Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2013  gennaio 04 Venerdì calendario

RISSE, RAPINE E ARMI ILLEGALI

[Dagli Hell’s Angels ai Mongols, 30 bande disposte a tutto] –
«Prima o poi ci scappa un altro Weiss», vanno dicendo in questi mesi i capi delle bande di motociclisti. Troppe le rapine tra i gruppi, troppe le risse, troppe le armi illegali nascoste sotto quei giubbotti di pelle. Qualche equilibrio è saltato, la polizia italiana teme il salto di qualità criminale, come avvenuto nel Nord Europa, dove i gruppi di fuorilegge su due ruote gestiscono droga e prostituzione. E allora torna alla mente Paul Weiss, il motociclista dei Bandidos, 37 anni, freddato con cinque colpi di pistola da un rivale degli Hell’s Angels nel 2003. Non in California, non in un film con Marlon Brando. A Lana, vicino Merano, Italia. Un regolamento di conti, la mano armata dalla “logica del giubbotto”: non avrai altro dio all’infuori della banda, onora i colori e la moto, non farti togliere mai il gilet con il simbolo, ricordati di marcare il territorio.
E questo hanno fatto i 32 biker toscani dei Golden Drakes, quando una notte di due estati fa sono piombati in un pub versiliese e hanno massacrato di mazzate i cinque degli Smoking Wheels che stavano bevendo birra. Marcavano il territorio, sottolineavano con le spranghe la regola non scritta per cui in Toscana non si possono portare patch, i distintivi di una banda, se non si ha la loro autorizzazione. Lì comandano loro. I rivali hanno provato a resistere, tenendosi addosso i gilet e l’onore. Ma i Drakes quella notte erano troppi. Ora sono tutti indagati dalla procura di Lucca per rapina e lesioni aggravate, nelle loro case sono stati trovati fucili, pistole, esplosivo, coltelli, bastoni, spade. A Verona, a Genova, a Bolzano, a Roma le violenze dei biker stanno aumentando. Quante sono le bande di motociclisti in Italia? Chi le controlla?
UNO CONTRO TUTTI
Secondo il Servizio centrale operativo della Polizia oggi ci sono almeno una trentina di gruppi che si autodefiniscono fuorilegge e ad essi sono affiliati circa 1200 biker in tutta Italia, con una grande concentrazione nel Nord (in Veneto soprattutto), in Toscana e lungo la Costa adriatica. Aggiungendo i supporter, si arriva a circa 5 mila persone. «Fuorilegge — spiega Emilio Russo, funzionario dello Sco — perché rifiutano le norme delle associazioni dei semplici appassionati di moto». Hanno nomi che parlano da soli. Outlaws, Bandidos, Red Devils, Mongols, Steel Roses, Hurricanes. Organizzano motoraduni, servizi di sicurezza, gestiscono il merchandising e chissà cosa. Si scontrano tra loro. E c’è un gruppo che conta più degli altri.
Gli Hell’s Angels, gli angeli dell’inferno, sono stati i primi ad arrivare in Italia nel 1995, giunti dal Nord Europa dove alcuni capi si erano rifugiati perché banditi dagli Stati Uniti. E sono stati i primi ad inquadrare tutti i gruppuscoli italiani nella Motorcycle Club Italia, un’organizzazione che esiste solo sulla carta ed è gestita dagli Hell’s Angels. La sua filosofia è primitiva. O con loro o contro di loro. Chi è contro, è “non autorizzato”. Come gli Smoking Wheels della Versilia. Oggi gli Hell’s Angels hanno 10 “charter” (così chiamano le sedi, gli altri gruppi le definiscono “chapter”), e circa 200 affiliati. Per anni sono stati i garanti della pace tra bande. I problemi sono cominciati quando sono arrivati in Italia i loro rivali con cui si scannano da una sessantina d’anni negli Stati Uniti. I Bandidos (9 chapter, 200 affiliati) e gli Outlaws (3 chapter, 60 affiliati) nel 2001, i Mongols (2 chapter, 50 affiliati) nel 2005. Aggressioni, spedizioni punitive, rapine di armi e giubbotti, maxi risse. Come nel gennaio del 2009 quando 140 Hell’s Angels cercarono di assalire un gruppo di Outlaws al Motor Bike Expo di Verona, bloccati però dalla polizia. Anche le bande più violente importate nel nostro paese, dunque, hanno mantenuto una rigida struttura paramilitare. Esattamente come negli Stati Uniti dove, non è un caso, i primi gruppi sono stati fondati da reduci di guerra.
