Paola Jacobbi, Vanity Fair 26/12/2012, 26 dicembre 2012
KISS ME LICIA
[Nicola Pietrangeli]
Com’è quella cosa che il sole bacia i belli? Ecco, in un giorno di sole a Roma, Nicola Pietrangeli è seduto a un tavolo del Foro Italico con vista sui campi da tennis. Uno di questi porta il suo nome. Lui è un’istituzione, sta al tennis italiano come Sophia Loren sta al cinema.
L’11 settembre 2013 compie ottant’anni e se li è goduti tutti, minuto per minuto, una vita baciata dal sole del successo sportivo e dalla rara capacità di vivere con leggerezza ogni momento e ogni partita dell’esistenza, sconfitte comprese.
Sta bene in salute, ha superato un tumore qualche anno fa, gioca raramente a tennis «molto male, ma non male come un ex campione solo un po’ arrugginito, male davvero», dice, perché ha un problema alla vista.
Ci pensa al compleanno imminente?
«Sì, perché sarebbe stupido fingere che non siano tanti anni. Temo il tempo che passa perché uno sta bene, benissimo fino al momento in cui crolla di colpo, patapùm. Del resto, non vorrei nemmeno finire come i Quattro Moschettieri del tennis francese che già anzianissimi (Jean Borotra, Jacques Brugnon, Henri Cochet, René Lacoste, oggi defunti, ndr) si facevano portare ai tornei ormai a braccia, quasi volessero morire sul campo da tennis, come Molière in palcoscenico».
Lasciamo stare la morte. Parliamo della splendida vita di un campione di tennis: eleganza, ricchezza e bellezza.
«Sì, ma ai miei tempi era molto diverso. Mica si guadagnavano i soldi come ora. Chi smette di giocare a 30 anni oggi, si è messo almeno cento milioni in tasca».
Non mi dica che si lamenta di come le sono andate le cose.
«No. Del resto, la mia amica Lea Pericoli dice sempre che io non ho mai lavorato. Io rispondo: "Ho fatto Nicola Pietrangeli". E non è poco».
Il suo rapporto con Lea è uno di quei rari casi di durevole amicizia uomo-donna.
«Siamo un po’ come Mondami e Vianello, Crik e Crok. Io la stuzzico perché lei è un po’ permalosetta, un po’ prima della classe. Ma guai a chi me la tocca, le voglio un mondo di bene. Comunque, è davvero curioso che non ci sia mai stato nulla tra di noi. Pensi che siamo andati insieme nei posti più sperduti del mondo, lei era molto carina, io non ero niente male, eppure, zero, neanche un bacio. Del resto, lei aveva un amore in corso, e io ne avevo sempre almeno due».
Ecco, le donne: ha fama di conquistatore.
«Una fama usurpata. Ho avuto solo tre storie importanti. La mia ex moglie (Susanna Artero, madre dei suoi tre figli, ndr), poi una ragazza di Milano che avrebbe voluto che la sposassi ma, poiché non l’ho fatto, mi ha lasciato. Infine, Licia (Pietrangeli sospira, ndr)».
Licia Colò, conduttrice televisiva. Siete stati insieme sette anni.
«La mia ex moglie si arrabbierà, ma devo dirlo: Licia è stato il mio grande amore».
Perché è finita?
«Bella domanda: dovrebbe chiederlo a lei. Licia mi ha giurato che non c’era un altro, ma non sono convinto».
Siete in buoni rapporti, adesso?
«Mica tanto. Di recente mi ha telefonato perché aveva un problema alla spalla e mi ha chiesto di metterla in contatto con un mio amico medico che è il campione del mondo nella cura delle spalle. L’ho accompagnata, le ho tenuto la mano durante l’intervento che ha dovuto fare perché Licia è fifonissima, sviene appena vede un ago. E poi, niente, non si è più fatta viva. Ci sono rimasto male».
Non faccia troppo la vittima. Chissà quante ne ha combinate alle sue donne.
«Nei sette anni con Licia non ho mai guardato un’altra donna, e la mia ex moglie la tradivo solo se ero fuori Roma».
Prego?
