Ugo Bertone, Libero 3/1/2013, 3 gennaio 2013
L’AUTO CORRE VERSO SPAGNA E CINA
[Nel 2001 un veicolo su tre era costruita in Europa, oggi una su cinque. E nel 2013 Pechino sfornerà 18,9 milioni di vetture, superando il Vecchio Continente. Da noi, solo Madrid si sta attrezzando per il riscatto] –
La Francia a quattro ruote non ha commesso gli errori che la Cgil attribuisce a Sergio Marchionne: Peugeot e Renault hanno presentato modelli nuovi e competitivi; grazie agli incentivi di Stato, Renault ha puntato sul nuovo modo di concepire l’auto, con un un’attenzione particolare per l’auto elettrica ed i modelli ibridi. Lo Stato, soprattutto dopo l’ascesa all’Eliseo di François Hollande, non ha lesinato gli sforzi di politica industriale: in cambio dei cospicui aiuti al suo “braccio” finanziario e al permesso di chiudere lo stabilimento di Aulnay, Peugeot inserirà in consiglio rappresentanti del sindacato e del ministero. Nel frattempo Renault, in cui lo Stato detiene il 15%, si prepara ad un complesso negoziato con i sindacati per poter trasferire lavoratori da un impianto all’altro.
Eppure, nonostante una strategia così diversa, antitetica alceo di Fiat e Chrysler, la crisi dell’auto morde ancor di più. Il 2012 si chiude con un brusco calo per l’auto francese: solo 1,899 milioni di auto prodotte, il 14%in meno di un anno fa, agli stessi livelli del 2009. Ma, soprattutto, poco più della metà della produzione del 2003. Psa e Renault, soprattutto, incassano una bruciante sconfitta sul mercato interno: Peugeot - 17,1%, Renault -22,1% addirittura. Gli impianti lavorano al 57% circa della loro capacità produttiva, con un’eccezione: Maubeuge, dove nasce la Citan, l’utilitaria concepita assieme a Mercedes. Lì si lavora anche di sabato, ma Renault non può spostare operai in eccedenza da altri impianti. Ci proverà con un negoziato con il sindacato che prenderà il via il prossimo 9 gennaio.
Insomma, le ricette sbandierate da Cgil, buona parte del Pd e difese dalle “colombe” della Confindustria anti Marchionne non funzionano granché. Del resto, la crisi del mercato europeo, che pure non è eguale per tutti, è troppo profonda per esser esorcizzata da formule ideologiche. Per capire la profondità della recessione del mercato a quattro ruote nel Vecchio Continente basti un dato: nel 2001 un’auto su tre prodotta nel mondo era costruita in Europa, per un totale di circa 22 milioni di pezzi. Oggi solo una su cinque. Nel 2001, la Cina produceva 1,3 milioni di auto, nel 2013 l’impero del Drago fabbricherà 18,9 milioni di vetture, più che in tutta Europa messa assieme.Ma al nuovo primato contribuiranno le fabbriche cinesi di Bmw, Volkswagen e Toyota ma anche quelle di Peugeot e di Nissan, la società giapponese controllata da Renault.
Insomma, nel mondo dell’auto le bandiere contano di meno. Al contrario, è importante saper produrre di più e meglio a minor costo, senza troppo badare al passaporto. E questo può contribuire a spiegare perché i due soli Paesi europei dove la produzione d’auto è in ripresa non vantano costruttori nazionali di rilievo. Il caso più noto, ormai ben noto, riguarda il Regno Unito. Ma forse è ancor più clamoroso l’esempio della Spagna. Quest’anno si sono costruite in Spagna 2,2 milioni di vetture, meno che nel 2007 ma con la prospettiva di una forte crescita già dall’anno prossimo (+11%). A favorire il rilancio sono i nuovi investimenti: più di 4 miliardi di euro tra il 2011 e il 2014, grazie ai nuovi impianti di Ford (Valencia) destinato a sostituire fabbriche in Belgio ed Inghilterra, Renault, Nissan, Gm/Opel (in coincidenza con la chiusura della fabbrica tedesca di Bochum), Iveco (Fiat Industrial, 500 milioni di spesa) e Volkswagen che impegnerà 800 milioni a Martorell, fabbrica di Seat che sfornerà anche le Audi.
Insomma, nonostante che il mercato spagnolo sia in condizioni pietose (700 mila vendite nel 2012), i produttori che hanno scelto Barcellona o Valencia non si tirano indietro: la Spagna, con i suoi 280 mila addetti all’industria dell’auto e della componentistica, è in condizioni di esportare il 90% della produzione, con gran sollievo per la bilancia commerciale. E, soprattutto, di dare una mano ad un mercato del lavoro in grave crisi: l’auto ha perduto, rispetto ai massimi del 2007, il 7% della forza lavoro ma è in fase di ripresa. Al contrario, nel resto dell’economia la disoccupazione è salita al 25%. Ma qual è il segreto di Madrid? Ceto, contano gli sgravi fiscali (per quanto Madrid abbia risorse limitate). Conta ancor di più il minor costo del lavoro. Ma a ritrovata competitività rispetto ai Paesi del Nord, Germania compresa, è frutto soprattutto della flessibilità resa possibile dal rapporto tra imprese e le due centrali sindacali: le esigenze della produzione (da conciliare con la difesa dell’occupazione) si decidono caso per caso, senza preclusioni. Anche perché non esiste un contratto nazionale di settore che subordini ad obiettivi politici gli interessi delle parti.