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 2013  gennaio 03 Giovedì calendario

Fallaci, la scrittura come medicina - Per gentile concessione dell’editore, pubblichiamo uno stralcio di Ha fegato, questa gente conferenza inedita tenuta da Oriana Fallaci il 27 gennaio 1983 all’Annenberg Center for Health Sciences a Rancho Mirage, California

Fallaci, la scrittura come medicina - Per gentile concessione dell’editore, pubblichiamo uno stralcio di Ha fegato, questa gente conferenza inedita tenuta da Oriana Fallaci il 27 gennaio 1983 all’Annenberg Center for Health Sciences a Rancho Mirage, California. Il testo è contenuto nel volume di Oriana Fallaci Il mio cuore è più stanco della mia voce (Rizzoli, pagg. 208, euro14, in libreria da domani). dalla prima pagina (...) motivazione politica. Vede­te, sono cresciuta durante la Se­conda guerra mondiale e la bambina di cui vi ho raccontato era il risultato di quella guerra voluta da un potere che aveva ucciso la libertà: in un certo sen­so devo aver scel­to medicina an­che per ribellarmi a tutta la mor­te che avevo visto. Era un modo per preservare la vita nonostan­te i signori della guerra, i tiran­ni, gli assassini che maltrattano e sacrificano altri esseri umani sugli altari della loro follia, del­la loro malvagità. Fu infatti allo­ra che incominciai a pensare che i medici più di chiunque al­tro dovrebbero essere coinvolti in politica. Medici e donne in­cinte. Oh, non è un paradosso Fallaci. È logica, buon senso. Vi dico: in quei raduni contro le bombe nucleari e le guerre do­vrebbero esservi più dottori e donne incinte di chiunque al­tro. Non divenni mai medico, ahi­mè. Non terminai mai gli studi di medicina. Di fatto finii per aderire all’opinione di mio zio secondo cui le università tra­sformano in idioti anche i più in­telligenti. Non mi laureai. Le uniche lauree che ho sono quel­le honoris causa. Ma la vera ra­gione per cui lasciai medicina è che nel mio Paese, all’epoca, le università non erano gratuite come oggi. Uno doveva pagarsi da sé il proprio cammino verso la laurea (motivo per cui solo i ricchi o i più ricchi accedevano a certe professioni). La facoltà di medicina era la più costosa e la mia famiglia era tutto fuor­ché ricca. Così, per mantener­mi all’università, incominciai a lavorare come reporter per un giornale: dalle 8,30 del mattino alle 5,30 del pomeriggio in uni­versità e dalle 5,30 del pomerig­gio fino alle 3 di notte circa al giornale. Rincasavo sul furgon­cino della prima edizione e quando mi svegliavo alle 7 mi sarei messa a piangere per quanto avevo sonno. In diciot­to mesi arrivai a pesare tren­taquattro chili. Dovetti prende­re una decisione e abbandona­re quegli illimitati orizzonti di conoscenza umana. Rimasi al giornale e divenni giornalista, poi scrittore. Siamo onesti: per quanto continui a essere così in­vidiosa di voi, gelosa perfino, non ho nulla da rimpiangere. Anche il mio lavoro è meravi­glioso, ammesso che – come il vostro – venga affrontato non come un mestiere, ma come una missione. E poi chi lo può dire? Avrei anche potuto essere un pessimo medico, e abbiamo davvero già troppi cattivi medi­ci per poterci permettere il lus­so di un cattivo medico di nome Oriana Fallaci. Come scrittore sono brava, invece, e mai mode­sta a questo riguardo. Sono bra­va perché... Perché sono nata per essere uno scrittore e sarei uno scrittore anche se non aves­si avuto le mani per scrivere. Una volta un giornalista che mi intervistava mi chiese: «Cosa le piacerebbe vedere scritto sulla sua lapide, sotto il suo nome?». Risposi senza esitare: «Forse non mi importerebbe poi tanto del mio nome. Ma mi piacereb­be vedere queste parole: qui gia­ce uno scrittore». Oriana Fallaci