Riccardo Venturi, La Stampa 3/1/2013, 3 gennaio 2013
PER CAPIRE UN ARTISTA, EVITATE DI INTERVISTARLO
[Parla la più influente critica americana, in libreria con il suo nuovo saggio Sotto la tazza blu] –
Rosalind E. Krauss è la storica e critica d’arte contemporanea americana più influente degli ultimi quarant’anni. Contestando la versione ufficiale del modernismo di Clement Greenberg, ha contribuito a riscrivere la storia dell’arte del XX secolo. Grazie alle traduzioni (pubblicate in gran parte da Bruno Mondadori, per la cura di Elio Grazioli) anche in Italia gode della stima di almeno due generazioni di storici dell’arte. L’incontro si svolge a Bergamo, dove è venuta a presentare il suo ultimo libro, Sotto la tazza blu (Bruno Mondadori) su invito della professoressa Franca Franchi. La location del colloquio è quanto meno inconsueta: il coro della Basilica di Santa Maria Maggiore. Seduta tra le tarsie del Lotto, lontano dai turisti e dai fedeli, Krauss è contenta di tornare in un luogo sacro che l’aveva colpita già lo scorso anno. Mi guardo intorno e cerco di vederlo con i suoi occhi. Mi viene in mente solo un passo di Georges Bataille – che Krauss ha contribuito a far conoscere negli Stati Uniti e non solo – secondo cui l’arte non dovrebbe essere delocalizzata: sono gli uomini a doversi spostare per vederla.
So che, nel suo lavoro di critica d’arte, non ha molto in simpatia le interviste agli artisti...
«Da storica dell’arte che scrive spesso su artisti deceduti, ho sempre creduto fermamente nel non intervistare gli artisti su cui lavoro. Non so esattamente cosa pensano gli artisti della loro pratica artistica. Fatto sta che se il loro lavoro non mi parla, se non si rivela di per sé ai miei occhi, allora l’incontro, il gesto critico non va a buon fine. Dopotutto, non m’interessa sapere cos’ha da dire l’artista sul suo lavoro. O il lavoro parla da sé o non c’è comunicazione che tenga».
Leo Steinberg usava dire che non devi trarre le tue idee sull’arte dalla bocca del cavallo, perché il cavallo sta correndo una gara e non ti dirà mai la verità. Leo si riferiva tra l’altro ai suoi scritti straordinari sugli artisti contemporanei, da Picasso a Jasper Johns. In queste pagine, Steinberg riporta la sua esperienza di forma che era stato in grado di ricavare dall’incontro con le opere d’arte. Non era coinvolto in quanto gli artisti avevano da dire sul proprio lavoro.
«Io ho scritto molto, ad esempio, sul lavoro di William Kentridge. Una delle ricompense più alte per chi fa il mestiere di critico d’arte è quando un artista le dice che ha colto nel segno. E Kentridge mi ha sempre confidato di aver imparato molto sul suo lavoro dai testi che gli ho consacrato. Non è straordinario?».
E lo ha mai intervistato?
«Ebbene no! Mi auguro di aver capito il lavoro stesso, che credo essere sufficientemente eloquente. Un aspetto che si ricollega al problema del medium, perché mi sembra che Kentridge metta sempre in immagine il suo supporto, il suo medium. Ho provato a parlarne in Sotto la tazza blu .
Cosa ne pensa del destino del libro? Sotto la tazza blu contiene molte pagine sulla memoria ma evita l’autobiografia.: non scrive mai «Io, Rosalind Krauss», ma è il libro a parlare: «Secondo Sotto la tazza blu », come se fosse… «... un personaggio! Uno dei problemi maggiori che affrontavo lavorando a questo libro era: come è possibile scrivere in prima persona senza essere sentimentali? Mi sono quindi chiesta chi avesse scritto in prima persona mantenendo un rigoroso impianto formale e mi sono detta “Gertrude Stein, naturalmente!”: Guerre che ho visto , Autobiografia di Alice Toklas – opere che hanno una loro dignità, una loro tenuta. Ho così analizzato il modo in cui scrive Gertrude Stein. Anche David Copperfield è in prima persona».
Ha preso così Stein e Dickens come modelli?
«Dickens è il mio scrittore preferito».
Certo, in Gertrude Stein c’è molta meno punteggiatura che nel suo Sotto la tazza blu ...
«Le dirò la verità. Quando ho scritto questo libro, ho escluso la punteggiatura, non completamente ma la maggior parte, in modo che la scrittura avesse l’andamento di una lista. Ovviamente il correttore di bozze non ha esitato a reinserirla. La cosa mi ha infastidito e ho fatto presente che volevo sopprimerla: “È così che scrive Gertrude Stein!”. Ma alla fine l’hanno rimessa. I redattori sono professionisti, non possono essere accusati di non comprendere la grammatica, così si deve sempre avere una serie di virgole sulla pagina».
Tocchiamo qui un punto decisivo: la punteggiatura sparisce e ricompare nella sua scrittura, un po’ come la memoria riaffiora dall’oblio, nella storia del modernismo così come nella sua esperienza personale...
«La memoria è secondo me il medium, e il fatto che un artista lavori con un medium specifico vuol dire che si confronta necessariamente con la storia di questo medium, che è già una forma di memoria. Nella condizione post-mediale si ha tendenza a dimenticare questa storia, o meglio a sbarazzarsene. Per questa ragione alla fine del libro parlo del campo espanso del medium, che provo a organizzare attorno alle sue varie incrinature, come nel caso dell’installazione. Mi soffermo ugualmente sul supporto tecnico e sulla sua capacità di produrre quello che possiamo chiamare un campo unificato del medium».
Ora capisco meglio perché Kentridge è per lei un artista decisivo, con il suo modo di disegnare e cancellare allo stesso tempo, o meglio di cancellare nell’atto stesso di disegnare.
«Kentridge non dimentica mai di riconoscere il suo supporto, che è il film. Per questo insisto sui diversi modi in cui mette in scena la sua tecnica. Consideri ad esempio History of the Main Complaint , con l’immagine del protagonista all’interno dell’abitacolo della macchina in un giorno di pioggia: i tergicristalli spazzano via, cancellano la pioggia e così facendo mostrano la tecnica di cancellazione propria dell’artista. Uno dei tropi retorici che ho adottato in Sotto la tazza blu è la figurazione ( figuring forth ) al posto della rappresentazione, un gerundio che impegna il presente in cui l’artista entra in contatto con il medium che utilizza».
Su cosa sta lavorando attualmente?
«Sto lavorando a un libro su De Kooning, perché ho visitato la bellissima mostra organizzata di recente dal MoMA e mi sono resa conto che non esiste ancora un libro decente su di lui!».
Un ritorno in piena regola alle sue passioni giovanili dei primi Anni Sessanta!
«Per me è fondamentale comprendere questi straordinari maestri modernisti. Per questo mi sono occupata di Pollock».