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 2012  dicembre 31 Lunedì calendario

LA FABBRICA FAI-DA-TE

[Personalizzazione contro i vecchi modelli tutti uguali. Dipendenti creativi. Linee di’ montaggio flessibili
e riconfigurabili. L’industria dell’auto salvata dai maker] –
Al modello Volt di Generai Motors sono serviti sei anni e 6,5 miliardi di dollari per venire alla luce. Tesla è un produttore di auto elettriche nato seguendo le linee imprenditoriali della Silicon Valley, eppure anche la sua Roadster è costata sei anni di fatica e 250 milioni di dollari di investimento. Alla Rally Fighter (un’auto da corsa open source creata dai maker di Locai Motors a Chandler, Arizona, ndr) sono bastati 18 mesi e tre milioni. Certo, è un modello molto meno complicato delle altre due vetture elettriche con cui l’ho messa a confronto, ma ora che si comincia a entrare nell’età elettrica, la complessità diventa per lo più questione di bit, non di atomi. (...)
E quindi in che modo questa situazione potrebbe cambiare le cose? Be’, tanto per iniziare creando un’alternativa alla nozione di obsolescenza programmata e di vita media del prodotto. A mano a mano che la componente principale di beni quali le automobili diventa sempre più software e meno hardware, allora è anche possibile invertire la freccia del tempo: i prodotti, anziché peggiorare dopo l’acquisto, potrebbero migliorare, perché è possibile aggiornare i loro elementi software. (...) Dopo tutto, a muovere le macchine sono sempre più "i fili" piuttosto che i collegamenti meccanici. (...) E allora come mai la casa automobilistica non aggiorna regolarmente i software per migliorare le prestazioni del veicolo, un po’ come accade con i browser per il web?
Perché preferirebbero vedervi comprare una macchina nuova. Un prodotto creato dalla comunità, invece, non attribuisce un simile valore all’obsolescenza programmata. Se la gente vuole dare nuova vita a prodotti vecchi, è libera di farlo. Nuovi bit possono infondere nuova vita a vecchi atomi. Ford, per esempio, sta già prestando attenzione. All’inizio del 2012 ha collaborato con TechShop per portare nella sua città natale uno dei suoi stabilimenti condivisi. Con i suoi 1500 metri quadrati, Detroit TechShop è immensa ed equipaggiata con laser cutter, stampanti 3D e macchine utensili Cnc. (...) I dipendenti di Ford sono liberi di utilizzare lo spazio giorno e notte per progetti legati al lavoro o personali, e Ford prevede di accettare 2000 nuovi mèmbri nel primo anno. Fra le idee che gli impiegati di Ford hanno collaudato nel nuovo spazio creativo ci sono un metodo per tirare la macchina fuori dalla neve, una valvola a ingresso singolo per fare uscire aria dall’abitacolo e contribuire a sbrinare i vetri e un dispositivo per facilitare l’entrata e l’uscita dei veicoli prova. Da quando è cominciato il programma, in azienda le presentazioni di brevetti sono aumentate del 30 per cento, incremento che i dirigenti attribuiscono a TechShop e alla sua iniezione di spirito ma- ker. È cosi che si reinventano le industrie.

DETROIT OVEST (DI NUOVO). Non vi serve l’immaginazione per pensare a come potrebbe essere un’intera industria automobilistica costruita con queste premesse: esiste già. In quella che era la ex fabbrica Generai Motors/Toyota Nummi (New United Motor Manufacturing, Inc.) di Fremont, California, Tesla ha costruito rimpianto più moderno del mondo. Caso vuole che produca automobili, ma in realtà potrebbe fare di tutto. Non è semplicemente automatizzata, è un vero e proprio esercito di robot. Centinaia di bracci Kuka si occupano di tutto, dalle piegature delle lamiere all’assemblaggio. Veicoli robotizzati trasportano i telai delle auto ricaricandosi nel frattempo da soli grazie a piastre a induzione. I bracci robot Fanuc possono aprire le portiere per verniciarle tutto attorno, richiudendole poi una volta terminata l’operazione.
In questo stabilimento Tesla produrrà 20 mila macchine l’anno; possono sembrare tante, ma la rendono comunque un attore di nicchia nel mercato globale delle automobili. Nonostante ciò, quello che è piccolo per le auto resta immenso per tutti gli altri. La fabbrica di Tesla occupa parte di un edificio lungo più di un chilometro. Darà lavoro a oltre 1000 persone, ed è già rimpianto più grande di tutta la Silicon Valley. (...) Parte di ciò che rende questa fabbrica così innovati- va è il fatto che non produce le solite auto. Innanzitutto la Model S, con cui inizierà, è completamente elettrica, caratteristica che la imparenta a un computer portatile quanto a una tradizionale auto a combustione. Invece di elaborate componenti meccaniche come motore, cambio e trasmissione, le automobili Tesla possiedono pacchi di batterie agli ioni di litio, motori elettrici, componenti elettroniche e software. Ciò significa che le loro parti meccaniche rappresentano soltanto una minuscola frazione rispetto a quanto accade nelle macchine tradizionali. Sono più semplici, perciò più facili da costruire. (...)
Gilbert Passin, vicepresidente della produzione di Tesla, spiega che rimpianto è come un’enorme macchina Cnc: la si può con figurare per produrre quasi qualunque cosa. L’intera fabbrica è riprogrammabile e ogni auto può uscire diversa. Lo stesso impianto è in grado di produrre modelli differenti in contemporanea, utilizzando parti completamente diverse, persino alternandole. Henry Ford era per la standardizzazione e per il "di qualsiasi colore purché nero", Tesla spinge invece per la personalizzazione, dai colori delle rifiniture al numero di celle nelle batterie al litio. La fabbrica di Tesla è persino in grado di eseguire i collaudi su strada dei veicoli internamente, utilizzando uno speciale percorso composto da superfici sconnesse di vario tipo che permettono di individuare le guarnizioni che cigolano o non tengono. Il percorso si trova accanto all’ultima linea di montaggio: se ci sono problemi, le persone in grado di risolverli si trovano già sul posto. (...)

