Enrico Arosio, l’Espresso 4/1/2013, 4 gennaio 2013
CATTIVA SOLO UN PO’
[colloquio con Geppi Cucciari]
Ritmo e cattiveria, fatti veri e notizie trash, battute lampo e sfottò a gogò. Forse "G Day" era un programma troppo diverso, troppo sofisticato per la fascia pre-tg de La7, saldamente presidiata da telefilm e giochi a premi. E il 21 dicembre ha chiuso. Lei, la conduttrice, Geppi Cucciari, ha fatto in tempo a sposarsi, un sabato a Milano, in chiesa, all’insaputa di tutti, e ad accordarsi con la rete: dal 23 gennaio tornerà in video con un suo spazio dentro a "Le invasioni barbariche" di Daria Bignardi. E a marzo riprenderà, sempre su La7, con un programma tutto suo, e in prima serata. Bottega nuova, merce fresca, indirizzo migliore. "L’Espresso" ha incontrato una Geppi maritata (con il giornalista Luca Bonaccorsi), dimagrita, grintosa. E disposta a raccontare una carriera al femminile in una società molto maschio-oriented.
Allora che aria tira a La7? Come si chiude il capitolo "G Day"?
«Un’esperienza lunga, faticosa, fortunata. Che ha arricchito tutti quelli che ci hanno lavorato. Un esperimento coraggioso, quello de La7, occupare una fascia oraria dove le due reti principali propongono quiz condotti da grandi professionisti, e altrove si vedono telefilm molto rodati, da "Rex" a "Tempesta d’amore". I nostri spettatori non bastavano. Il genere di pubblico per cui era stato pensato, lavorando in diretta, forse a quell’ora è distratto da altri affanni. Dopo due anni dico: grazie. Ho vissuto una vera crescita professionale».
Diventerà buonista?
«Non sono buonista, ma neanche così cattiva. Cerco di dire cose vere».
Lei, più che da miss Sorriso, ha un’arietta da miss Strapazzo. Nel senso che strapazza gli ospiti col sorriso.
«Ma non colpisco per prima. E preferisco essere l’ultima».
Lo sfottò è molto nelle sue corde: anche verso persone amiche. Negli anni della cafoneria imperante è un merito.
«A me non piace sfottere, mi piace l’ironia. Parlo dei fatti del giorno, senza omaggiare nessuno, con molta libertà, sia per l’ospite sia per chi conduce».
" Meglio donna che male accompagnata" era un suo motto. C’è chi la vede ancora come una femminista, seppure in chiave postmoderna. Ci si riconosce?
«Nooo. Il femminismo è storia recente. Una lotta combattuta da donne in circostanze molto diverse da oggi».
L’Italia resta una Repubblica di maschi.
«Siamo un Paese dove ai vertici abbondano gli uomini. Gli uomini anziani, soprattutto. Ma sono passati dieci anni da quando a "Zelig" parlavo di uomini e donne. Oggi parlo di tutto. Il cabaret di "Zelig" è stata la mia scuola per imparare a stare davanti alla gente».
Proprio "Zelig", il giro di Gino & Michele, era, all’inizio, una combriccola di maschi. Ci è voluta una Michelle Hunziker per femminilizzarli un po’.
«Le comiche donne sono aumentate nel tempo. Ma siamo minoranza. Penso subito a Lella Costa, che ammiro come persona e come attrice. Nella comicità partiamo in poche e arriviamo in poche. Se parliamo di aziende, o di politica, le donne sono indebolite nella loro corsa verso l’alto da tanti fattori, scontri con i colleghi, poca assistenza in gravidanza, orari sfavorevoli. Molte donne vengono messe in difficoltà fin dal principio».
Si ritiene fortunata ad aver fatto carriera, nello spettacolo, al riparo delle note scorciatoie?
«A parte certi casi, in particolari situazioni non ci finisci d’improvviso; ci scivoli lentamente. Ma altrettanto lentamente, con arguzia, ti puoi tirare indietro».
Lei non ha fatto l’accademia, è autodidatta. Percorso anomalo.