LA STRUTTURA PARAMILITARE
A capo della banda c’è sempre un presidente, un soggetto onnipotente e quasi venerato dagli altri. Di solito è colui che ha fondato il primo chapter di un paese. Umberto Lotti, 40enne residente a Guastalla, è il presidente degli Outlaws. Qualche mese fa gli è stato notificato l’obbligo di dimora dopo l’operazione
della squadra mobile di Genova “Nuova hot wheels” (per la prima volta è stata riconosciuta l’associazione a delinquere per un gruppo di motociclisti) che ha portato all’arresto di sette Outlaws, protagonisti tra Genova e La Spezia di alcune risse con gli Hell’s Angels e i loro alleati Red Devils per il controllo della Liguria. Tutti insospettabili, facevano parte della banda un idraulico, un titolare di un pub, due edicolanti, e il capo “Sam” era un imprenditore di 48 anni. «Ci sono due profili del biker fuorilegge — spiega una fonte qualificata della polizia di Verona — il benestante eccentrico che si affilia per sfizio e lo sbandato, che vive nelle sedi della banda, magari disoccupato.
Gli Hell’s Angels hanno anche un fondo monetario per mantenere le famiglie di chi finisce in carcere, come la mafia».
Sotto al presidente c’è un direttivo composto dal
tesoriere, che gestisce tutte le entrate della banda (dalle
club house, le sedi, ai motoraduni), dal road captain, che organizza i motogiri e gli eventi, e dal sergent in arms, “il cattivo”, il soggetto che mantiene l’ordine e la disciplina, degrada i compagni “indegni”, organizza le azioni e conserva le armi. Poi ci sono i full member, gli unici che possono portare la patch con i colori della formazione sul giubbotto di pelle. E un gradino sotto ci sono i candidati, che devono seguire un percorso lungo due anni, sottostare a prove di coraggio (alcuni gruppi chiedono di commettere reati), scalare i gradi di hangaround, supporter, prospect prima di poter indossare il distintivo. E che distintivo.
Gli Hell’s Angels ne hanno uno (il dequiallo) di cui può fregiarsi solo chi si è scontrato con la polizia, un altro (la filthy few) che spetta a chi ha ucciso o ha commesso reati gravi. Tutti però, dai Bandidos ai Mongols, portano addosso la patch dell’“onepercent”, a ricordare l’appartenenza alla minoranza dei motociclisti, la minoranza fuorilegge. Ma quali sono le attività illecite svolte da questi gruppi in Italia?
IL SALTO DI QUALITÀ
C’è molto “non detto” sulle loro vere attività. Negli Stati Uniti, in Germania, in Danimarca e nei paesi scandinavi le bande di biker sono considerate delle organizzazioni criminali tout court. Lì gestiscono la prostituzione e una parte del traffico di droga, fanno affari con le mafie, si sparano in strada, si ammazzano per controllare i bordelli o le partite di eroina. In Italia sembra che l’interesse maggiore sia ancora dominare fisicamente il territorio, espellendo il gruppo rivale per poter gestire in solitaria la club housee i raduni. E la situazione è tesa a Verona e a Massa Carrara, le uniche due città italiane dove Bandidos e Hell’s Angels hanno entrambe un chapter.
«Detta in maniera brutale — sottolinea Emilio Russo dello Sco della polizia — se le “danno” tra loro e in un futuro non lontano potrebbe anche esserci quel salto di qualità nella gestione di traffici loschi e prostituzione ».