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 2013  gennaio 02 Mercoledì calendario

QUEI TERRIBILI VECCHIETTI

[The Rolling Stones]

Non è vero che hanno tutti corpi da ventenni montati sotto a una testa da settantenni. Sopra agli skinny jeans Keith Richards ha la pancia, e quando Ronnie Wood lo guarda avviarsi caracollante per fare la passerella sospesa tra la folla – quella su cui Mick Jagger ha già zampettato una decina di volte – fa le facce come se si aspettasse da un momento all’altro di vederlo cadere, e rivolgendosi agli amici sotto al palco con cui ha commentato tutto il concerto scandisce ogni sillaba: «He’s a little blind, è un po’ cieco». Poi ride, e va di riff.
Sono nel pit, la fossa dei leoni sotto al palco del Prudential Center di Newark in New Jersey, con in tasca un biglietto dal costo innominabile comprato dai bagarini per vedere da vicino i Rolling Stones che festeggiano i 50 anni insieme. Prima del concerto – l’ultimo di questo minitour celebrativo, ma non l’ultimo della loro carriera, si parla già di varie date per l’estate 
2013 – ho letto che Keith Richards alla domanda allarmata di un giornalista sul prezzo eccessivo dei biglietti, 800 dollari in media, ha risposto: «Mi sembra giusto: io li pagherei». Bastano cinque minuti di concerto per trovarmi completamente d’accordo con lui: parte Get Off Of My Cloud, sullo schermo appare una foto in bianco e nero di Mick Jagger a vent’anni, lui incrocia le dita davanti al viso come una Callas di Bollywood, e all’improvviso non mi sento poi così fuori posto in mezzo a 19 mila per lo più ultrasessantenni a urlare tutti assieme: «Hey, you!».
Guardo il miracolo che si sta compiendo sotto alle grandi labbra illuminate che sovrastano la scena: i Rolling hanno 68 anni in media, ed è un po’ come vedere le piramidi per la prima volta, hai davanti un monumento destinato all’eternità e cerchi di capire come fa a resistere al tempo, e se dal vivo somiglia all’immagine che hai avuto davanti per tanto tempo. C’è anche il senso di apocalisse che mi dicono pervada chi vede per la prima volta gli iceberg staccarsi dalla calotta polare. I ragazzi degli anni Sessanta che mi circondano però hanno scelto giusto: i Rolling Stones sono più vivi che mai,
alla faccia di quelli che allora puntarono sui Beatles, perché erano i bravi figlioli che non si drogavano. Forse è proprio questa l’essenza del patto col diavolo dei Rolling: divertirsi e fregarsene di tutto, anche dei consigli di lunga vita. Dopotutto Mick Jagger avrebbe voluto chiamare questo tour Fuck Off.
E allora che si fottano i dolori di Charlie Watts, che sotto al palco ha un massaggiatore pronto a prendersi cura di lui dopo il concerto, ma che ora suona come se quella batteria non gli stesse uccidendo la schiena. Che vada a quel paese la vodka a ettolitri che ha impedito a Ronnie Wood di fare concerti per gli ultimi cinque anni: da come si muove è chiaro da subito che la sua nuova droga è la sobrietà. E chissenefrega del suono: in un filmato prima del concerto Iggy Pop dice che ascoltare la chitarra di Keith Richards è come essere colpiti in testa da uno sgombro morto, ed è spesso così, ed è un suono paradisiaco.
Che vada in malora pure l’armonia sul palco. Pare che prima del tour Keith Richards abbia chiesto scusa a Mick Jagger per averlo insultato ripetutamente nella sua autobiografia Life chiamandolo una volta «Brenda» e l’altra «Sua maestà». Era tra i prerequisiti per rimettersi a suonare assieme, ma Keith lo ha fatto da vero pirata, senza vergogna o pudore o sincerità alcuna: «Certo che ho chiesto scusa a Mick: pur di tornare a suonare se c’è bisogno chiedo pure scusa a Dio. Non me ne frega niente. È come essere sposati da 50 anni, non possiamo divorziare, stiamo assieme per i figli!». E infatti Mick e Keith nelle due ore del concerto non si scambiano neppure un’occhiata.
