Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2013  gennaio 03 Giovedì calendario

PETROLIO? NO GRAZIE L’ITALIA FERMA LE TRIVELLE [I

tecnici: entro il 2020 la produzione potrebbe raddoppiare] –
L’ Italia non sarà l’Arabia Saudita ma nel suo piccolo ha anche lei il suo bel tesoretto di petrolio e di metano, custoditi sottoterra e sotto i fondali marini. C’è però una condizione per goderne: non bisogna dire «no grazie». Noi italiani vedremo sgorgare nuovo greggio e nuovo gas soltanto se ci daremo la pena di sfruttarli, altrimenti è come se quel tesoretto non esistesse. La Strategia energetica nazionale (Sen) prevede lo sviluppo delle energie alternative ma propone anche di aumentare l’estrazione di idrocarburi in Italia fino a 24 milioni di barili di petrolio equivalente all’anno (l’unità di misura che omogeneizza petrolio e gas naturale) e questo sarebbe più che un raddoppio rispetto agli 11 milioni del 2012. Il raddoppio in soli otto anni, dice il documento della Sen, «richiederà investimenti per 15 miliardi di euro, creerà 25 mila posti di lavoro e frutterà un risparmio sulla fattura energetica nazionale di 5 miliardi di euro all’anno».

E l’ambiente? La Sen impone «il rispetto dei più elevati standard internazionali in termini di sicurezza e tutela ambientale». Ma in Italia non è proprio aria, quasi tutte le richieste di trivellazione vengono bocciate. Per esempio la provincia di Novara, che ha in Trecate uno dei principali centro storici di estrazione del petrolio, ha scoperto una nuova zona di sviluppo potenziale a Carpignano, ma qui nel mese di giugno un referendum popolare ha respinto a schiacciante maggioranza (93%) la proposta dell’Eni di trivellare un pozzo; e ancora in quel di Novara la richiesta della britannica Northern Petroleum di estrarre greggio nei dintorni di Borgomanero ha provocato a fine dicembre la lettera di protesta di un gruppo di sindaci. E non si tratta di casi isolati: in tutta Italia appena si vede in giro un geologo che saggia il terreno fioriscono i comitati del no.

Davide Tabarelli, presidente di Nomisma Energia, ha un profilo netto: fra gli analisti del settore si schiera con decisione con chi darebbe via libera al petrolio e al gas italiani, nel rigoroso rispetto dell’ambiente ma senza cedimenti verso quella sindrome che in America chiamano «nimby» (not in my backyard, cioè «non nel mio cortile»). Dice Tabarelli: «In Italia c’è una dorsale del petrolio e del gas che parte da Novara e poi si distende lungo l’Appennino fino in fondo alla Calabria e prosegue in Sicilia. Nel Mare Adriatico c’è una dorsale parallela offshore, da Chioggia al Gargano. In un secolo e mezzo in Italia sono stati perforati 7 mila pozzi, di cui 800 ancora attivi. Persino alle isole Tremiti, dove ci sono resistenze a trivellare, c’è già un pozzo, attivo dal 1962 senza danni per l’ambiente. La produzione italiana potrebbe facilmente raddoppiare, proprio come prevede la Strategia energetica nazionale, semplicemente perforando dove già si sa che il petrolio c’è. Invece è tutto bloccato».

Tabarelli cita il caso di Chioggia: «Lì gli ambientalisti non vogliono i pozzi perché dicono che c’è il rischio della subsidenza, cioè che il terreno sprofondi. Ma basta entrare nella basilica di San Vitale a Ravenna per accorgersi che nei secoli c’è stata una subsidenza di un metro. In quella zona è un fenomeno naturale, l’estrazione del petrolio non c’entra». Scusi Tabarelli, ma sia pure nell’ambito del fenomeno naturale, mettersi pure a estrarre il petrolio non potrebbe provocare un po’ di subsidenza in più? «Tutti gli studi geologici dicono di no. Poi qualche singolo geologo disposto a dire che c’è pericolo lo si trova sempre».

Un piccolo sceiccato italiano del petrolio è (o potrebbe essere) la Basilicata. Questa regione nel 2012 ha estratto 5 degli 11 milioni di barili italiani ma ha risorse non sfruttate per altri 400 milioni di barili accertati (e i tecnici valutano un potenziale di un miliardo di barili). Tabarelli si scandalizza perché «in Basilicata è stata bloccata addirittura la ricerca dei giacimenti, dico la pura e semplice ricerca, e questo atto potrebbe essere incostituzionale da parte di una Regione». Il presidente di Nomisma Energia va giù ancora più deciso: «Io mi auguro che nel prossimo Parlamento qualcuno si prenda la responsabilità di fare una legge che dica che una volta rilasciata dal ministero la Valutazione di impatto ambientale, che in Italia è severissima, poi gli enti locali non possano sollevare altri ostacoli, e se lo fanno che vengano penalizzati».