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 2013  gennaio 04 Venerdì calendario

LA GIALLISTA TARDIVA

[“Dopo Sartre e una vita in televisione a ottant’anni ho debuttato nel noir”] –
Un’insospettabile ottantenne carica di trine e di segreti. Una vecchina tanto delicata quanto minacciosa, genere arsenico e vecchi merletti. Una rete fitta di enigmi striscianti in un condominio della periferia milanese, Via Worktz 227. Indirizzo con troppe consonanti: tutto d’invenzione, come il resto. Una sciarada poliziesca avvoltolata e sciolta con arguzia. Max Gilardi, investigatore della squadra omicidi, nelle prime pagine deve confrontarsi con quella cerea anziana, solo apparentemente innocua, trovata in stato di cadavere con una fune intorno al collo.
Parliamo di Niente lacrime per la signorina Olga,
il giallo di Elda Lanza pubblicato da Salani. Un buon successo: uscito nello scorso autunno, è già alla seconda edizione. Lo firma un’ardita ottantottenne, dalla personalità versatile e con un formidabile vigore. Complimenti, signora Elda. Nulla, a parte l’età, l’accomuna al personaggio di Olga. Donna vitalissima e tutt’altro che misteriosa, Elda è stata il primo volto in assoluto apparso sul piccolo schermo italiano. È una pioniera della tivù, un’incrollabile veterana della conduzione televisiva. Abita in un paesino del Piemonte, Castelnuovo Scrivia, «che ha un’architettura medioevale e pare un presepe», e sta da 64 anni con lo stesso uomo, Vitaliano Damioli, sposato nel ’55, che è stato un pubblicitario e un esperto di arti visive: «Ora non lavora più, semplicemente fa il marito. E io lo caccio perché invece lavoro sempre. Mi piace tanto scrivere, non mi fermo mai».
Come si è scoperta scrittrice?
«Ho sempre scritto, fin dai tempi della scuola. Ho iniziato a lavorare per Bolero
nel ’49, e nel ’51 mi diedero una rubrica di arredamento su Grazia.
Fu lì che, l’anno dopo, mi “pescò” il direttore della tivù, strumento che ancora non esisteva».
In che modo venne coinvolta?
«Nel ’52 mi affidarono una rubrica intitolata
Prego Signora per la tivù sperimentale: la televisione sarebbe nata solo nel ’54. Avevo passato quattordici provini, ci sapevo fare. Ero carina e spigliata. Studiavo filosofia all’università, ero allieva di Abbagnano e mi appassionava Sartre, che andai ad ascoltare alla Sorbona di Parigi».
Per quanto tempo ha fatto la tivù?
«Vent’anni, fino al ’72. Dal ’54 al ’57 ero conduttrice di una trasmissione settimanale per le donne, Vetrine: ricette, puericultura, lavori a maglia, moda… Poi arrivò mio figlio, e quand’ero incinta mi proposero di fare la pubblicità per i Pavesini, molto ben pagata. Fui costretta a rinunciare alla televisione, non si potevano fare entrambe le cose. Nel ’58 mi richiamarono per un programma di libri per ragazzi, Avventure in libreria.
Presentavo storie di Calvino, Buzzati, Arpidemocristiana,
no…».
Sempre cose colte?
«Mi ero fatta quella fama. Non ero una bellezza sfolgorante, ma sapevo parlare. Ero disinvolta e informata. Oltre che femminista ».
Femminista?
«L’illuminazione, per me, era stata la lettura de
Il secondo sesso di Simone de Beauvoir. Alle donne, in televisione, dicevo: imparate a camminare bene da sole, se volete camminare meglio in due. Era un periodo di passaggio e di fermento. Inoltre ero una socialista militante».
Ha fatto politica?
«Nell’80 ho lavorato con Carlo Tognoli presentandomi con lui alle elezioni per il sindaco di Milano: Elda Lanza per le donne. Ho conosciuto Sandro Pertini e ammirato uomini come Nenni, Berlinguer e Amendola. Essere socialisti, in quegli anni, significava stare dalla parte degli intellettuali, dei lavoratori e degli studenti. Devo ammettere che, in una televisione completamente
non ebbi mai noie per le mie scelte politiche. Al direttore Filiberto Guala, che girava con il crocefisso appuntato sulla giacca, Andreotti disse che ero socialista, e lui replicò: ma lei è brava!».
Altra tivù?
«Dal ’64 al ’72 ho fatto una trasmissione per ragazze, dove insegnavo a fare piccole cose in casa e proponevo ascolti di musica classica. Davo lezioni sorridenti e non barbose di economia domestica. Poi lasciai tutto, e di tanto in tanto mi venne chiesto di tornare. Mi fu anche offerto il Festival di Sanremo, a fine anni Cinquanta. Una cosa non per me».
Quando ha iniziato a pubblicare libri?
«Negli anni Novanta. Sperling & Kupfer mi chiese una storia d’amore, qualcosa tipo Sveva Casati Modignani, e io scrissi Ho una pazza voglia d’amare.
Poi fu la volta di Una donna imperfetta per Mondadori, più impegnato, che parlava d’aborto. Ho scritto anche un libro sui riti della comunicazione (tra le mie molte attività ho diretto, per tanti anni, un’agenzia di comunicazione d’impresa) e un altro sul galateo».
Com’è arrivata al giallo?
«Non sono mai stata una lettrice di polizieschi. Alla fine della guerra leggevo i romanzi americani di Mickey Spillane: molto duri, pieni di sesso e violenza, incentrati sul personaggio di Mike Hammer. Poi basta. Una decina d’anni fa stavo da sola in una casa al mare, con un computer nuovo, e mi si è sviluppata in testa questa vicenda di 412 pagine la cui protagonista muore a pagina 2. Credo che piaccia perché è un giallo atipico, lieve e divertente. Mi hanno detto che lo stile ricorda quello della scrittrice inglese P. D. James. Il commissario Max, in realtà, è un avvocato seriale: sono già al terzo libro su di lui, e l’intera trilogia coinciderà con la storia di Max. In maggio uscirà il secondo volume, intitolato
Il matto affogato, come una mossa degli scacchi, e già consegnato all’editore. Max è uno scacchista».
Cosa pensa della televisione di oggi?
«Se accendo per caso, mi capita di vedere una tipa con la minigonna e gli stivali sadomaso che parla con una signora che sta piangendo perché ha perso la figlia. Allora mi spavento e chiudo. Perciò scelgo di guardare solo quel che mi piace. Ogni tanto qualcosa trovo. Come il programma su Giorgio Gaber che sta per cominciare».
Lo ha conosciuto?
«Era un mio caro amico. Come pure Walter Chiari. Nella tivù agli albori c’erano persone straordinarie. Penso a Dario Fo, che lavoricchiava al Piccolo come mimo e faceva sketch con Giustino Durano. Penso a Umberto Eco, arrivato ai programmi culturali con Furio Colombo quando io iniziavo Vetrine.
Siamo rimasti sempre amici, ci diamo ancora le battute. È di Eco il mio libro del cuore, lo tengo sempre sul tavolino da notte: Sei passeggiate nei boschi narrativi.
Appena posso ci viaggio dentro e non mi stanca mai».