«Sì, senza mai mettere in pericolo la famiglia. Ma, fuori città, era diverso. Pensi che, dopo due settimane di matrimonio, andai per un torneo in Svezia: le ragazze più disinibite, più belle, tutte in spiaggia in topless. Da mal di testa. Infatti, poi, per la Svezia ho sempre avuto un debole. Cercavo di viaggiare con la compagnia aerea Sas, hostess incredibili».
Le sue donne sono state gelose di lei?
«Licia era gelosissima. Una volta, ero appena tornato da Los Angeles e, tre giorni dopo, a Roma, andammo al cinema a vedere Pretty Woman. Mi uscì un: "Che carina questa ragazza!". Non l’avessi mai detto! Licia parte in quarta con "Ma allora conosci questa Julia Roberts? Ma ci sei stato?". E non potevo dire ironicamente "Magari!": rischiavo lo schiaffone».
Adesso è single: le manca avere una relazione, una convivenza?
«No, sto bene cosi. Starei anche meglio se non ci fosse il problema di mio figlio. Il terzogenito, 46 anni, da due senza lavoro, si è trasferito a casa mia (sbuffa, ndr)».
Parliamo di tennis. Il migliore oggi?
«È scontato dire Roger Federer, ma non si può dire altro».
Tra le donne?
«Tutte quelle che finiscono in "ova": tanto vincono sempre loro».
Nel dettaglio: Maria Sharapova è più brava o più bella?
«Più brava. Come donna preferisco Ana Ivanovic, dieci volte più bella».
Si diverte ancora a guardare il tennis?
«Sì, ma spesso tolgo l’audio. Trovo sconcio che i giocatori urlino a quel modo».
Lei non urlava?
«Scherza? Ai tempi miei era proibito».
Ha letto Open, il libro di Andre Agassi?
«No, e non lo voglio leggere. Mi dà fastidio che, a distanza di tanti anni, lui racconti che si drogava durante i tornei. Dovrebbero levargli tutte le coppe».
Gli storici del tennis sostengono che, se Pietrangeli si fosse allenato di più, con il talento che aveva, chissà quali vette avrebbe potuto raggiungere.
«Sciocchezze. Quando ti sei allenato due o tre ore al giorno, che altro vuoi fare? Anche da capitano della Nazionale non ho mai imposto orari ai ragazzi. Dicevo: "Quando le magliette sono sudate, basta". Infatti, ogni tanto Panatta faceva il furbo e se la bagnava con l’acqua».
Tra lei e Adriano Panatta ci fu un passaggio di consegne generazionale.
«Adriano è figlio di Ascenzio, il guardiano del circolo Parioli. Da piccolo noi lo chiamavamo semplicemente Ascenzietto. Poi, molti anni dopo, gioco contro di lui a Milano e me lo presentano come "un ragazzino che promette molto bene". Lui, nello spogliatoio, dandomi del lei, mi dice: "La saluta tanto papà". E io: "Ma allora tu sei Ascenzietto!". A me pareva di aver detto una cosa affettuosa, a lui non è piaciuta. Ancora oggi, i nostri rapporti sono sempre complicati».
Per tornare alla disciplina, lei pensa di aver fatto molti sacrifici per il tennis?
«C’è chi giura di avermi visto ballare ubriaco sui tavoli di Régine (nightclub parigino famosissimo all’epoca, ndr) la sera prima della finale ai Roland Garros, ma non è vero niente, neanche Superman avrebbe potuto! Una volta, a Monaco di Baviera, stavo giocando una partita che venne sospesa per oscurità. Gli altri a far baldoria e io, che pure avevo appuntamento con una fotomodella bellissima, tornai in albergo da solo».
Fu un’eccezione?
«In effetti... Del resto, come le dicevo, quando giocavo io mica si guadagnavano le cifre di oggi. Per due milioni di dollari, forse, vale la pena andare a dormire tutte le sere alle dieci ma, ai miei tempi, quando ai tornei la differenza tra il primo e il secondo posto era di 15 mila lire, perché rinunciare a divertirsi? Io chiudevo la Capannina (storico locale in Versilia, ndr) tutte le mattine. Se mi fossi allenato di più, forse avrei vinto di più, certo. Ma mi sarei divertito molto meno».