Paolo Di Stefano, Corriere della Sera 03/01/2013, 3 gennaio 2013
L’EDITORIA TEDESCA VA IN TRIBUNALE
Che fine farà la gloriosa Suhrkamp, una delle più prestigiose case editrici d’Europa? La domanda non è affatto esagerata e non riguarda solo il destino dell’azienda tedesca ma tocca questioni più ampie che concernono il rapporto tra lavoro culturale e mercato. Fondata a Francoforte nel 1950 da Peter Suhrkamp, trasfuga di Fischer Verlag, che aveva guidato dal 1936, alla morte del suo primo proprietario nel ’59 fu rilevata dal suo braccio destro, Siegfried Unseld, destinato a diventare un altro mostro sacro dell’editoria europea. Il fondatore, sopravvissuto ai campi di sterminio nazisti, aveva portato con sé dalla Fischer i maggiori autori di lingua tedesca, da Hermann Hesse a Thomas Mann, da Bertolt Brecht a Max Frisch, creando un catalogo di altissimo prestigio internazionale a cui si aggiunsero col tempo i maggiori scrittori del Novecento europeo e americano, compresi gli italiani Pirandello, Svevo, Ungaretti, Pavese, Gadda.
Con la scomparsa di Unseld, avvenuta nell’ottobre 2002, la gestione passa alla sua seconda moglie Ulla Berkéwicz, che pur rinnovando il catalogo non ha tradito la missione originaria di una casa editrice sempre collocata nell’ambito della sinistra culturale, attenta alle avanguardie letterarie e alle scienze sociali, un ruolo paragonabile a quello che in Italia hanno volto l’Einaudi e la Feltrinelli. Ripetutamente al centro di polemiche per le difficoltà economiche cui, come è toccato ad altri editori di cultura, ha dovuto far fronte negli anni, con una decisione coraggiosa e molto discussa nel 2010 la Suhrkamp si è trasferita a Berlino abbandonando la sua sede originaria: cosa che accade raramente per editori che hanno la loro forza anche nell’identificazione storica con la propria città (immaginate un’Einaudi che traslocasse a Milano!). Fatto sta che qualcuno ha definito la Suhrkamp dell’ultimo decennio, anche per le controversie ereditarie che si accesero ancora vivo (e già malato) Unseld, una sorta di infinita «soap opera» giornalistica, sempre al centro di pettegolezzi, crisi, appetiti economici.
Ora però la questione si fa più drammatica e non solo per l’assetto finanziario. Apparentemente gli equilibri sono chiari: la Fondazione di famiglia, la cui (contrastata) rappresentante è Ulla Berkéwicz, detiene il 61 per cento delle azioni, mentre il 39 per cento appartiene dal 2006 all’imprenditore mediatico Hans Barlach, il cui nonno, Ernst, fu un famoso scultore espressionista. Barlach, pur avendo solo esperienza di editoria quotidiana e televisiva, non ha mai taciuto l’ambizione di dirigere la casa editrice di Unseld e rimprovera all’attuale dirigenza una gestione deludente sul piano finanziario: «Sarebbe molto più vantaggioso — si è spinto a dichiarare — sfruttare solo il catalogo senza produrre più novità». Salvo poi auspicare nuovi mega-bestseller.
È un braccio di ferro, che dura da anni, tra due modi opposti di intendere l’industria editoriale. Da una parte una leadership che intende valorizzare la tradizione senza compromettere la qualità tentando avventure nella letteratura commerciale; dall’altra il salto verso i suggerimenti del mainstream anche a costo di tradire gli intenti originari, magari semplificando la struttura redazionale che si avvale di editor di altissima qualità.
L’ultimo appiglio per rovesciare gli equilibri societari è arrivato a Barlach su un piatto d’argento quando ha scoperto che Ulla Berkéwicz, senza informare i soci, ha affittato alle edizioni una villa storica di famiglia nel quartiere berlinese di Nikolassee, da sempre utilizzata come sede di rappresentanza editoriale e adesso adibita anche ad archivio. Ora Barlach, nel chiedere la restituzione di oltre 280 mila euro, ha fatto causa scatenando una battaglia tra avvocati, e il Tribunale regionale gli ha dato ragione al punto da imporre le dimissioni della Berkéwicz come amministratrice, colpevole di aver mescolato gli interessi privati nella gestione aziendale. Qualcuno teme che se la sentenza verrà confermata si arriverà alla chiusura di una delle ultime case editrici indipendenti tedesche.
Ovviamente non sono mancati gli appelli e i pronunciamenti degli autori a sostegno dell’erede di Unseld. Lo scrittore austriaco Peter Handke ha definito Barlach una sorta di oscuro Satana, il cui scopo è quello di cancellare il simbolo di una gloriosa storia culturale per farne solo uno strumento di guadagno. Hans Magnus Enzensberger, uno degli autori di più lunga fedeltà, ha minacciato, come Handke, di lasciare la Suhrkamp qualora dovesse subentrare Barlach, un manager privo di competenze editoriali il cui unico progetto sarebbe quello di «cannibalizzare i diritti d’autore»: «Con lui non resterò un minuto in più», ha dichiarato al settimanale «Die Zeit». Se dovesse spuntarla, Barlach avrà comunque vita dura, viste le prese di posizione delle ultime settimane. Tutte autorevoli e molte delle quali pubblicate su «Der Spiegel». Per il poeta Volker Braun, da quarant’anni fedele alla Suhrkamp, l’iniziativa di Barlach si riduce a una lotta di potere economico che espone un’impresa culturale agli attacchi del mercato; per il musicista Thomas Meinecke, anch’egli autore della casa, lo spauracchio economico è solo un pretesto; per la poetessa novantenne Friederike Mayröcker la signora Berkéwicz è stata degna direttrice del più grande editore occidentale. Dunque, vietato l’accesso agli intrusi.
Paolo Di Stefano