Edoardo Vigna, Sette 4/1/2013, 4 gennaio 2013
«L’EURO-COMPLOTTO, GLI ERRORI GIUDIZIARI, I PARADISI FISCALI...» LA VITA È TUTTA UN LEGAL THRILLER E JOHN GRISHAM È IL SUO PROFETA
«L’EURO-COMPLOTTO, GLI ERRORI GIUDIZIARI, I PARADISI FISCALI...» LA VITA È TUTTA UN LEGAL THRILLER E JOHN GRISHAM È IL SUO PROFETA –
Mettiamo che ci sia l’uomo più ricco del mondo: 45 anni, americano, gestore di hedge fund, un pessimo tipo. Ha il jet privato, ovviamente, e lui si trova sul suo yacht, il più grande del mondo, da qualche parte nel Mediterraneo, fra le isole greche». Fa una pausa sapiente, John Grisham, mentre racconta la trama. Be’, è il re del legal thriller, se non la sa fare lui, una pausa sapiente... «Un giorno, a bordo, si scopre il cadavere di un uomo. La polizia arresta il miliardario, ferma anche il suo aereo sulla pista, pronto a farlo scappare. Lui pensa di versare delle tangenti, per tornare negli Stati Uniti, al sicuro. E qui salta fuori la sorpresa. I greci hanno un disperato bisogno di denaro». Il debito sovrano è una voragine... «E allora: quanto deve pagare il protagonista? Cinque, miliardi di euro? 10, 20?». È così che comincia a svelarsi un “complotto”. C’è chi lo vede dietro la recessione, tra i protagonisti della finanza e della politica, anche da noi. «So che c’è un enorme risentimento, in Grecia, in Spagna, in Italia, verso i tedeschi e i ricchi del Nord Europa. È una grande storia». Lo scrittore – sollecitato così, al volo – abbozza una trama di cospirazione. «È un’idea a cui avevo pensato tempo fa: potrebbe funzionare per la situazione attuale».
Sì, perché il mondo è un grande legal thriller. E John Grisham è il suo profeta. Pronto a cogliere l’ispirazione ovunque. E non serve nemmeno andare troppo lontano da qui, dallo studio di Grisham, nel cuore storico di Charlottesville. Sonnolenta Virginia, Stato sudista, a due ore e mezzo d’auto da Washington, dove il tempo sembra essersi fermato: fra i mattoncini rossi del corso storico, che risale al 1730, c’è il teatro Paramount, con le lampadine accese sull’insegna, la Bank of America con le colonne ioniche sulla facciata, e neanche un caffè Starbucks. «Il primo caso che mi ha ispirato fu un processo per una violenza carnale, nel Mississippi: lo seguii fra il pubblico. Mi diede l’idea per il primo libro (Il momento di uccidere, ndr). Poi ci sono stati procedimenti contro una multinazionale del tabacco, un colosso assicurativo (L’uomo della pioggia), un caso di omicidio di due bambini (L’appello)».
L’ex avvocato in anteprima. Bastano un cadavere, qualche poliziotto più o meno capace, magari un giudice federale corrotto e un’aula di tribunale, a John Grisham. Oltre che a un avvocato, naturalmente. Come Malcolm Bannister: «Nero, 43 anni, condannato per un reato che non sapevo di commettere». Così si presenta il protagonista del suo nuovo romanzo, L’ex avvocato: «È il mio 30° giallo, e Malcolm il mio 24° avvocato-protagonista», spiega lo scrittore. «Lui, però, è diverso dagli altri: è un legale di provincia di pelle nera – in questo Paese la questione razziale ha sempre un suo peso –, e soprattutto, quando entra in scena, alla prima riga, sta dietro le sbarre da 5 anni. Se sai fin da subito che l’eroe ha fatto qualcosa di sbagliato, tutto diventa più difficile. Quindi ho dovuto lavorare di più su di lui, per far capire al lettore che era una brava persona». Ingredienti che hanno contribuito a far avere al libro la standing ovation dei critici letterari di New York Times, Washington Post, Wall Street Journal e Financial Times tutti insieme. «È la prima volta», aggiunge, sinceramente contento dell’en plein: «Le stroncature feriscono sempre, soprattutto se gratuite. Quando le recensioni sono negative, il mio agente mi chiama e dice: “non leggere”. E io evito...». Che, ammesso da uno scrittore che ha venduto più di 260 milioni di copie (per fare un conto, il super-bestsellerista Ken Follett viaggia intorno a quota 140 milioni), è davvero inaspettato.
