Gianfranco Raffaelli, Sette 4/1/2013, 4 gennaio 2013
OLTRE UN MILIONE DI BICI RUBATE. DIVENTER
UN PROBLEMA POLITICO? [n Olanda il governo è intervenuto. E i furti sono diminuiti. In Italia si discute di targhe, “anagrafi” e codici anti ladri. Intanto i proprietari cercano di difendersi. Ecco come] –
L’ultima strategia spunta in Olanda, la repubblica a pedali (18 milioni di bici, 16,5 milioni di abitanti) il cui governo definì nel 2008 il furto ciclistico “priorità politica”: a Rotterdam, la polizia semina da un anno bici-esca. In luoghi di notoria “volatilità” se ne lascia una appetibile e indifesa, dotata di identificatore Gsm. Risultato: in meno di un anno sono stati arrestati 170 ladri. Ma ci sono anche i nuovi archivi di bici perse e recuperate on line, pubblici e privati, con l’app dedicata, lucchetti hi-tech, il boom delle folding bike, che parcheggi al sicuro sotto la scrivania. E un dibattito internazionale su nuovi strumenti di legge antifurto. Sono anni di Ladri di biciclette. Certo, in giro, almeno in Italia, ce ne sono tante. Certo, tra carobenzina e spirito ecologista si usano di più anche in città, dove secondo il Censis il 68% degli italiani ha ridotto nel 2012 gli spostamenti in auto. Ma i numeri dell’emergenza sono incredibili. Una pandemia.
Duecento milioni in fumo. A Milano secondo Fiab Ciclobby i furti sono passati da 20 a 30 al giorno: da 7.500 a 11.000 l’anno. Due milanesi su tre hanno subito un furto. Vogliamo calcolare in 150 euro il prezzo di un decente velocipede urbano? Ecco quasi 200 milioni di euro in beni bruciati, quello che ha appena stanziato la Ue in progetti di miglioria dei trasporti continentali. Si rubano le bici del bike sharing, le bici nei parcheggi custoditi, nei garage. A Roma il sito Ciclomobilisti stima 150mila ciclisti abituali, 300mila occasionali. E sul suo forum scorrono storie di romani scippati del mezzo tre-quattro volte in un anno. Gli arresti in flagrante in tutto il 2012 sono stati invece solo 12, compresi il padre e figlio (sì, come quelli di De Sica) che la mattina arrivavano in centro fingendosi fruttivendoli e ripartivano a sera con il camioncino carico; nel loro garage hanno trovato più di cento bici. A Genova più volte le forze dell’ordine hanno intercettato furgoni carichi di bici razziate in ogni parte d’Italia, dirette al porto per “svernare” in qualche mercato del Maghreb. Aggiungiamo il ladro occasionale, il tipo che la prende “in prestito” e l’abbandona due quartieri più in là. Aggiungiamo il furto parziale: ruote, sellini, accessori scomparsi e persi per sempre. Una piccola grande violenza che tocca tutti, sfregio quotidiano, il reato più diffuso al mondo. Quasi impunito. Il sito americano Planet Money spiega bene perché le bici siano il bene rifugio più diffuso tra i ladri. Primo l’offerta: sono ovunque, bene mobile e anonimo. Secondo, energia e tempo necessari all’acquisizione: basta un tronchese. Terzo, il rischio d’impresa: bassissimo; difficile essere colti in flagrante. Quarto, il mercato: ogni città ha la sua Porta Portese, con date, orari, meccanismi di compravendita. Il guadagno finale è basso, la bici media scende fino a 60, 40 euro. Ma Gary Becker, padre della teoria economica del crimine, spiega che la motivazione del delinquente è composizione di rischio e sicurezza dei guadagni; nella curva delle attività criminali il furto di bici è per entrambi i parametri al vertice opposto del sequestro di persona. Senza gara. Il dramma è che il mercato si autoalimenta.
