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 2013  dicembre 31 Martedì calendario

Cota, l’ex pupillo di Bossi con la mania del rigore - Dopo circa vent’anni di carriera facile facile, co­stellata di gioiose appa­rizione tv, Roberto Cota è rima­sto incastrato nella guida della Regione Piemonte che ogni giorno di più gli scava una ruga sul viso

Cota, l’ex pupillo di Bossi con la mania del rigore - Dopo circa vent’anni di carriera facile facile, co­stellata di gioiose appa­rizione tv, Roberto Cota è rima­sto incastrato nella guida della Regione Piemonte che ogni giorno di più gli scava una ruga sul viso. Proprio lui che per il faccino liscio e grazioso era no­to come «il volto umano del Car­roccio ». Cota avrebbe evitato volen­tieri l­a presidenza regionale im­posta nel 2010 da Umberto Bos­si. Gli piaceva fare il capogrup­po della Lega alla Camera, ap­parire nei Tg e andare da Vespa con sempre qualcosa di verde addosso, come il mitico Rolex dal quadrante color smeraldo. Poi, soddisfatta la bulimia tele­visiva romana, correva a Mila­no da m­oglie e figlia per trascor­rere il weekend a Pisogno sul La­go d’Orta, nel suo rustico a mez­z’ora da Novara, la città natale. Ora, invece, gli tocca ammini­strare la Regione che, di questi tempi grami, significa solo gat­te da pelare. Il suo problema a Torino si chiama Paolo Monferino, l’as­sessore alla Sanità. Costui è un cerbero, ex Fiat, che dopo avere dichiarato: «Il Piemonte è tecni­camente fallito », ha tagliato po­sti letto, chiuso ospedali, esoda­to medici. Un Monti in salsa pie­montese che inguaia la Regio­ne come l’altro l’Italia. Ovvia­mente, Monferino stringe la cinghia a fin di bene ma con un’arroganza tale da rendere impopolare l’intera giunta le­ghista. Ignora sia chi protesta, sia chi vuole dargli una mano. Ha così creato un grosso proble­ma di comunicazione tra politi­ca e società in cui Cota rischia lo stritolamento. Ma Roberto è un forsennato estimatore di Monferino. «Chi tocca lui, toc­ca me », ha dichiarato. Allora se lo ciucci e vediamo come va a fi­nire. In fondo, il nostro quaran­taquattrenne non è diverso dal suo assessore. Fa di testa sua e non dà retta ad alcuno. Ha spes­so fulminei scoppi d’ira con sce­nate isteriche ai collaboratori. Causa rigidezza ha finito per liti­gare col più caro amico, l’ex sin­daco di Novara, Massimo Gior­dano, oggi suo assessore allo Sviluppo economico. I due, in­separabili dall’infanzia, si sono divisi su sciocchezze. Il che con­ferma che il nocciolo sta nei ca­ratteri. Tuttavia, la caparbietà cotia­na dà talvolta buoni frutti. Ro­berto si era da poco insediato, quando la giunta esaminò il ca­so di un tale ch­e aveva preso nu­merose multe senza pagarle. In genere, non ci si pensa due vol­te e si ingiunge al tizio di ottem­perare, minacciandolo di se­questro. Cota invece, tra lo stu­pore generale, bloccò tutto di­cendo: «Prima voglio capire perché questo signore non ha pagato». Un segno di attenzio­ne alle eventuali difficoltà di un concittadino che, meglio dei gi­ri di parole, avvicina la politica alla gente. Michele, il papà di Roberto, è un pugliese di San Severo che, fatto il servizio militare a Nova­ra, si è sposato con una signori­na del posto, diventando un im­portante avvocato cittadino. Ha militato e avuto incarichi nella Dc locale. Il germe demo­cristiano ha attecchito anche nel mite e felpato rampollo che, dopo un periodo di giova­nile anticlericalismo, oggi va re­golarmente a messa e se la fa con preti e vescovi. Tutti ricor­dano i banchetti per le firme or­ganizzati da Cota in favore del crocifisso negli uffici dopo una sentenza contraria della Corte