In fondo, chissà, la sua soddisfazione è dovuta al fatto che – a parte l’età (l’autore ha 57 anni), il colore della pelle e la divisa da carcerato («Mai stato dentro», dice di sé lo scrittore, «neppure da ragazzo quando si passava una notte in prigione per aver guidato da ubriachi») – c’è molto di Grisham, in Bannister. «Lui, come me», dice della creatura, «non ama i giudici, i pubblici ministeri, i direttori delle prigioni e l’intero sistema giudiziario americano. Inoltre, se io fossi in prigione per un errore, come lui, starei studiando una vendetta». Ma c’è un altro elemento, ancora più profondo: lo scrittore, come il suo personaggio, è un vero ex avvocato. Che ha esercitato 10 anni in una cittadina dello Stato del Mississippi, America profonda, prima di cambiare mestiere. «Ero pieno di ideali di giustizia. Sognavo di diventare un principe del foro. Un grande processo, seguito da schiere di giornalisti. La legge è la mia materia: se apro un legal thriller, posso dire in meno di 10 pagine se chi l’ha scritto non è un vero giurista».
Il mancato fiscalista. Sarà per questo che ogni “processo” che tocca, diventa oro. La sua è la storia di una vocazione autentica. Precoce, viene da ipotizzare. «La mia prima volta in un’aula di tribunale», ricorda Gri-sham, un gentiluomo alto ed elegante, seduto nel suo ufficio di rappresentanza, così spoglio da essere quasi inquietante, «è stata a 17 anni. Ci portò la scuola. Processo per furto. Dopo un paio d’ore eravamo annoiatissimi. Per fortuna c’è stata una pausa. Il giudice è venuto fuori e, indossando ancora la toga nera, s’è messo fra di noi a rispondere per 15 minuti a tutte le domande. Sullo scranno era stato duro, con avvocati e testimoni. Con noi fu simpatico e affabile».
E fu amore a prima vista... «Macché: la decisione di diventare avvocato venne dopo», spiega. Di certo, però, i lettori riconoscono in queste reminiscenze un’altra ispirazione: quella dei suoi libri per ragazzi, protagonista il piccolo aspirante penalista Theodore Boone, di cui ha appena finito di scrivere il 4° caso. «Ho passato i primi due anni di college a correre dietro alle ragazze. E i miei voti non erano per niente buoni. Finché, una mattina, mi sono alzato e ho pensato: non posso andare avanti così. Decisi: divento avvocato. Fiscalista, però». Colpo di scena. Perché i gialli “tributari” potrebbero piacere giusto ai sostenitori di Equitalia (e non sono tanti...). «Seguendo le lezioni, anch’io mi chiesi presto: come m’è venuto in mente!», rammenta Grisham. Che così ebbe una nuova illuminazione: «Ci fu una gara, noi studenti dovevamo simulare un processo. Realizzai subito quanto mi piacesse. L’ultimo anno stavo più nelle aule del tribunale, a Oxford, Mississippi, che all’università. Facevo la fila per seguire le migliori arringhe».
L’imputato è... Così nacque l’avvocato Grisham. Targhetta sulla porta, mobilio di legno. «A 27 anni, il mio primo processo per omicidio. Lo Stato contro un giovane che aveva sparato, uccidendolo, a un uomo che insidiava la moglie. Il mio cliente era un bravo ragazzo nero di campagna, senza soldi ma molto apprezzato nella sua comunità. La vittima aveva una brutta reputazione e notoriamente dava fastidio alle donne degli altri: questa era la mia linea di difesa. In più, s’era trattato di uno scontro a fuoco. Ma eravamo in Mississippi: giuria tutta di bianchi. Rischiava più di 20 anni. Dopo tre ore, vennero fuori con il verdetto. La sua famiglia era lì. Mia moglie, mia madre e mia suocera erano lì. “Non colpevole”. Mi pagarono mille dollari per una montagna di lavoro: ma ero la persona più felice del mondo».
