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 2013  gennaio 04 Venerdì calendario

SIGNORE, PER ARRIVARE ALLA PARITÀ CI VORRANNO ALTRI QUARANT’ANNI

SIGNORE, PER ARRIVARE ALLA PARITÀ CI VORRANNO ALTRI QUARANT’ANNI [Più avvocate, magistrate, ingegnere e dirigenti. Nel mondo delle professioni le posizioni “in rosa” crescono. Ma troppo lentamente. Lo dicono i dati. E le testimonianze che abbiamo raccolto] –
Sono passati vent’anni. Sembra un giorno. Dai primi anni Novanta a oggi per le donne, sul lavoro, è cambiato ben poco. E non è motivo d’orgoglio. Non è quello che si aspettava chi cominciava a lavorare in quei tempi, quando pareva che la parità vera fosse dietro l’angolo, anche in ufficio. Speranza mal riposta. Il lavoro coniugato al femminile è stato più oggetto di dibattiti che terreno di cambiamenti profondi. Chi non ne fosse convinto non ha che da scorrere i dati che pubblichiamo in queste pagine, frutto di un approfondimento curato da Isfol su dati Istat in esclusiva per Sette. All’Istituto per lo sviluppo della formazione professionale dei lavoratori di Roma abbiamo chiesto di verificare quale era la quota di donne nelle principali professioni vent’anni fa e di fare un paragone con la situazione attuale.
Il risultato è sorprendente. Le donne di oggi vivono una condizione lavorativa che non è molto diversa da quella delle colleghe dell’ultimo decennio del Novecento. Sulle professioni tecniche si registra addirittura un arretramento delle posizioni rosa: dal 45,2 al 40,3 per cento. Certo, la definizione non deve trarre in inganno: di questa categoria fanno parte tutti i lavoratori con compiti esecutivi negli ambiti più diversi. Ma tant’è. Le donne aumentano nella categoria delle professioni non qualificate, nonostante in questi anni il loro tasso di scolarizzazione abbia fatto costanti progressi. Per fortuna qualche soddisfazione arriva dalla categoria delle professioni intellettuali e scientifiche ad alta specializzazione, che oggi si tingono di rosa nel 54,7 per cento dei casi (si partiva da quota 40,6 per cento). I magistrati donna aumentano con il contagocce. Stessa cosa per le donne in politica. Imprenditrici, amministratrici e dirigenti erano il 14,4 per cento del totale e diventano il 21 per cento. Ben poca cosa. Di questo passo, per arrivare al fifty-fifty serviranno altri quarant’anni. Le docenti universitarie passano dal 26,9 al 36 per cento: com’è possibile, vista la presenza e i risultati delle donne nelle università? Si moltiplicano con molta calma le donne medico. Qualche soddisfazione viene invece da avvocati, notai, esperte di economia, gestione, commercio: la loro presenza raddoppia e arriva a sfiorare il 50 per cento. La forte rappresentanza femminile in alcuni settori come quelli delle scienze sociali, della biologia o della farmacia è una buona notizia solo fino a un certo punto: si tratta di ambiti in cui le donne sono sempre state una presenza massiccia. In cui però oggi le opportunità di lavoro vanno restringendosi.
Scenario troppo pessimista? Lo abbiamo chiesto a Marco Centra, esperto di Lavoro e Pari opportunità dell’Isfol oltre che responsabile del servizio statistico. «Non direi proprio», risponde l’esperto. «Le donne non hanno sfondato il soffitto di cristallo, ma continuano anche a essere “segregate” in alcuni settori. Non riescono a distribuirsi in modo da approfittare di tutte le opportunità offerte dal mercato».
Eppure in questi vent’anni nel mondo del lavoro italiano sono arrivate due milioni di donne in più (dai 7,3 milioni del ’93 ai 9,3 del 2011). «Il problema», precisa Centra, «è che queste signore sono finite negli stessi settori in cui erano entrate le loro mamme. Di fatto, consolidando le differenze. Inoltre l’aumento delle donne nelle professioni non qualificate lascia intuire uno straordinario spreco di competenze». Ma, a parità di qualifica, le donne guadagnano meno degli uomini, con un differenziale di genere (come si chiama adesso) del 9 per cento circa.

Il peso della famiglia. La prima intuizione di fronte a questi dati, ancora sconfortanti, è che la maternità c’entri, e non poco in questa situazione, anche se il nostro tasso di natalità è basso. «In effetti in tutti i Paesi europei, al di fuori della Finlandia, le mamme lavorano meno delle donne senza figli»; sottolinea Paola Profeta, docente di Scienza delle finanze all’Università Bocconi di Milano e autrice, con Alessandra Casarico, di Donne in attesa (Egea editore), «ma c’è un paradosso che è tutto italiano: l’abbandono del lavoro dopo la nascita del bambino è una scelta/obbligo che arriva al 27 per cento delle occupate e che si rivela spesso definitiva, a differenza di quanto avviene in altri Paesi europei. Tasso di abbandono, poi, decisamente più alto per le donne che hanno soltanto la licenza media e per quelle che vivono al Sud». Al di fuori di una fetta di privilegiate, il confinamento fra le pareti domestiche (ancora oggi il 50 per cento delle famiglie italiane è monoreddito) è una realtà. Dovuta alla mancanza di servizi per l’infanzia e di flessibilità (come part-time, telelavoro, congedi parentali), ma frutto soprattutto di un pregiudizio culturale durissimo a morire, motore primo di questo vuoto: l’idea che la “conciliazione” fra identità sociale, personale e affettiva (figli compresi) sia una questione squisitamente, ed esclusivamente, femminile. Idea che trasforma la questione in un macigno: ecco, allora, che la cura della famiglia impegna la donna per sei ore al giorno, mentre l’uomo si limita a un’ora, quando va bene. D’altro canto, non parla da sé l’inattività femminile delle province di Napoli e Crotone che arriva al 72,4 per cento?

Le scelte politiche. La questione è complessa, senz’altro condizionata anche da scelte politiche. Illuminanti, a questo proposito, le ricerche condotte sull’allocazione delle risorse nei Comuni e il “genere” dei politici che li governano (sindaci, consiglieri comunali). Dove predomina il sesso maschile, si opta per la giustizia, la pianificazione del territorio; dove domina il “rosa”, si previlegia la spesa per la scuola dell’infanzia e la primaria, le biblioteche, lo sport, l’assistenza agli anziani. Guarda caso, quello che solleva un po’ le donne dal famoso macigno.