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 2013  gennaio 03 Giovedì calendario

Se il primo nato dell’anno ha una donna per papà Le cronache sui primi nati del nuovo anno ormai non appartengono più solo alla routine giornalistica

Se il primo nato dell’anno ha una donna per papà Le cronache sui primi nati del nuovo anno ormai non appartengono più solo alla routine giornalistica. Sono passati i tempi in cui la ri­cerca del primo fiocco (rosa o azzurro) era un pretesto per mettere il naso in un pezzo d’Ita­lia in cui di solito- e per fortuna, diciamolo pure - i giornalisti del «nazionale» non transitava­no quasi mai, alla scoperta di un paesaggio inedito, di una in­solita fetta di cielo. I nuovi nati di questi anni du­ri si presentano all’appunta­mento con questo mondo con una biografia già piuttosto com­plicata. È notizia fresca fresca che fra i primi a tagliare il tra­guardo nel 2013 ci sono due pic­coli figli di coppie omosessuali - in questo caso due coppie femminili. Il piccolo Sacha è addirittu­ra il primo in Francia, mentre del campioncino italiano si sa solo che è di Padova, dove le cronache locali hanno preferi­to mettere in luce, più che il no­me e il sesso del neonato,l’im­barazzo del personale ospeda­liero alle prese con il colore dei braccialettini da applicare al polso del piccolo, della sua mamma e del suo papà. La venuta al mondo di due nuovi esseri umani è di per sé una bella notizia, capace di so­spendere almeno per un mo­mento le polemiche ( su matri­moni e adozioni gay) che pro­prio in questi giorni hanno riempito le pagine di alcuni quotidiani, o di aggiungerne di nuove, visto che sia in Fran­cia sia in Italia l’inseminazio­ne artificiale per coppie omo­sessuali è per il momento fuo­rilegge. Godiamoci gli strilli pieni di vita di questi nostri nuovi com­pagni di strada, diamo loro un generoso benvenuto e augu­riamo loro una vita felice, vi­sto soprattutto che le condizio­ni in cui un essere umano oggi viene al mondo si annunciano sempre più difficili e perciò la felicità appare un traguardo abbastanza lontano a prescin­dere dall’i­dentità e dall’orien­tamento sessuale dei genitori. C’è però un problema, che queste notizie, per ora insoli­te, sollevano. E che, guarda ca­so, troviamo tutto intero den­tro l­a parola di augurio più bel­la e profonda che si possa rivol­gere a un bambino che nasce: felicità. Noi, che non siamo poi così felici, ugualmente au­guriamo la felicità a chi comin­cia adesso la sua avventura. Forse noi non ce la faremo, ma almeno tu provaci, non com­mettere i nostri errori, vola sempre alto... Ma cosa vuol dire essere feli­ci? Vuol dire solo avere succes­so? Essere ricchi? Essere po­tenti? Tutti sappiamo che que­sto non basta, così come non basta la realizzazione dei pro­pri desideri: ricordate la fiaba del pesciolino d’oro? Tutti noi, in fondo in fondo, sappia­mo che la felicità dipende da un fattore non misurabile: la possibilità di conoscere sé stessi, accettandosi e amando­si fino in fondo. Perfino Dio, ci ricorda San Paolo, venne tra noi per riconciliare l’uomo con sé stesso. Chiamiamola felicità, chia­miamola salvezza, chiamia­mola realizzazione di sé: que­sto è ciò che, magari confusa­mente, ciascuno di noi augura a chi viene al mondo. Ma l’augurio sarebbe ipocri­ta se poi noi non aiutassimo i nostri piccoli a realizzarlo, perlomeno non aggiungendo nuovi ostacoli al loro già diffi­cile cammino. E allora: è que­sto che facciamo? Mi ha molto colpito la lettu­ra di un documento scritto re­centemente da Gilles Bernhe­im, Rabbino Capo di Francia, dove si ricorda che l’amore non è sufficiente a fondare l’es­ser- genitori, che papà e mam­ma indicano al bambino la sua genealogia per «permette­re al piccolo di collocarsi den­tro la catena delle generazio­ni », e che in questa possibilità di trovare un posto è fonda­mentale la differenza sessua­le dei genitori. Non è un caso che la riforma del vocabolario sessuale va­da, in questi anni, in una dire­zione ideologicamente molto definita: da «sesso» a «sessua­lità », da «condizione» (omo, etero ecc) a «scelta sessuale», e così via. E non è un caso che questo tipo di battaglie si con­fonda con tutta una serie di al­tre battaglie, da quella sull’eu­tanasia a quella sull’uso delle cellule staminali. Esiste un’idea di fondo, ed è quella di eliminare ogni im­previsto, ogni genealogia. I fi­gli devono venire come dove e quando lo vogliamo noi, devo­no essere come vogliamo noi. Siamo insomma alla ragione­ria, alla programmazione, al­la pianificazione. L’égalité, schiacciando ogni altro princi­pio (compresa la liberté), si traduce in una ridda di presun­ti diritti che alla fine produce immagini spiacevoli: l’ultimo a credere di poter programma­re l’umanità si chiamava, non dimentichiamolo, Adolf Hit­ler. Io non ce l’ho affatto con le coppie gay, e nemmeno con le coppie gay che fanno o adotta­no figli. Penso però che l’uo­mo che nasce non sia una sca­tola vuota da riempire con i contenuti che riteniamo i più giusti, belli e buoni, e che ci sia in lui un segno che nessuna programmazione può muta­re, e dal quale dipende tutta la sua felicità. Per questo, oltre alla felici­tà, mi sento di augurare a que­sti bambini- figli di coppie gay ma anche di coppie «normali» - una vita piena di imprevisti. Quelli che in troppi vorrebbe­ro eliminare.