A questo punto, però, la passione della scrittura si sovrappone a quella giudiziaria, e l’improvviso successo de Il socio trasforma il promettente avvocato nel re Mida del giallo giudiziario. Che oggi, ogni mattina alle 6 e mezzo, esce dalla sua residenza vecchia di 250 anni («Per voi europei è roba recente, ma per noi americani è storia...»), nel cuore della campagna, con un beverone di caffè – «forte» – e si trasferisce nella dépendance a pochi metri di distanza. «Un tempo era la “cucina degli schiavi”, staccata dalla casa padronale per proteggerla dagli incendi; 18 anni fa, quando siamo venuti a vivere qui, mia moglie Renée ha fatto una splendida ristrutturazione». Una grande stanza senza collegamento internet, niente Facebook né Twitter: «Io non “seguo” nessuno. E non voglio che nessuno possa penetrare nel mio computer: ad alcuni scrittori è capitato».
Qui Grisham lavora con una disciplina impressionante, fino alle 11, cinque giorni alla settimana. Sentite la pianificazione del 2013. «Il 1° gennaio comincio un nuovo thriller: sarà il sequel del mio primo, Il momento di uccidere, e il mio primo sequel in assoluto. L’obiettivo è di finire il 30 giugno. Luglio e agosto li userò per rivedere il tutto. Il 1° settembre avvierò un nuovo episodio della serie per ragazzi. Chiusura, il 1° dicembre. Non aspiro a fare letteratura: voglio produrre fiction popolare di alta qualità. E mi diverto ancora parecchio, a scrivere. A tenere il lettore sospeso, a portarlo a pensare d’aver intuito la soluzione, per poi dover invece ammettere “non ci capisco più niente”. E dal 1° gennaio mi metterò a leggere tutti i libri del grande William Faulkner, nell’ordine in cui li ha scritti. Alcune pagine al giorno: ho bisogno di leggere. Se l’esperimento funziona, replicherò con un altro autore: mi mancano molti classici, a cominciare dagli autori russi e dall’Inferno di Dante».
Ama Mark Twain, John Grisham: «Il primo grande autore americano, vero anticonformista». Ha apprezzato assai l’ultimo libro dell’inglese Ian McEwan. Del resto, anche la grande letteratura può ispirare i gialli. «Ogni storia comincia da un caso reale. Ma per L’ex avvocato c’è qualcosa di più. Ricorda A sangue freddo, di Truman Capote? Un capolavoro, che prendeva spunto dalla storia avvenuta in un villaggio nel Kansas, dove un’intera famiglia venne trovata uccisa una domenica mattina. Nessun indizio. Le indagini andarono avanti per mesi senza risultati. Alla fine, un detenuto convinse così il direttore della prigione a chiamare l’Fbi: “So chi è stato e so perché. Ma prima che ve lo dica, dovete tirarmi fuori di qui”. Ci riuscì. Un grande spunto per un nuovo libro».
Perché l’ispirazione è ovunque. «Be’, in Italia ci sono ottime storie», ragiona Grisham. Il caso di Amanda Knox è stato seguitissimo anche in America. «Non conosco i dettagli, ma se c’erano prove, lei non sembrava il tipo dell’assassina. Ci sono cose, però, del processo, che noi americani non avremmo mai accettato: l’accusa non può usare espressioni tipo “le cose potrebbero essere andate così”, “forse lei ha fatto questo”!». Altri spunti interessanti? «Quel terribile omicidio durante i disordini da stadio. La storia di Roberto Saviano: il suo è un grande libro. E lui è un tipo coraggioso. Silvio Berlusconi, poi, mi strappa sempre un sorriso... Non è il suo editore, vero? Ah no, è il mio! Be’, ricorda Donald Trump, è come il teflon: non riesci a prenderlo, riemerge sempre».
