori marroni e color panna, ce la dividiamo per coprire le gambe: gli strati di calze non bastano a difenderci dal freddo e l’umidità. In Italia piove, ma qui nevica fitto. Mentre Tania se la sistema sui piedi, Valentina mangia un pezzo di pizza, guardando fuori dal finestrino di questo vecchio furgone Mercedes Sprinter che ci porta da Bergamo a Chernivtsi. Duemila chilometri attraverso la Slovenia, l’Ungheria fino all’Ucraina occidentale, tutti d’un flato.
«Se non ci fosse l’Italia, l’Ucraina sarebbe kaput. Il vostro Paese è come le gambe del nostro»: Valentina ha 57 anni e per venti ha fatto la cuoca nel suo Paese. Riceve 1.400 grivnia di pensione al mese, circa 130 euro, una cifra alta, rispetto alla media. Ha lasciato l’Ucraina nel 2004 per pagare l’università al figlio più piccolo, ora torna a casa, dopo essere stata operata all’ospedale di Bergamo: i suoi guai di salute sono peggiorati a causa dei pesi che per anni ha sollevato. E i pesi erano i nonni. «Voi la crisi la sentite da uno o due anni, noi dal 1991» dice.
Sotto la coperta, Tania è silenziosa. Ha 58 anni, gli ultimi cinque passati a lavorare sempre con lo stesso anziano, che un mese fa è morto. La sua pensione ucraina è di 75 euro al mese, troppo bassa per restare a casa col marito e i due figli. L’ultima visita risale a un anno fa. Durante il viaggio sorride solo una volta, quando nel cuore della notte superiamo la terza frontiera ed entriamo nel suo Paese: «Ah, cara Ucraina» dice, appoggiata al bancone del bar, aspettando che le scaldino il panino. Ma nelle ultime ore (delle ventisei totali) di viaggio, si rabbuia mano a mano che si avvicina a casa sua. Tania, Valentina e i loro connazionali residenti (regolari) in Italia sono quasi 224 mila, secondo le ultime stime del Dossier Statistico 2012 di Caritas e Migrantes: l’80 per cento sono donne. Secondo il ministero del Lavoro, la comunità ucraina è una delle più numerose fra i lavoratori domestici stranieri. Nel 2011 ha inviato a casa, attraverso i canali ufficiali, 166 milioni di euro, 23 in più del 2010, nonostante la crisi. Soldi utilizzati per ristrutturare case, pagare rette universitarie a figli e nipoti, saldare debiti e mantenere un reggimento di parenti.
Prima di arrivare a Chernivtsi facciamo una ventina di soste a incroci di stradine di campagna e in piccole piazze per consegnare i pacchi di cui il furgone è pieno. Abiti, cibi italiani, stivali alla moda, detersivi che mariti, figli, familiari vengono a ritirare. Roba che, come ogni settimana, mogli, madri, sorelle spediscono da «là», dall’Italia. Un uomo ritira uno stendibiancheria di plastica e lo infila nell’auto. Spesso tocca a loro fare il bucato ed occuparsi dei figli, mentre le loro spose non ci sono: «Certo, facevo tutto io, cucinavo, stiravo, ma ora c’è mia nuora» ci spiega Vassilij, 57 anni, di Chagor, piccolo centro a pochi chilometri da Chernivtsi. Ci fa visitare la sua grande casa: come quasi tutte, in questa regione occidentale che ci dicono essere più sviluppata di altre, ha un giardino, le aiuole, la fontana con la statua, il pozzo per l’acqua. Sua moglie Valja manca da quattordici anni, lavora anche lei a Bergamo come badante. «Manca da quando nostro figlio minore andava in prima elementare. Ora lui ha vent’anni». Prende da una mensola la foto della moglie e le manda un bacio. Ma non tutti sono così devoti.
«Quando le donne stanno lontane per molto tempo, succede spesso che le famiglie non funzionino più» racconta Vira, tornata da sei anni al paese. Anche lei faceva la badante in Italia. La incontriamo nel suo bar, che con i guadagni messi da parte all’estero è stato ampliato con un elegante salone. «Gli uomini si abituano ad averle lontane e quando le donne tornano a casa cominciano i litigi. Molte decidono di ripartire. Quando io sono tornata dopo un’assenza di quattro anni, con mio marito abbiamo dovuto ricominciare tutto da capo, lui si era occupato dei figli, aveva le sue abitudini, mentre io sono arrivata con le mie idee su come fare le cose. Invece, lui e il resto della famiglia mi dicevano che erano abituati a farle in un altro modo». Se le chiediamo cosa le manca dell’Italia, risponde senza pensarci: «Il rispetto. La famiglia dove mi trovavo aveva tanto rispetto per me. Qui la gente è dura, come sempre dove mancano i mezzi».
Un riscontro di quello che dice Vira si può trovare nello studio Dove sono andate tutte le madri? pubblicato nel 2010 dall’Anthropology of East Europe Review e scritto da Alissa Tolstokorova, esperta ucraina di politiche di genere: «I cambiamenti nei ruoli tra i sessi, incoraggiati dalla migrazione, innanzitutto interessano le madri, che assumono il profilo di capofamiglia. Questo, però, non implica la loro emancipazione. Allo stesso tempo i cambiamenti di ruolo dei padri sono solo temporanei e non comportano trasformazioni tangibili nell’istituto della paternità in Ucraina (...). Dopo la riunificazione ci si attende che il tradizionale patto di genere sia riattivato». In più, chi torna può sperimentare uno «shock culturale al contrario» e fare i conti con sorprese inaspettate. «Il carattere transnazionale delle famiglie può essere illusorio e nascondere una realtà patologica di cui spesso le donne sono ignare, mentre continuano a nutrire e curare relazioni che esistono solo nella loro immaginazione».
Se dunque, al ritorno, occorre talvolta costruire relazioni affettive troppo a lungo sospese, quello che è sicuro e tangibile (quando il denaro è stato ben speso) è il frutto materiale di tanti sforzi. «Dopo quattro anni di lavoro ho tatto costruire il bagno in casa e ho comprato la lavatrice» dice Veronika, badante a Bellinzago Lombardo rientrata in Ucraina per il matrimonio del figlio, che le è costato 2.500 euro. Con Oksana, la sua unica figlia femmina, anche lei badante, mantiene i sei figli maschi e il marito. «Nicolaj prepara da mangiare per tutti, fa anche il pane. Abbiamo amici che cominciano a bere quando le mogli non sono a casa, lui no. Quante famiglie rovinate!».
Certe volte, i risultati del lavoro in g Italia sono sorprendenti, come nel caso della villa lussuosa di un’altra Veronika, 69 anni. Stucchi ai soffitti, cancello da reggia, spazi ampi: «Ci vivo da sola, avrei voluto tornare in Italia, ma sono rimasta per la casa, non volevo lasciarla vuota. Da principio ero emigrata per saldare il debito contratto per il funerale di mio marito. Mi ci sono trovata bene, in Italia, così sono rimasta dieci anni. Mandavo i soldi a mia figlia, che si è occupata dei lavori». Due stradine più in là incontriamo Alina che, come la sorella e la madre, si è trasferita all’estero. A Chagor è rimasto il padre: «Sta qui da solo, non vuole venire in Italia, dice che arrivare alla vecchiaia e vedersi costretto a chiederei i soldi per un pacchetto di sigarette lo farebbe morire di vergogna. Così preferisce stare qua. E guadagnare quanto gli serve per le sue sigarette».
Francesca Ghirardelli