Attilio Bolzoni e Salvo Palazzolo, la Repubblica 3/1/2013, 3 gennaio 2013
“STATO-MAFIA, SPIATI TUTTI I PM”
È UNA lettera anonima quella che sta aprendo un nuovo fronte d’indagine sulla trattativa fra Stato e mafia. Avverte i magistrati di Palermo che sono spiati, indica dove trovare altre prove del patto, fa i nomi di vecchi uomini politici che potrebbero sapere molto. E denuncia che l’agenda rossa di Borsellino è stata rubata «da un carabiniere».
L’INCHIESTA giudiziaria più tormentata di questi mesi si sta ancora rimescolando e rovista adesso in quelle che l’anonimo definisce «catacombe di Stato». Le ultime inedite indicazioni sono in uno scritto che gli investigatori valutano come «attendibile», studiato e steso da qualcuno estremamente informato, uno «dal di dentro» sospettano i pubblici ministeri di Palermo che hanno ordinato accertamenti su tutti i punti segnalati dall’anonimo. Lui, definisce la sua lettera «un esposto». L’ha spedita il 18 settembre scorso a casa di Nino Di Matteo, uno dei sostituti procuratori che insieme ad Antonio Ingroia hanno cominciato l’indagine sulla trattativa.
Sono dodici pagine con lo stemma della Repubblica italiana sul frontespizio. L’autore, alla sua lunga lettera ha attribuito – come nei documenti ufficiali – una sorta di numero di fascicolo. È in codice: «Protocollo fantasma».
Se sia tutto vero ciò che scrive o al contrario un tentativo di depistaggio si scoprirà presto, di sicuro al momento i funzionari della Dia di Palermo e quelli di Roma stanno raccogliendo riscontri intorno ai «suggerimenti » dell’anonimo. Uno che sembra a conoscenza di tanti segreti, come se avesse partecipato personalmente ad alcune operazioni poliziesche o sotto copertura. Questi dodici fogli ricordano tanto quell’altra lettera senza firma arrivata fra la strage Falcone e la strage Borsellino nell’estate del 1992 (e recapitata a 39 indirizzi fra i quali il Quirinale, le redazioni dei quotidiani italiani, il Viminale), la prima carta in assoluto dove si faceva cenno a «un accordo» fra Stato e mafia. Annunciando avvenimenti poi accaduti. Come l’arresto del capo dei capi Totò Riina.
Ma adesso vi raccontiamo cosa c’è esattamente nell’ultimo anonimo palermitano. Finisce con una frase misteriosa destinata al magistrato Di Matteo: «Tieni sempre in considerazione che sto lavorando con te, nelle tenebre». E annota subito dopo, in latino: «Impunitas semper ad deteriora invitat». L’impunità invita sempre a cose peggiori.
Comincia invece con una cronistoria dei cadaveri eccellenti di Palermo: dall’omicidio del segretario del Pci siciliano Pio La Torre - il 30 aprile 1982 – fino alla mancata cattura di Bernardo Provenzano dell’ottobre 1995 nelle campagne di Mezzojuso, probabilmente per una soffiata. In mezzo le bombe di Capaci e di via D’Amelio. Poi si addentra nel particolare. Iniziando dai pm che indagano sulla trattativa.
Li mette in guardia da «uomini delle Istituzioni» che li stanno sorvegliando. «Canalizzano tutte le informazioni che riescono ad avere sul vostro conto», scrive. E dice che li riversano «a Roma », in una non meglio identificata «centrale». Fra gli spioni – sostiene l’anonimo – anche alcuni magistrati. Di certo, strani
movimenti si sono registrati a Palermo in queste settimane. Uno, a metà dicembre. Qualcuno è arrivato fin sul pianerottolo dell’abitazione del sostituto Di Matteo, lavorando dentro una cassetta elettrica. Se ne sono accorti i carabinieri della scorta. Nessuno nel condominio aveva disposto lavori nel palazzo, e in quel fine settimana il magistrato era fuori città. Un intruso sapeva anche questo.
Torniamo all’anonimo. Spiega dove cercare nuove prove sul patto. Usa queste parole: «Ci sono catacombe all’interno dello Stato sepolte e ricoperte di cemento armato, ma alcune verità si possono ancora trovare». E specifica i luoghi. Segue una lista di nomi. Uomini politici della prima Repubblica, grandi e piccoli, tutti mai sfiorati fino ad ora dalle investigazioni sulla trattativa. Consiglia di seguire certe tracce, il suo linguaggio è quello di un «addetto ai lavori». Gli investigatori sono convinti che si tratti di qualcuno che, all’inizio degli anni ’90, abbia lavorato in qualche reparto investigativo.
Conosce minuziosamente alcune vicende. Come quella della cattura di Totò Riina, la mattina del 15 gennaio del 1993. Garantisce che il covo del boss, nel quartiere dell’Uditore, sia stato visitato da qualcuno prima della perquisizione del procuratore Caselli. E ripulito di un tesoro, l’archivio del capo dei capi di Cosa Nostra. «Nascosto a Palermo per qualche tempo e poi portato via», scrive ancora l’anonimo.
E infine dice di sapere chi ha rubato dalla sua borsa l’agenda rossa di Paolo Borsellino, quella sulla quale il procuratore segnava tutto ciò che vedeva e sentiva dalla morte del suo amico Giovanni Falcone. «L’ha presa un carabiniere», giura l’autore della lettera.
Già qualche anno fa un colonnello dei carabinieri, Giovanni Arcangioli, era stato messo sotto accusa dai magistrati di Caltanissetta per avere trafugato l’agenda. L’ufficiale era stato fotografato, in via D’Amelio, con la borsa fra le mani. Ma aveva sempre sostenuto di non sapere nulla dell’agenda. Prosciolto dal giudice in fase d’indagine preliminare e prosciolto poi dalla Cassazione, il colonnello è uscito definitivamente dall’inchiesta. In questi ultimi mesi i pm di Caltanissetta (quelli che indagano sui massacri di Palermo) hanno però ricominciato a visionare un filmato del dopo strage, ricostruito con tutte le immagini ritrovate negli archivi televisivi. Cercano sempre l’uomo dell’agenda rossa. E sospettano sempre che sia uno degli apparati investigativi. La caccia è ripartita.
Cosa aggiungere sull’ultimo anonimo? Le indagini, che sembravano solo aspettare il verdetto del giudice Piergiorgio Morosini sulla richiesta di rinvio a giudizio di quei 12 imputati eccellenti prevista per la fine del mese, hanno ricominciato ad agitarsi dopo le confessioni del misterioso personaggio senza volto. Uno che viene dal passato di Palermo.