La scelta dei volti. Ma l’idea per un bel giallo è davvero dappertutto (tranne che in tv: «Non la guardiamo, a casa», trancia netto). «Nel destino di tre amici avvocati della mia età: erano ricchi e potenti, sono finiti in carcere, condanna a 30 anni, ho fatto loro una visita». Così sono finiti anche fra i compagni di detenzione di Bannister. Idee infinite possono nascere da una vacanza in uno dei tanti paradisi fiscali, dalle Cayman alle Bahamas. «Luoghi affascinanti: ci sono i soldi delle grandi banche, c’è la droga, che qui ha cominciato a ripulire i proventi, ci sono gli omicidi. Per L’ex avvocato sono andato ad Antigua: non c’ero mai stato. E in Giamaica: ho chiesto a diversi avvocati come funzionava il sistema detentivo: loro mi hanno portato a vedere coi miei occhi le prigioni (elemento cruciale del libro, che ovviamente non sveliamo, ndr)».
E i suoi personaggi? Anche loro sono ovunque. Potrei diventarlo anch’io (magari...) dopo questa intervista. «Gli scrittori rubano volti. Non penso mai a un attore, tranne ora, per il seguito de Il momento di uccidere, in cui m’immagino ancora Matthew McConaughey. Di solito mi piace una foto su un giornale, su un catalogo pubblicitario. Talvolta è qualcuno che incontro. Prendo l’immagine e l’attacco al muro della mia stanza di lavoro. In mezzo ai diagrammi della trama, che può essere molto complicata». E che deve passare un test “d’ingresso”. «L’ottimo John Irving sostiene di scrivere, come prima cosa dei suoi libri, l’ultima frase. Io non arrivo a questo, ma conosco in anticipo la scena finale. Può prenderti mesi, ma dopo non puoi perderti. Quando ho la visione d’insieme, mi siedo con Renée e le racconto la storia in poche frasi. “Un avvocato è in prigione, un giudice è stato ucciso, l’avvocato sa chi è stato...”. Se non è convinta, sa essere dura». Del libro, Grisham le sottopone 200 pagine per volta: «Mi segna un mucchio di note». In fondo è un po’ colpa sua se il marito non usa mai scene erotiche. «Ho deciso di evitare un linguaggio sessuale esplicito: non serve, e non mi va che mia madre lo legga». Ma non è solo questo: «Mia moglie sostiene da sempre: “Gli uomini non possono scrivere di sesso”. Anni fa, stavo finendo un romanzo, ho voluto provare. Mi erano sembrate pagine ottime! Poi le ho date a lei... Era di sopra, in camera da letto, e a notte tarda l’ho sentita che sghignazzava: “Ma che ne sai di sesso, tu!”. Mai più!».
Il cuore è Charlottesville. E per tutto il resto? C’è Google. Grisham le ricerche le fa da un altro computer, in casa: «Se voglio ambientare una scena in un hotel di Milano, in un attimo lo visualizzo; ai vecchi tempi dovevo comprare una guida. Per L’ex avvocato ho digitato: “Come sopravvivere in prigione”: sono venuti fuori 10 libri! “Come sparire dalla circolazione”: 50. Uno di questi, scritto da un detective, è diviso in capitoli: devi sparire in 24 ore? Ecco cosa fare. Hai una settimana? Hai un anno? Altre dritte».
Tutto rimanendo gran parte del tempo a C’Ville, come contraggono qui il nome della cittadina, 130mila abitanti, il prestigio e la gioventù dell’University of Virginia fondata da Thomas Jefferson, pochi barbecue («In North Carolina sì che sanno farli!»), i film «la sera alle sette con mia moglie, al cinema Vinegar Hill, e poi cenetta lì accanto, al Camino, cucina mediterranea con vini italiani e francesi». Una sala d’essai, che proietta film stranieri e indipendenti (e infatti è a rischio chiusura), una trattoria con le panche in legno preferita alle atmosfere soffuse e alle poltroncine in pelle verde del più borghese Downtown Grille. «Abbiamo appena visto Lincoln, bellissimo. E Argo, sui giorni in cui è scoppiata la rivoluzione iraniana, davvero efficace». E poi? Lunghe passeggiate nella campagna: «È un gran posto dove vivere. Siamo gente del Sud. Se vado a New York, al massimo resisto due notti. Ai miei figli ho cercato di trasmettere i valori che hanno insegnato a me. L’integrità, l’importanza di trattare le persone lealmente. Il maschio ha 29 anni e fa l’avvocato qui, la femmina ne ha 26 e insegna a scuola, a Raleigh, North Carolina (a 200 chilometri, e parecchi barbecue in più di distanza, ndr). Abbiamo sempre detto loro che bisogna lavorare sodo, perché nulla è scontato».
