Aldo Grasso, Corriere della Sera 03/01/2013, 3 gennaio 2013
TV. L’ANNO DEL RECORD
La notizia è questa. Da quando esiste l’Auditel, il sistema di rilevamento degli ascolti del pubblico televisivo, il 2012 è stato l’anno con i più alti valori complessivi di ascolto di sempre. La media della platea televisiva nelle 24 ore è stata di 10.369.000 ascoltatori, mentre nella fascia di prima serata, dalle 20.30 alle 22.30, si è superata per la prima volta la soglia dei 26 milioni di ascolto medio, per la precisione 26.008.000. A Raiuno i grandi numeri, a Canale 5 il primato nel target commerciale (15-64 anni).
Più volte, nel corso della stagione, abbiamo avuto modo di segnalare questo fenomeno di crescita dell’ascolto televisivo. Un iperconsumo che riguarda trasversalmente tutte le fasce demografiche, che pure mantengono le consuete differenze fra spettatori giovani (tre ore e 13 minuti medi di tv fra i 15 e i 24 anni) e spettatori anziani (oltre sette ore per gli spettatori con più di 65 anni). A guadagnarci è soprattutto la tv generalista, che torna a intercettare circa il 75% del consumo «prime time», col 25% che finisce invece alle «altre tv» (canali nativi digitali, locali, satellite, pay). Persino durante l’estate c’è stata una crescita del consumo medio: 3 minuti in più rispetto all’anno passato, concentrati soprattutto nel daytime.
In verità, già negli anni scorsi si era registrato un sensibile incremento, in grado di capovolgere un luogo comune: invece di parlare di crisi della tv generalista sarebbe più opportuno parlare di «tv della crisi». Mentre infatti i dati sui consumi culturali mostrano un decremento del cinema (i dati delle feste di Natale sono stati poco confortanti) e delle vendite in libreria, rinasce una voglia di tv. Il piccolo schermo funziona tipicamente in modo anti-ciclico, il suo consumo cresce nei momenti più difficili, quando non si hanno troppi soldi da spendere in altri intrattenimenti. Sarà la crisi, che tocca i consumi fuori casa ben più di quelli in casa, sarà la presenza di un’offerta digitale (terrestre e satellitare) sempre più abbondante, ma già negli anni successivi al 2008 si sale nella media degli ascolti.
Come si spiegano questi dati? Le risposte sono molte, e complesse. Ma giocano un ruolo importante anche due fenomeni tutti interni al sistema televisivo, per lungo tempo visti (anche dalle parti in causa, broadcaster in primis) come contrastanti, ma che oggi appaiono più che altro complementari.
Da un lato, la resistenza della tv generalista, che conserva tutt’ora uno spazio privilegiato nei consumi degli italiani (e non solo). Primo, nella giornata la tv generalista rimane un appuntamento forte, a cui affezionarsi e restare fedeli giorno dopo giorno, settimana dopo settimana, anno dopo anno: dai telegiornali della sera ai quiz del preserale, dai contenitori mattutini ad «Affari tuoi» e «Striscia la notizia».
Secondo, in prima serata le reti ammiraglie mantengono l’attenzione del pubblico trasformando sempre più la loro funzione nel creare eventi: ai primi posti della classifica dei programmi più visti troviamo, infatti, il calcio (era l’anno degli Europei e delle Olimpiadi), il Festival di Sanremo, la performance di Roberto Benigni sulla Costituzione italiana, la finale di coppa Italia fra Napoli e Juve, l’incontro di Champions League Milan-Barcellona e «Rock Economy», il concerto evento di Adriano Celentano.
Terzo, la tv «per tutti» rimane un formidabile catalizzatore di attenzione e di discorsi, portando a una continua chiacchiera su ciò che succede nel piccolo schermo (dal privato della macchinetta del caffè al pubblico dei social network) e alla definizione di «momenti di grande tv» da vedere e rivedere.
Dall’altro, l’emergere di un’offerta sempre più ampia e abbondante, sia gratuita (con la grande qualità di molte offerte sul digitale terrestre) sia a pagamento (con Sky e Mediaset Premium), porta a conteggiare nel bacino del pubblico televisivo molta più gente, che ha trovato una valida alternativa alla tv spenta in canali tematici o mini-generalisti come Rai4, Real Time, Giallo o Iris, così come nelle offerte di cinema, di serie tv e di calcio degli operatori a pagamento. Una tv sempre più frammentata, multicanale e multipiattaforma, che si specializza, che si costruisce su pubblici specifici, che presenta un’offerta chiara e ben definita, che promette (e mantiene) molto con un marchio forte e un palinsesto ricco, erode sì il pubblico delle generaliste ma espande anche la platea tv nel suo complesso. Quando la tv diventa «home theatre» fornendo ogni ora decine di film e di partite da vedere, c’è ancora bisogno di uscire di casa? Risultato: maggiore frammentazione, ma il totale aumenta.
La televisione non è fatta di sole tecnologie né di soli contenuti. Ma anche, o soprattutto, di ritualità condivise. Per questo, tendiamo a non rinunciare a ritrovarci — assieme a buona parte di quella «comunità immaginata» che si chiama Nazione — davanti al tg delle venti, al brindisi di Capodanno, a una partita di calcio, agli appuntamenti consolidati con i reality e i talk show.
Specie quando il portafoglio piange. Anche se esiste il canone Rai o gli abbonamenti alla pay tv, l’offerta televisiva viene ancora percepita come gratuita.
Aldo Grasso