Aldo Grasso, Sette 4/1/2013, 4 gennaio 2013
CONDANNATI A ESSERE PENDOLARI
[Sono oltre 14 milioni, il 23,4% della popolazione. Ma non ci avevano detto che, con le nuove tecnologie, sarebbe aumentato il lavoro a km zero?] –
La città è ben lontana dal morire o dal declinare, ma non vi è dubbio che la città che ci è stata tramandata dalla storia di due secoli di urbanesimo industriale si stia trasfigurando radicalmente. Anzi, si è già in tal misura modificata da rendere la nuova forma urbana profondamente contraddittoria con l’idea di città che ci è tuttora familiare». Così Guido Martinotti, in Metropoli. La nuova morfologia sociale della città (Il Mulino, 1993). Martinotti, scomparso a Parigi il 5 dicembre 2012, è stato uno dei maggiori esponenti della sociologia urbana e le sue analisi sulle dinamiche della trasformazione metropolitana restano ancora oggi fondamentali. Dalla vecchia definizione della città come intreccio di relazioni tra residenze e attività, si deve passare a una definizione più complessa.
Ma che dire di fronte a numeri impressionanti forniti da una ricerca del Censis? Dal 2007 a oggi ci sono un milione di pendolari in più. I pendolari in Italia sono 14.195.000, pari al 23,4% della popolazione con più di 14 anni. Il numero delle persone che si recano ogni giorno, per lavoro o studio, in un comune diverso da quello di residenza è in forte crescita. Il Rapporto Censis, di fronte a un simile e per tanti versi inaspettato aumento, stigmatizza “lo storico ritardo del Paese sul fronte dell’organizzazione della mobilità umana e regionale”. Tra l’altro, alla crescita del pendolarismo corrisponde una crescita dell’uso di auto e moto perché il trasporto pubblico non soddisfa più i bisogni della popolazione in movimento.
Ma non ci avevano spiegato, anni fa, che con le nuove tecnologie sarebbe aumentato il lavoro a km zero? Non ci avevano detto che fra i nuovi abitanti delle metropoli (residenti, pendolari, city users, metropolitan businessmen, secondo la classica divisione di Martinotti) i pendolari sarebbero diminuiti?
La ristrutturazione del lavoro dall’industria al terziario e i nuovi usi del tempo libero hanno influito profondamente sull’organizzazione delle città, spesso a discapito dei residenti che, tra l’altro, si devono sobbarcare tutte le spese della fiscalità comunale. Per esempio, a Milano, siamo in presenza di migliaia e migliaia di persone che lavorano 5 giorni la settimana, usando la città, ma che pagano le imposte (comunali ed erariali) ai comuni di residenza.
Contraddizioni metropolitane. C’è anche un aspetto psicologico di cui non si tiene mai conto: ogni mattina nelle grandi città sbarcano persone sempre arrabbiate per i ritardi o le code, sempre scontente per la calca, sempre imbestialite per i disservizi, e gli effetti di questa condizione psichica producono seri effetti sul lavoro. Il mondo è diventato più piccolo grazie all’information technology e ai trasporti, ma le contraddizioni delle metropoli diventano sempre più grandi, sempre più drammatiche.