LA FABBRICA DI TESLA opera basandosi sul principio di produrre "unità da uno", quindi con uno spirito più vicino di qualunque altra azienda automobilistica al sogno della customizzazione di massa. Dato che una parte così rilevante dell’auto viene prodotta all’interno della fabbrica, ampie scorte di componenti o ancora una lunga supply chain, con tutta la rigidità che comporterebbero, diventano superflue. Con l’integrazione verticale arriva il controllo totale: è il massimo del just-in-time, perché si fabbrica quello che serve quando serve.
Facciamo un confronto con la fabbrica Generai Motors/Toyota che occupava in precedenza gli stessi spazi. Nel 1984, Nummi venne lanciato come ambizioso progetto di trasferire anche alla produzione automobilistica americana la rivoluzione giapponese nell’efficienza produttiva, le cosiddette tecniche di "produzione snella" di cui Toyota era stata pioniera. La stessa Nummi stava occupando una fabbrica andata in fallimento, la Fremont Assembly di Generai Motors, chiusa due anni prima dopo venti di attività con la fama di peggior impianto automobilistico degli Stati Uniti sulle spalle. (...)
Nummi invece era nata per contribuire a reinventare l’industria automobilistica americana, a cominciare dal concetto di fabbrica. Rappresentava, in un certo senso, il primo esempio nel settore di rinascita di un’ area dismessa. Prendete un’azienda fallita dell’epoca che fu, sostituite tutto il sostituibile e ripartite con un approccio totalmente diverso. (…)

LA PRODUZIONE SNELLA giapponese si concentrava per lo più sul coinvolgimento dei lavoratori, incoraggiandoli a fornire feedback costanti in modo da eliminare gli sprechi e ridurre gli errori. La speranza era insomma quella di poter rendere gli operai americani produttivi quanto quelli giapponesi, fornendo loro un ambiente di lavoro migliore che rendesse possibile assumersi la responsabilità dei propri risultati e sfruttare le idee per ottimizzare le procedure. I parallelismi fra ieri e oggi sono lampanti. L’ambizione era la stessa: produzione snella, efficiente e di alta qualità che sfrutta l’automazione per dare risultati migliori, modelli di approvvigionamento just-in- time per abbassare i costi e aumentare la flessibilità. La differenza, però, sta nel fatto che, allora, automazione significava sistemi digestione personalizzati e specializzati ognuno in una determinata attività, visto che i bracci robotizzati multifunzione non erano ancora stati inventati.
La prima generazione dell’automazione computerizzata era più simile ai telai a vapore che ai moderni robot: faceva una cosa meglio di un essere umano, ma soltanto una. Ne derivava che i macchinari fossero efficienti per realizzare un prodotto, ma incredibilmente complessi da riconvertire nel caso se ne volesse ottenere uno diverso. Prima che Generai Motors e Toyota chiudessero Nummi, nel 2009, in diverse parti dell’impianto venivano prodotte Toyota Corolla e Tacoma. Ci fu una proposta di salvataggio dell’ultimo minuto: produrre Prius ibride con il marchio Generai Motors, ma modificare lo stabilimento era semplicemente troppo difficile.
Ugualmente, il modello di approvvigionamento di Nummi era di gran lunga migliore rispetto alle ordinazioni per lotti di Detroit,ma continuava a basarsi su un’intricata catena di fornitori, la maggior parte dei quali non californiani. Anzi, se c’è qualcosa che ha dato il colpo di grazia a Nummi è stato proprio il fatto di avere uno stabilimento così lontano dai fornitori del Midwest. (...) Il just-in-time aveva migliorato la supply chain, ma non poteva cambiarne radicalmente la natura. Più una fabbrica era dipendente da parti realizzate altrove, meno poteva essere flessibile e più si esponeva al rischio di interruzioni del flusso lavorativo o di oscillazioni dei prezzi. Essendo Nummi tanto dipendente da una catena così lunga di fornitori, gran parte dell’impianto doveva essere dedicato all’immagazzinamento di componenti di serie.