«Sì. Infatti sono meno poliedrica di tanti colleghi. Parlo col mio accento, non ho studiato dizione. Crozza, Pierfrancesco Favino, Paola Cortellesi sono dei virtuosi. Io non possiedo i loro codici».
Con Maria De Filippi si è divertita?
«Ma sì che mi sono divertita».
De Filippi è il contrario di Churchill. Lui sangue sudore e lacrime. Lei soprattutto lacrime.
«Be’, la chiamano Maria la Sanguinaria. Per gli ascolti che fa, però!».
Lei, Geppi, a chi somiglia, a Eleonora d’Arborea, regina dei sardi?
«Il paragone offenderebbe i miei conterranei. Eleonora rimane un mito. Donna di polso, che governava con principi di giustizia, in un periodo storico difficile. Autrice del primo codice delle leggi. Nel disordine, chi crea l’ordine è benedetto».
E qui esce la giurista. Che cosa rimane della dottoressa Cucciari?
«Il ricordo di una vita che non amavo».
Studiava per far piacere ai genitori?
«Sì. Dovevo mantenere una promessa: prima ti laurei, poi fai quel che desideri. Mi sono licenziata da un notaio un mese di luglio, da ottobre ho partecipato al mio primo cabaret a Milano. E la mia vita, di colpo, è cambiata».
Perché Milano e non Roma?
«Vedevo nel cabaret una scorciatoia. Artistica. Ma spero di aver fatto tesoro dello stretching cerebrale precedente».
Parliamo di donne?
«Sarò diplomatica».
Nicole Minetti. Bella ragazza che si rovina il viso a 26 anni, è premiata con un posticino in politica, e diventa una delle più antipatiche d’Italia. Un mistero?
«Non è stata neanche votata, ma messa in lista. Più che addosso a lei darei addosso a chi l’ha messa là. Quando la si è vista in aula in consiglio regionale, si è detto: vabbè, almeno ci va. Un po’ poco».
Non è una bella Italia.
«Soprattutto nomi come questo non rappresentano l’Italia dei giovani. Giovani di talento, che hanno faticato e meriterebbero un’occasione. Con passioni autentiche, documentabili. Mi spiace vedere la carriera politica come esenzione dalle responsabilità, sfruttamento di privilegi. Una volta si chiedeva il favore allo zio politico: un lavoro alle Poste. Oggi non ci sono più limiti».
Sono stati gli anni del carrierismo femminile senza freni. Qualcuno ha detto: mignottocrazia. Sono finiti?
«Non so. Però vorrei dire: non tutte le donne sono costrette a concedersi sessualmente. Moltissime vanno diritte per la loro strada. È mutato il senso del pudore, della vergogna, questo sì».
Donne che ammira?
«Mi piace Michela Murgia, la scrittrice. O Debora Serracchiani. Oppure Emma Bonino, donna coraggiosa con tanti anni di passioni sulle spalle».
Tre uomini sardi. Chi ha più fascino: il jazzista Paolo Fresu, lo stilista Antonio Marras, il sindaco Massimo Zedda?
«Non vale! Io ho una venerazione per Antonio Marras, un artista pieno di fantasia, mi sono sposata con un suo vestito! Fresu mi ha fatto un regalo bellissimo. Zedda non lo conosco, mi sembra la bella sfida di un giovane in una città meravigliosa come Cagliari».
Invece di Renzi contro Alfano ci troviamo Bersani e Berlusconi con Monti guest star. È ancora l’Italia over 60...
«Direi anche over 75. Che posso dire? Almeno Renzi e Bersani si sono battuti guardandosi negli occhi. Nell’altro caso un giovane, Alfano, è stato fatto correre con la carota davanti, ma la carota si muoveva con lui. Un po’ più ingiusto».
Si aspettava Silvione che ritorna come il fantasma del Macbeth?
«Silvione non è mai andato via».
Monti: serio, noioso, punitivo?
«Chi ci voleva stare al suo posto? Si è preso un bel tormento. La categoria dei politici è talmente detestata. Privilegi, ruberie. In Italia non c’è un Tony Blair che se andava in giro in bici».
Lei rientra nell’area del non voto?
«No. Io sono residente a Macomer, dove sono cresciuta, non a Milano. Votare per me è solo più scomodo».