Ora nella sua vita – e nei libri, ovviamente – è entrato anche il golf: «Quando ero ragazzo, lo consideravo uno sport da country club», racconta. Roba da ricchi, per il figlio di un lavoratore edile: «Vivevamo in piccole città, si giocava a basket, a baseball. Ma cinque anni fa, in una vacanza in Florida, mio figlio mi ha detto: dai papà, prendiamo lezione. Non sono bravo, ma mi piace». Uno sport che gli permette di tirare un colpo di mazza al presidente Obama: «Mi piacerebbe che lui, invece, smettesse di stare così tanto sul green per passare più tempo a lavorare. E magari imparasse un altro “gioco”, quello della politica, in cui eccellevano presidenti come Clinton, Reagan, Lyndon B. Johnson, che sapevano come si convincono senatori e congressmen. Invece continua a parlare troppo e agire poco. Ma resto ottimista». Come nei confronti del futuro di Hillary, che è un’amica di lunga data. «Spero che riesca a prendere un break, dopo anni estenuanti. Per sei mesi, legga, ricarichi le batterie. Ha fatto una grande carriera: correre per la Casa Bianca tra 4 anni? Oggi ne ha 65, non sarebbe troppo vecchia, ma quasi...».
Dalla parte degli innocenti. Ma cosa rimane dell’avvocato idealista che fece assolvere un bravo ragazzo nero di campagna? John Grisham ha spesso usato i suoi libri per continuare ad attaccare il sistema giudiziario. È davvero così messa male l’America delle aule dei tribunali? «In questo Paese ci sono migliaia di innocenti in prigione per colpa di pessimi poliziotti, pessimi procuratori, analisi di laboratorio inesatte, prelievi biologici – capelli o segni di morsi – sbagliati sulle vittime ed errori scientifici nelle corti fatti da periti non qualificati. Quando poi gli stessi procuratori contrastano ogni sforzo di correggere un errore giudiziario, perdi fiducia del tutto». Un quadro agghiacciante (perfetto però per i thriller...).
«Eppure mettere a posto le cose sarebbe facile». Grisham è nel consiglio dell’Innocence Project di New York: «Nella metà dei processi è provato che il primo errore avviene con l’identificazione da parte dei testimoni oculari. Prendiamo un caso di stupro: di solito, una donna bianca violentata. Lei è traumatizzata, magari è stata picchiata, e la polizia che fa? Comincia col mostrarle le foto di un ragazzo nero: vive nella zona, le dice, ha precedenti del genere. L’immagine le si fissa in testa». Quando lo vede fra gli altri, in piedi dietro lo specchio per il riconoscimento, lo indica di sicuro. «La polizia ha tanti modi per manipolare. Ecco, la prima riforma da fare: lasciare che la vittima possa fare l’identificazione senza condizionamenti». Grisham e l’Innocence Project hanno già fatto scagionare 301 persone grazie al dna. «Sono i casi più semplici. Ma il 25% di questi comprendeva anche false confessioni. La polizia porta il sospetto nella stanza per gli interrogatori, chiude la porta a chiave, e lo tiene lì per 10-12 ore. Ma così fai crollare chiunque, anche me! Se sospetti qualcuno di un delitto, cosa c’è di sbagliato nel permettergli di avere accanto un avvocato? Nessuno può pensare il contrario in uno stato di diritto. E perché non riprendere tutto con la videocamera? La polizia, invece, non registra le 12 ore di abusi: l’accende solo nei 15 minuti finali della confessione».
Naturalmente, anche questo c’è nel nuovo libro. Ma insomma, non sarà che Grisham, sotto sotto, non rimpianga la professione? «Mai. È un lavoro frustrante e mal pagato. Non tornerei mai indietro». Insomma, molto meglio raccogliere l’ispirazione dai casi reali. E ridar loro vita in un best seller.