OGGI LA GRANDE DIFFERENZA sta nella produzione digitale. Diversamente dall’automazione personalizzata di Nummi, la maggior parte dei robot di Tesla sono macchinari Kuka standard, con bracci compositi leggeri, sei assi di movimento e la capacità di sollevare 1000 chilogrammi. Non solo bastano pochi minuti per riprogrammarli e impostare funzioni diverse, ma già svolgono decine di azioni differenti come parte della loro routine lavorativa. Accanto ai bracci Kuka, nell’ala assemblaggio dello stabilimento di Tesla c’è una serie di diverse teste di lavorazione. Un braccio potrebbe cominciare a operare con una testa di saldatura, poi passare a una che avvita i bulloni, poi ancora a un dispositivo di presa, il tutto automaticamente. Anche i robot che si limitano a spostare una lamiera da una macchina di stampaggio all’altra sono bracci Kuka. A differenza dei macchinari di trasporto specifici di cui hanno preso il posto, utilizzano ventose o altri sistemi prensili ad aria compressa per spostare materiali di ogni forma e dimensione.
Le macchine di stampaggio di Tesla sono eredità di Nummi (adattate a operare sull’alluminio leggero anziché sul vecchio acciaio), ma l’automazione che le fa funzionare è totalmente nuova. Lo stesso per la supply chain. Musk è fissato con l’idea di trasferire in sede il maggior numero possibile di processi di fabbricazione, e dispone dell’esperienza necessaria per sapere come riuscirci. È quello che ha fatto con la sua azienda di razzi, SpaceX, ora leader nel settore spaziale privato.
La sua tecnologia di base non è molto di- versa da quella utilizzata dalla Nasa, ma i processi produttivi consentono di andare in orbita a costi decisamente inferiori. Diversamente da quanto accade con la complessa (e politicizzata) rete di appaltatori, subappaltatori e sub-subappaltatori del modello industriale aerospaziale della Nasa, SpaceX fa quasi tutto da sé, servendosi di strumenti di fabbricazione digitali. La tecnologia consente di ridurre ampiamente sia la complessità che la burocrazia, addirittura con un decimo dei costi ma maggiore affidabilità. Non è stato necessario reinventare la fisica dei voli spaziali per migliorare il modello Nasa: larga parte dell’innovazione si concretizza in fabbrica.
Tesla ha intenzione di fare lo stesso nel settore automobilistico. Le supply chain di una volta si basavano sui principi economici classici di divisione del lavoro e di vantaggio comparato: l’azienda che aveva le capacità e gli strumenti per produrre i cambi non era come quella in grado di fabbricare cruscotti di plastica o software abs. Ognuna si specializzava e l’ufficio acquisti le integrava tutte nella supply chain.
È come agli albori dell’era computerizzata. Esistevano computer più adatti ai calcoli, altri alle traiettorie dei missili balistici, altri ancora ai censimenti. I ricercatori inventarono poi i computer multifunzione, e oggi i pc sulla vostra scrivania sono in grado di fare qualunque cosa. Ogni programma che aprite riconfigura la macchina per svolgere una funzione diversa. Quello che fa il vostro mouse in un browser è diverso da quello che fa quando invece giocate a Call of Duty. Il vostro computer può insomma essere un libro, un telefono, una televisione, un quotidiano, un giocattolo o un guardiano a seconda del programma che utilizzate.