Ue. Leghista militante dal 1990, all’età di 22 anni, Roberto accet­ta senza drammi le origini meri­dionali che riesuma regolar­mente in periodo elettorale. Per la presidenza alla Regione si è rivolto ai truzzi del Piemon­te dicendo: «Sono uno di voi e chiedo il vostro aiuto». Aggiun­gendo però, per non alienarsi i padani con l’anello al naso: «So­no di origini meridionali ma so­no e mi sento settentrionale». Laureato con lode in Legge, il giovin Cota ha fatto l’avvocato e intrapreso una distratta car­riera universitaria. Frequentan­do l’ateneo di Milano ha cono­sciuto una graziosa ricercatri­ce, vincitrice del concorso in magistratura, Rosanna Calzola­ri, che dal 2007 è sua moglie. Og­gi, la signora è giudice del tribu­nale dei minori a Milano. E qui, per ovvie ragioni familiari, abi­ta Cota con la consorte e la pic­cola Elisabetta. I coniugi fre­quentano Santa Maria delle Grazie, la medesima chiesa che il premier Monti onora con la sua presenza domenicale. Roberto e Mario sono anche clienti dello stesso bar, con la differenza che mentre Cota «scende» a prendere un cap­puccino, Monti «sale» a fare lo stesso. La circostanza che il Nostro abiti a Milano ma lavori a Tori­no suscita reazioni sulla rete. «Mi chiedo a che ora possa esse­re alla Regione Piemonte visto che passa al Caffè di Piazza Duo­mo a prendersi un buon caffè. Siamo stufi di queste croste», di­ce uno. Un altro più ironico: «Cota vive a Milano? Pensavo vivesse in uno studio tv». Roberto ha diverse passioni private. La principale è l’Harley Davidson su cui scorazza quan­do può. Un tempo faceva jog­ging, oggi meno e ha messo su pancetta. Infine, colleziona li­bri rari. Questo è ciò che ha coltivato da sé. Per ogni altro aspetto, è una creatura di Bossi. Il suo rap­porto con l’ex capataz leghista è filiale. Roberto è stato per Um­berto il «figlio politico» che gli è mancato. Bossi ne ha favorita la carriera, ha assistito ai suoi co­mizi, gli attaccava bottoni tele­fonici notturni. Con questo an­gelo custode alle spalle, Rober­to ha inanellato cariche, senza sprecare un giorno. L’espres­sione corrente per riferirsi a lui nella Lega è: «Cota? Ha sempre avuto un c...o pazzesco». Poco più che ventenne era assessore a Novara; nel Duemila, trenta­duenne, presidente del Consi­glio regionale; dal 2001 al 2006 sottosegretario nei governi del Cav; nel 2006, deputato; nel 2008 è succeduto a Bobo Maro­ni come capogruppo alla Came­ra; dal 2010 è Governatore. No­nostante tanti ruoli, non è mai incappato in un guaio giudizia­rio. Caduto Bossi, Cota sarebbe stato spazzato via se non avesse avuto il solido trono piemonte­se. I maroniani lo accusarono di appartenere al «cerchio ma­gico », il gruppo di boiardi bos­siani che impedivano agli altri di avvicinarsi al capo. Che ne fa­cesse parte è indubbio. Che fos­se un prepotente è escluso. Roberto è, infatti, di squisita gentilezza d’animo che i rozzo­ni del partito scambiano stupi­damente per cubitale leccapie­dismo. Robby, per dire, andava a Gemonio tutte le domeniche a sistemare le rose di Bossi. Le potava e strappava i «grat­tacu », come chiamano dalle sue parti i boccioli rinsecchiti. Così come teneva sollevato il portacenere davanti alla siga­retta di Bossi pronto a racco­glierne la cenere in caduta. Poi­ché una foto lo ritrae nello svol­gimento dell’importante man­sione, si cominciò a chiamarlo «Onorevole portacenere». Ma sono appunto malignità. In un solo caso, sono dispo­sto ad ammettere che Cota sia incorso in piaggeria. Fu quan­do, parlando di Renzo Bossi (il Trota), affermò senza arrossi­re: «È un talento politico». Era peggio di una sviolinata: era un’idiozia.