Piu furti, più disperati appiedati che, alla quinta bici volatilizzata, si rassegnano all’“usato insicuro”. «L’aumento, innegabile, dei furti frena o inverte l’onda lunga delle bici alla conquista delle strade, a scapito di salute, aria e traffico», riassume Eugenio Galli, presidente di Fiab Ciclobby, «ma ha anche altre conseguenze. Il derubato può reagire girando con bici usate, vecchie, maltenute, senza accessori indispensabili come le luci. Ma questo uccide i produttori, e mette in circolo modelli mediocri se non pericolosi per traffico e ciclisti. E se il derubato reagisce comprando, per risparmiare, bici palesemente sospette, commette un reato, l’incauto acquisto, alimenta la malavita e la sfiducia nelle forze dell’ordine». I rimedi, allora? La novità è la variegata offensiva del Web. Rubbici.it, creato a fine 2011 da un 21enne studente di ingegneria chimica al Politecnico, Matteo Ganassali, parte da un dato shock ripreso dal Corsera: «Vigili, Polizia e Carabinieri dicono che quasi la metà delle due ruote rubate vengono recuperate, prima o poi. Solo che dimostrarne la paternità è quasi impossibile e così neppure ci si prova». Così ha creato un archivio online di bici rubate, aggiornato in tempo reale dagli stessi utenti. Tre le sezioni, appelli per le bici rubate, banca dati delle ritrovate (con i link ai database delle forze dell’ordine) e le bici sospette individuate dagli utenti per strada o in vendita nelle piazze di smercio.
E le istituzioni? Milano aumenta i parcheggi Atm sorvegliati, i blitz nelle rivendite del mercatino di Senigallia, e ha pure abolito l’odiosa tassa di 30 euro per la restituzione della bici ritrovata. In Olanda, oltre alle bici-civetta, il governo offre un’assicurazione di circa 4 euro al mese che dà diritto ad avere, in caso di razzia, una bici nuova (in Italia, secondo Ciclobby, l’assicurazione è costosa e complessa). In realtà il sacro Graal della lotta ai ladri è la marchiatura, o targatura, un codice sul telaio legato a una registrazione insomma, sui cui parametri e limiti si è dibattuto molto negli ultimi mesi, per tracciare la bici rubata, complicarne lo smercio, individuare il proprietario se ritrovata. In Giappone, dove la bici è un’istituzione, la registrazione di un codice per le due ruote è obbligatoria, e fuori dalla stazione di Osaka si vedono legioni di bici senza catena. Se ne parla in Olanda, Usa, in Francia puoi punzonare la bici con un codice e ti resta una carta d’identità della bici, una registrazione inattiva a livello burocratico fin quando in seguito a furto non se ne chiede l’attivazione.
Siti “amici” e antifurto. E in Italia? Si va in ordine sparso. A Milano, in seguito a una serie clamorosa di furti davanti al tribunale, l’assessore alla Mobilità Pierfrancesco Maran ha chiesto al ministro dell’Ambiente Clini un’anagrafe nazionale delle bici. L’idea di codici anti ladri è stata messa in pratica da molti enti locali, da Torino a gran parte del Veneto, mentre un’azienda privata ha lanciato il sito del Registro nazionale delle bici, cercando di mettere insieme i dati delle forze di polizia, e a Roma è nato Archiviobici.it: gli aderenti fissano al mezzo un adesivo fornito di Quick Read Code, codice che si “legge” con un qualsiasi smartphone e viene registrato sul sito, dove andare a cercare la propria bici in caso di furto. Ma il codice con i dati del proprietario non piace, per esempio, a Ciclobby, che vi vede l’anticamera di un bollo bici. «Per noi la chiave è tracciare il mezzo, non il proprietario», spiega Galli, «per esempio consigliamo di tenerne sempre una foto, o di tracciarla con un dettaglio che conosciamo solo noi». Quanto agli antifurti, non sfondano quelli hi-tech con il Gps, l’allarme o il wifi che ti manda un messaggio sul cell, e pare che per proteggere la bici a scatto fisso, moda del momento, la gioventù metropolitana sia tornata al grosso lucchettone a “U”. L’ultimissima contromisura potrebbe essere l’appello on line al ladro, a ricordare come il furto di una bici sia anche un danno morale, se non esistenziale. Come la mamma milanese che, su Facebook, augura al depredatore «che il campanello-paperella di Simone ti faccia eternamente quack nel sonno per tutta la tua stronza stronzissima esistenza».