Più che un concerto sembra una riunione di famiglia, una di quelle famiglie talmente disfunzionali che possono sopravvivere a tutto: all’eroina e alla cocaina, al successo che ne ha uccisi più della droga, e soprattutto all’età. «L’ultima volta che abbiamo suonato a New Jersey fu nel 1965 ed eravamo al... al... aspetta che ora ricordo... al Mosque!», dice Jagger in un momento deliziosamente senile. «Alzi la mano chi era lì. Beh, c’eravamo anche noi». E invita al suo fianco il parente lontano che non si vedeva da tempo, ovvero Mick Taylor, il chitarrista che se andò nel 1974 e che si muove sul palco come un ospite fortunato.
Sotto, Georgia May Jagger e la sorella Lizzie cantano a squarciagola Wild Horses assieme a Theodora e Alexandra Richards: tutte hanno portato gli amici a vedere i loro papà suonare.
Di fianco a me c’è anche Sue Pink, 59 anni, che ha cominciato a vedere gli Stones nel 1972, e dopo si è fatta circa cento dei loro concerti. E per i 50 anni degli Stones ha comprato tre biglietti per tre diverse date: «In tutto ho speso circa 3 mila dollari, più il viaggio aereo da Los Angeles, più l’albergo: non me lo potrei veramente permettere, ma ho deciso da tempo che i ricordi contano più dei soldi». Mi racconta che la crisi del 2008 ha colpito anche una rocker come lei: ha perso la casa e il lavoro, e questa è la prima vacanza che si concede. «Fortuna che negli ultimi sei anni gli Stones non hanno mai suonato». Ma se lo avessero fatto? «Mi sarei indebitata». Perché? «Perché il fatto che loro siano sul palco dimostra che dopo una certa età l’importante è continuare: se smetti non sei più giovane, se continui lo sei, dipende solo da te».
Se non smetti le cose cambiano, sempre in modo diverso da quello che avevi previsto. Ad Altamont nel 1969 quattro persone morirono durante un concerto dei Rolling Stones: ora a vederli ci sono famiglie intere. Nel 1977 Mick Jagger venne arrestato per possesso di eroina, sette anni fa Keith Richards cadeva da un alberto completamente fatto di eroina e cocaina: ora il primo può permettersi di dire che la droga non la rimpiange ma che spesso la sogna, e il secondo che ha smesso ma che ricomincerebbe se ne creassero una «nuova e più fantastica». Negli anni Ottanta la guerra fredda tra i membri della band era talmente grande che una riunione sembrava impossibile: poi si sono riuniti e rilasciati almeno due volte. Quasi trent’anni fa uscivano i primi pezzi sull’impossibilità di Mick di continuare a ballare per due ore sul palco a così tarda età: mentre i fan cominciavano a dare i primi segni di stanchezza dopo un’ora di spettacolo l’altra sera, lui cominciava a ingranare la sua fase migliore. Il tempo è ancora dalla sua parte.
Hanno chiuso con Sympathy For the Devil il concerto, e con Satisfaction il bis. Ma il momento più incredibile di questo minitour è arrivato sempre con Gimme Shelter: a cantarla con lui Mick ha invitato Florence Welch a Londra, e Mary J. Blige e Lady Gaga a New York. È stata la canzone emblema del cinquantenario, e merita un flashback. È il 1968, fuori c’è la guerra del Vietnam, a casa dell’amico Robert Frazer, che lo ospita, Keith Richards combatte la sua battaglia contro la paranoia: aspetta che la sua fidanzata Anita Pallenberg torni dal set dove sta girando il film Performance con Mick Jagger. È convinto che l’amico gli voglia rubare la fidanzata, e la droga non aiuta a tranquillizzarlo. Poi, per vendetta, sedurrà Marianne Faithfull, che sta con Mick. Ma intanto, in quella notte di tempesta, compone Gimme Shelter: «La guerra, figli, è solo a un tiro. L’amore, sorella, è a un bacio di distanza». Fa ancora un certo effetto.