IL PRINCIPIO È LO STESSO per le fabbriche robotizzate. Riconfigurare i robot multifunzione è facile come con il pc. Utilizzando altri strumenti per la fabbricazione digitale, da potenti macchine per la lavo- razione laser che realizzano gli stampi per plasmare il metallo alle macchine Cnc che creano quelli per la plastica, Tesla è in grado di svolgere molte delle attività che una volta venivano demandate ai fornitori, concentrandosi su un prodotto esso stesso risultato dell’informatica - l’auto elettrica, più digitale che meccanica - anche le parti realizzate da Tesla sono riconfigurabili. Invece di utilizzare un complesso sistema di trasmissione meccanica, le prestazioni della Model S sono questione di software. Invece di un cruscotto affollato di indicatori dedicati, gran parte dei display trova posto su un unico schermo multifunzione, proprio come in un pc.
Che genere di futuro si prospetta dunque per l’industria manifatturiera? Un futuro che può permettere all’America e ad altri paesi dai costi relativamente alti di competere. La concorrenza straniera più a buon mercato e la produzione ad alta intensità di manodopera, rigida e obsoleta, hanno contribuito alla chiusura di Nummi. Ora la robotica la sta riaprendo come Tesla.
In questo caso i robot non hanno sostituito gli esseri umani. Nummi è sparita e la fabbrica è rimasta vuota: nessun posto di lavoro, tutti avevano perso. I robot hanno invece ridato vita a un impianto morto, portando con sé 1000 nuove possibilità di impiego ad alta specializzazione e quindi meglio remunerate delle precedenti. Certo, ciò significa che molti dei lavoratori della vecchia Nummi non hanno le competenze necessario a proseguire nella nuova realtà, ma alcuni ce la faranno. Più in generale, si tratta di un modello in grado di affrontare con successo le pressioni economiche esercitate dalla globalizzazione. Le aziende occidentali possono comprare i robot Kuka allo stesso prezzo di quelle cinesi. La componente di manodopera su prodotti come le automobili è drasticamente in via di diminuzione: l’automazione sta prendendo il sopravvento e i tradizionali vantaggi nell’utilizzo di manodopera a basso costo diventano meno rilevanti.
Le materie prime - plastica, bauxite, persino litio - vengono vendute sul mercato globale, dove tutti pagano all’incirca lo stesso prezzo. Restano fuori costo degli spazi, elettricità e tasse. Sono fattori che continuano a esercitare maggiore influenza nel mondo occidentale, certo, ma la differenza è molto più ridotta rispetto al fattore manodopera. Con l’avvento della fabbrica robotizzata, la tendenza plurisecolare del commercio globale verso lavoratori che costano meno potrebbe giungere al capolinea.
Certo bisogna ammettere che la fabbrica di Tesla è un caso particolare. Ha ricevuto sovvenzioni enormi nella sua porzione della vecchia Nummi. (...) Essendo un’azienda automobilistica relativamente nuova (è stata fondata nel 2003), non ha dovuto ereditare gli obblighi pensionistici e le unioni sindacali dei giganti di Detroit, ne la pressione per conservare i posti di lavoro anziché automatizzare. Resta inoltre la piccola questione del prestito federale da mezzo miliardo di dollari ricevuto nel 2010. E poi, parliamoci chiaro: Tesla potrebbe anche fallire. Sta cercando di sfondare nel mercato automobilistico con un veicolo costoso, utilizzando pura tecnologia elettrica al massimo dell’avanguardia, in un mondo dove anche i giganti stanno avendo problemi a convincere i clienti a pagare di più per una tecnologia ibrida vecchia di decenni.

EPPURE, QUALUNQUE COSA accadrà a Tesla, il suo modello produttivo trionferà. Riflette la direziono in cui si sta muovendo tutto il moderno settore manifatturiero, trascinato dal potere delle tecnologie di produzione digitale. Non è un caso se i robot Kuka vengono prodotti in Germania: proprio un’automazione così flessibile è il motivo per cui produrre in un paese con costi alti ha comunque continuato a essere vantaggioso anche di fronte alla concorrenza cinese. (...) La fabbrica di Tesla è solo la più recente a essere stata costruita su questo modello, e di conseguenza è la più innovativa. Oggi produce automobili. Ma la stessa struttura potrebbe fare di tutto.
Dopo un certo numero di generazioni, i mezzi di produzione basilari subiscono una trasformazione: vapore, elettricità, standardizzazione, catena di montaggio, produzione snella e ora robotica. A volte tutto nasce dalle tecniche manageriali, ma i cambiamenti davvero influenti derivano dalla disponibilità di strumenti nuovi. E non ce n’è uno più potente del computer. Invece di guidare la fabbrica moderna, il computer ne sta diventando il paradigma. Infinitamente flessibili e adattabili, i robot industriali multifunzione possono essere combinati fra loro per creare la Making Machine universale. E come i computer, lavorano su qualsiasi scala, dall’impianto lungo più di un chilometro di Nummi alla vostra scrivania di casa. Non è dunque soltanto l’avvento della tecnologia moderna, bensì la sua democratizzazione, a costituire la vera rivoluzione.