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 2013  gennaio 03 Giovedì calendario

QUANDO C’ERA IL PROGRAMMA

[Craxi, Berlusconi e la fine del modello Dc-Pci] –
Un bel programma, ecco cosa ci voleva. La Prima Repubblica ne confezionò a centinaia, programmi asciutti in pochi punti, programmi interminabili, programmi a medio e lungo termine, anche se nessuno si è mai preso la briga di verificarne gli esiti — e comprensibilmente. Un po’ rito, un po’ tic, un po’ specchietto elettorale per allodole di passo, un po’ vizio di promesse al vento o d’ipocriti nichilismi, un po’ molto risonante escamotage da talk-show: prima il programma e poi gli uomini, prima il programma e poi le alleanze... Ah, quanti programmi che nessuno oltretutto leggeva mai, con la scusa che venivano illustrati da esperti di serie B nelle ore morte di alcune soporifere conferenze dette appunto “programmatiche”.
Anche in questo caso la scoperta, al tempo stesso salvifica e truffaldina del programma, si deve a Craxi. Ma una volta partita la moda, il giovane Fini annunciò un programma in dieci punti. E perché dieci? gli chiesero «Perché è un bel numero» rispose. Assai più colto, Spadolini scelse la stessa cifra, ma lo chiamò “il decalogo”, pure affibbiandogli un surplus di retorica: “La linea del Piave”. La Dc d’altra parte da sempre si concentrava sui programmi di governo, vedi lo scherzo poetico che già nel 1970 Nelo Risi dedicò alla loro irresistibile vacuità farcita di politichese: «Il governo che ho l’onore di presiedere,/ pur richiamandosi con interesse e globabilità al programma del governo che lo ha immediatamente preceduto,/ trova la sua ragion d’essere nell’ambito di quella consapevolezza delle responsabilità che si assunse/ allorché si presentò a chiedere la fiducia/ come governo organico,/ nel fermo convincimento di un contributo essenziale/ alla soluzione dei problemi già avviati alla soluzione,/ se non in via di soluzione… ».
Così come una ventina d’anni dopo, alle Botteghe Oscure, fiorì un interrogativo in versi non-sense dedicato alla smania progettuale di Occhetto: «Cantami o diva del Pelide Achille/ del partito qual è il vero dramma:/ programma di governo o governo di programma?». In realtà, già allora il Pci aveva preso l’abitudine di designare alla guida di un fantomatico Ufficio per il Programma illustri dirigenti che andavano tenuti lontani dal cuore del potere. Toccò a Lama; poi a Reichlin, la cui bozza programmatica in copia unica fu rubata dal portabagagli dell’automobile; e infine venne il turno di Bassolino, sotto la cui responsabilità venne elaborato un pastrocchio anche linguistico che contemplava addirittura «un nuovo statuto del corpo umano», e forse anche per questo fu qualificato da Cacciari: «Una declamazione da testimoni di Geova ».
Libri dei sogni a costo zero, enigmi senza mistero, vuoti spinti, spudorati e pure consapevoli, come s’intuì dopo il crollo del 1992-93 grazie anche al contributo dei nuovi arrivati, per cui Bossi propose la valorizzazione del bergamotto e Miglio “la Repubblica d’Etruria”. Dopo di che cominciarono ad apparire a destra come a sinistra ulteriori illeggibili mattoni, però dai nomi pomposi tipo “Dichiarazione d’intenti”, “Carta dei Valori”, “Manifesti” di questo o di quel Nulla, comunque utili almeno a segnalare il più vistoso scollamento tra la parola scritta e la realtà.
Nella campagna elettorale del 2001 venne fuori che l’Ulivo e il Polo non solo si copiavano, ma pure si rinfacciavano i rispettivi programmi. E quindi, con lesta ideaccia, Berlusconi stese, propose e firmò con l’ausilio del notaio Vespa un risolutivo Contratto con gli italiani. Che poi disse di aver appeso anche nel suo bagno personale, a perenne memoria e monito, con i risultati che si sono visti e che si continuano a vedere.