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 2013  gennaio 03 Giovedì calendario

BANCHE INGLESI TRA MULTE E SCANDALI [

Un anno nero per i big, sotto attacco per il caso-Libor e le accuse di riciclaggio ] –
«C’era un tempo in cui tutelare la reputazione della tua banca era come proteggere l’onore della tua donna». Quel tempo erano gli anni Sessanta nel ricordo che un anonimo senior banker, oggi in pensione, ha lasciato alla Bbc mentre sulla City rotolava l’onta di patti incrociati capaci di abbattere muraglie cinesi di straordinaria fragilità, mettendo in contatto business che avrebbero dovuto rimanere separati. Da allora ad oggi tutto è cambiato e mezzo secolo più tardi Londra archivia un altro annus horribilis per il banking del miglio quadrato.
La rapidissima successione del caso Libor e delle imputazioni di collusione con i narcotrafficanti e stati-canaglia mosse dal Senato Usa hanno trascinato nella polvere tutte le maggiori banche inglesi o che operano nella capitale britannica. E anche quella che appariva meno esposta al vento degli scandali, Standard Chartered, s’è trovata con un conto da 670 milioni di dollari per aver aggirato l’embargo americano in Iran. Una frazione dei 1,9 miliardi che Hong Kong Shanghai Bank ha dovuto versare per mettere a tacere gli inquirenti americani e sperare di poter continuare a fare business con le istituzioni pubbliche Usa. Una penale che non cancella il peso della vergogna: aver agevolato il trasferimento di 7 miliardi di dollari, «mossi» da narcotrafficanti, fra la filiale messicana dell’istituto e quella americana. Nelle motivazioni dell’indagine parlamentare si precisa che «Hsbc era espressamente indicato dai narcos come l’istituto da utilizzare per le transazioni finanziarie».
La contiguità con crimine organizzato e stati-canaglia (anche Hsbc oltre a Standard è stata accusata di aver aggirato l’embargo a favore di libici, iraniani, sudanesi e birmani) è più grave sotto l’aspetto penale, ma forse meno inquietante del caso Libor. Le dimensioni del fixing del tasso interbancario non sono ancora chiare, nè le conseguenze sono state quantificate. È certo però che l’intesa illecita fra traders e setters di una dozzina di banche ha prodotto la potenziale variazione del tasso di riferimento per 300mila miliardi di prodotti finanziari nel mondo. Il meccanismo del Libor è arcaico e prevede che ogni istituto dichiari a che valori è in grado di finanziarsi. Un’autocertificazione teorica che lascia ampio margine di discrezione, abusato da traders che cercavano di avvantaggiarsi negli scambi. Quando è emerso che i vertici di Barclays avevano suggerito direttamente ai loro dipendenti di «ridurre il tasso dichiarato» per dare un’immagine più solida della banca nei marosi del credit crunch, il caso ha assunto una dimensione devastante. Barclays è stata multata dai regolatori anglo-americani per mezzo miliardo di dollari, il presidente Marcus Agius, il ceo Bob Diamond, il coo Jerry del Missier sono stati costretti a dimettersi. Barclays sta cambiando pelle al punto da aver assunto Hector Sants già ceo di Fsa, l’authority britannica come responsabile della corretta applicazione delle norme di legge e dei regolamenti. Ubs è prossima a pagare una cifra tripla o quasi a quella di Barclays, mentre si attendono Rbs e in fila tutte le altre istituzioni che hanno ammesso di aver avuto dipendenti coinvolti nel raggiro.
Molto meno globale, ma - a tutt’oggi - certamente più costoso per le banche sia del caso Libor sia del narcotraffico, è il pasticcio dei cosiddetti Ppi, ovvero le polizze di assicurazione che i maggiori istituti britannici piazzavano ai clienti. Alla stipula di un mutuo immobiliare il correntista era incoraggiato a sottoscrivere un’assicurazione che in caso di malattia gli avrebbe dato copertura sulla rata. In realtà le polizze risultavano sistematicamente inesigibili. Un flop pagato caro se è vero che gli istituti coinvolti hanno accantonato 12 miliardi di sterline per indennizzare chie è stato raggirato. Non del tutto diverso, ma di minore entità finanziaria, è il caso di interest swaps a tutela dei prestiti accesi da Pmi, ma costruiti in modo talmente complesso da risultare inutili. Anche in questo caso i piccoli imprenditori hanno rischiato di pagare e in taluni casi hanno pagato per prodotti che non davano i risultati suggeriti.
Nella City e nel mondo i titoli più evidenti li hanno conquistati gli individui, più che le istituzioni. Bruno Iksil, la balena di Londra per le dimensioni della sua esposizione su strumenti ad alto rischio accesi per nome e per conto di Jp Morgan, e Kweku Adoboli il trader di Ubs che nel 2011 bruciò 2 miliardi di dollari dal desk Alfa della banca svizzera guadagnandosi, nel 2012, la condanna a sette anni di carcere. Caso (quasi) personale quello del giovane ghanese di Ubs, vicenda più inquietante quella della balena di Londra. Fra le sue dita si sono volatilizzati 6 miliardi di dollari di Jp Morgan e la dignità della banca travolta da un’indagine interna esplicita nel denunciare che il team responsabile delle perdite «non aveva capito e non sapeva gestire» l’enormità dei rischi corsi.