Mario Baudino, La Stampa 4/1/2013, 4 gennaio 2013
LA POESIA DEL FISCAL CLIFF
Precipizi Come ogni anno, un’università del Michigan ha stilato la lista delle parole da bandire, un po’ come il nostro Ceronetti, che però si è dedicato all’opera in meritoria solitudine. La Lake Superior State University lo ha fatto invece sulla base delle segnalazioni dei lettori, per mettere all’indice i termini abusati, quelli di cui proprio non se ne può più. Ebbene, ha vinto «fiscal cliff», il precipizio fiscale. Non per antipatia verso il concetto, ma perché secondo molti gli americani credono ormai, a furia di sentirlo ripetere, che non si tratti di una metafora ma di un luogo geografico. Dove magari andare in vacanza? Per fortuna, noi non corriamo questo rischio col «fiscal compact», il patto di bilancio europeo che ci ha messi a stecchetto. Tra un «precipizio» (o anche una balza, una falesia, o persino un faraglione) e un banalissimo «accordo», proprio non c’è gara.
Plurale maiestatis Ma anche nell’italiano corrente ci sono cose che non si dimenticano. Per la loro bellezza. Una la cita sul Foglio lo scrittore Paolo Nori, cui un discorso un po’ confuso del sindaco di Parma, Pizzarotti, fa tornare alla mente una frase celebre del primo cittadino a 5 stelle, pronunciata in consiglio comunale e rivolta ai rappresentanti della minoranza. «Io non ho capito se voi preferiate, plurale maiestatis, che il Comune fallisca». Best of 2012. Quasi in contemporanea Paolo Repetti (Einaudi Stile libero), twitta argutamente: «Che cosa c’è nella mente di Grillo è una domanda che contiene un ossimoro». Detto fra noi, non bastava Di Pietro?
Ossola e i rifugiati Il professore Carlo Ossola, in un’intervista su Repubblica, celebra meravigliosamente, da filologo che insegna al Collège de France, il rapporto docente-allievo. Ricorda anche Fahrenheit 451 , il romanzo di Bradbury divenuto un film di Truffaut, e quasi lo riscrive: «Oggi siamo come quei rifugiati ai quali è stato dato il compito di ripetere il verso appreso a memoria, uno per uno, in modo che la piccola comunità sopravvissuta possa alla fine ricostruire il poemetto andato perduto». Intuizione o lapsus? Nel romanzo - e nel film - i rifugiati, gli «uomini-libro», hanno in realtà imparato a memoria molto di più: appunto un intero libro, che ripetono e tramandano. Ma forse un verso sarebbe bastato.