Monica Mazzotto, TuttoScienze, La Stampa 2/1/2013, 2 gennaio 2013
ATTENTI ALLO SBADIGLIO È PIÙ CONTAGIOSO DI UN VIRUS
La prova di quanto possa essere contagioso uno sbadiglio, è che, indipendentemente dall’interesse suscitato da questo articolo, prima dell’ultima riga la maggior parte di voi avrà sbadigliato almeno una volta.
«Il contagio avviene se vediamo, sentiamo o solo immaginiamo un’altra persona mentre sbadiglia - spiega Elisabetta Palagi, responsabile della Sezione di zoologia dei vertebrati del Museo di Storia Naturale dell’Università di Pisa -. Il 50% degli uomini viene contagiato dal video di una persona che sbadiglia». Ma la novità, emersa proprio dagli studi della ricercatrice pisana, assieme a Elisa Demuru e Ivan Norscia, consiste nell’aver legato la contagiosità al livello di empatia che si stabilisce tra chi sbadiglia e chi osserva.
Dottoressa Palagi, perché sbadigliamo?
«Le ipotesi sono tante. Gli antichi greci sostenevano che lo sbadiglio favorisse il ricambio dell’aria, ma gli ultimi esperimenti mostrano che è sbagliato: basta pensare a cosa facciamo alla fine di una corsa. Di sicuro non ci mettiamo a sbadigliare, ma respiriamo più velocemente. Altre ipotesi hanno tirato in ballo la termoregolazione o lo stato di vigilanza e attenzione che verrebbero aumentati. Ma il problema, secondo me, è che si tratta di un comportamento che ha diverse funzioni e capire come e perché si sia evoluto non è facile».
Quello che è certo è che sbadigliamo di più in compagnia che soli: c’è una valenza sociale?
«Sì, la funzione sociale dello sbadiglio si basa su due asserzioni: la prima è che, quando siamo in gruppo, sbadigliamo di più rispetto a quando siamo soli e la seconda è un’evidenza di contagio. Ovviamente ciò non vuol dire che il fenomeno sia nato per fini sociali. Più semplicemente potrebbe essersi evoluto per uno scopo di tipo fisiologico e poi potrebbe essere stato “sfruttato” per comunicare».
Comunicare quale messaggio?
«Lo sbadiglio può segnare il cambio motivazionale e fisiologico di una persona. È comune nel ritmo sonno-veglia, quando si passa da una fase all’altra, nei due sensi. Questo fa pensare che possa avere una funzione di spartiacque tra due stati fisiologici e motivazionali diversi. Il fatto di renderlo palese agli altri componenti del gruppo potrebbe essere utile per sincronizzare attività diverse».
Molte specie sbadigliano, ma poche subiscono il contagio. Perché?
«Lo sbadiglio, evolutivamente parlando, è antichissimo e ciò è testimoniato dal fatto che è presente nei pesci. Il contagio al contrario, presente in poche specie, è un fenomeno più recente e sembra legato a un cervello più complesso. Se fino a poco tempo fa si pensava che riguardasse solo la nostra specie, negli ultimi cinque anni lo si è scoperto anche in altre scimmie. È stato riscontrato negli scimpanzé poi, grazie a un nostro studio, anche nei babbuini gelada».
Negli studi sulla contagiosità da dove siete partiti?
«Abbiamo iniziato la ricerca con l’uomo. Ci siamo divertiti a prendere dati in ogni situazione: sul treno, nelle sale d’aspetto, e anche a pranzo e a cena».
Che cosa avete scoperto?
«Che l’unico parametro importante nel contagio è il tipo di relazione che lega i due soggetti. Non è importante la nazionalità, né il sesso, né la situazione, quello che è importante è la qualità del legame che unisce emettitore e ricevente. I soggetti più facilmente “contagiabili” sono i parenti e i conviventi, poi gli amici, poi i conoscenti e poi gli sconosciuti. Inoltre abbiamo riscontrato, oltre a una maggior frequenza di contagio tra individui “vicini”, anche un tempo di latenza minore. Ossia il tempo intercorso tra lo sbadiglio originale e quello “copiato” è minore quando i due individui sono amici o parenti».
E perciò ti copio se stabilisco un «contatto» empatico con te?
«Effettivamente, grazie anche agli studi di neurofisiologia, sembra che il contagio dello sbadiglio sia legato a forme d’empatia, definita come la capacità di cogliere e sentire in maniera inconscia e automatica lo stato emozionale di un altro individuo. Anche dal punto di vista neurologico, poi, c’è un’ulteriore conferma: osservare qualcuno che sbadiglia attiva aree del cervello, come l’amigdala e l’ipotalamo, note per essere coinvolte nei processi empatici».
Lei ha pubblicato sulla rivista «Plos one» uno studio sui bonobo: la situazione è analoga?
«C’è una sconcertante somiglianza; anche per il bonobo l’unica discriminante è il legame che lega i due soggetti con una preponderanza delle femmine, che sembrano essere migliori “ e m e t t i t o r i ” . Abbiamonotato che gli sbadigli delle femmine riescono ad innescare moltissime risposte».
Anche nell’uomo c’è una maggiore risposta femminile?
«Le dò un’anticipazione: abbiamo il sospetto che anche nella nostra specie possa essere così: vale a dire che le femmine siano maggiormente coinvolte nei fenomeni di contagio rispetto ai maschi».