Riccardo Luna, la Repubblica 2/1/2013, 2 gennaio 2013
E PENSAVAMO FOSSE SOLO UN TELEFONO
Quando usate il telefonino per fare gli auguri, in questi giorni, ricordatevi di mandare un pensiero grato anche a Marty Cooper. Oggi è un allegro ottantenne che non ci pensa affatto ad andare in pensione e con la moglie Arlene Harris guida la società di telecomunicazioni che assieme hanno fondato nel 1986, a Del Mar, in California: la Dyna, un nome che come vedremo non è stato scelto per caso.
Ma esattamente quarant’anni fa Martin Cooper era l’ingegnere di Motorola che stava per portare a termine la storica missione che gli era stata affidata dal vice presidente John Mitchell: inventare il telefono cellulare.
La prima telefonata senza fili della storia la fece lui stesso il 3 aprile 1973 camminando lungo la Sesta Strada di New York City, all’altezza dell’hotel Hilton. Non era un punto qualunque di quella strada. Era proprio sotto l’ufficio del suo rivale, Joel Engel, un ricercatore dei laboratori Bells di AT&T impegnato anch’egli a sviluppare un telefono cellulare.
In realtà l’idea era nata proprio alla Bells nel 1947 ma fino ad allora erano stati realizzati — soprattutto dalla Motorola — solo dei dispositivi per automobili, che si iniziavano a vedere nelle macchine della polizia.
Era stato Mitchell a credere fino in fondo che un giorno le persone avrebbero telefonato e sarebbero state raggiungibili ovunque fossero state. Ricorderà Cooper qualche anno fa: «Scherzavamo, immaginando un futuro in cui a ogni persona sulla Terra al momento della nascita sarebbe stato assegnato un numero di telefono». E non ci sono andati affatto lontani, considerando che oggi nel mondo ci sono più telefonini che persone (oltre sei miliardi), e tre persone su quattro ne hanno uno. Ma allora Mitchell e Cooper potevano sembrare soltanto due buontemponi che avevano visto troppe volte il capolavoro del 1968 di Stanley Kubrick
2001: Odissea
nello spazio.
Eppure, all’inizio degli anni Settanta, la tecnologia per i cellulari sostanzialmente c’era già. Ma ci volle un bel po’ a convincere l’Agenzia federale americana sulle telecomunicazioni a liberare le frequenze necessarie per realizzare l’atteso esperimento.
Il 3 aprile 1973 toccò quindi a Marty Cooper, figlio di un immigrato ucraino cresciuto nella Chicago della grande depressione, l’onore della prima telefonata senza fili. Anche se la telefonata che davvero conta per la storia pare che sia stata la seconda: la prima volta infatti Cooper accese l’apparecchio che si collegò al volo alla neonata stazione cellulare di Burlington e da lì fu subito trasferito alla linea terrestre ma, per l’emozione, sbagliò numero. Al secondo tentativo invece Cooper raggiunse il destinatario, scelto con una certa perfidia, per la gioia dei cronisti lì convocati: il rivale appena battuto. «Hey Joe, indovina?, sono
sotto il tuo ufficio e ti sto chiamando con un telefono cellulare... », pare che abbia detto Cooper parlando dentro un “coso” che era grande come una scarpa e pesava come un mattone. Oltre un chilo. Per realizzare quel singolo prototipo la Motorola aveva speso circa un milione di dollari. Una delle sfide più complicate era stata ridurre le dimensioni della batteria, la cui durata era di appena venti minuti: «Ma non era un problema, perché nessuno poteva tenere sollevato un oggetto così pesante per tanto tempo», dirà Cooper ricordando i bei tempi.
Esattamente dieci anni dopo quella telefonata, la Motorola
metteva in commercio la serie DynaTAC (una sigla che stava per
Dynamic Adaptive Total Area Coverage:
significava che potevi parlarci da dove volevi, teoricamente). Il 6 marzo 1983, il primo modello messo in vendita fu l’8000X: aveva ventuno grandi tasti, una lunga antenna di gomma e ci potevi parlare per trenta minuti appena, poi dovevi tenerlo in carica dieci ore. Costava quasi quattromila dollari (oltre novemila dollari di oggi), venne subito soprannominato “
the brick”,
il mattone, eppure fu un successo clamoroso. E, soprattutto, si apprestava a cambiare la storia. Anche la nostra.
Perché il mondo non è davvero
più lo stesso. E anzi, è diventato un po’ migliore. Lasciamo per un istante da parte il fastidio per le telefonate nei cinema o nei ristoranti, per le suonerie alte nei treni oppure lo stress per il fatto di essere sempre raggiungibili. E partiamo dai dati. Il telefono cellulare è una delle tecnologie che ha ottenuto il successo più rapido della storia: ci sono voluti 128 anni affinché il telefono fisso raggiungesse il miliardo di utenti; al telefono cellulare sono stati invece sufficienti venti anni per tagliare quel traguardo. E dal 2002 gli utenti sono raddoppiati ogni due anni.
Ma la cosa più stupefacente e
più importante è la trasformazione che il cellulare ha avuto negli ultimi dieci anni: da gadget di lusso per la classe agiata dei paesi ricchi a strumento essenziale per stimolare la crescita economica e il benessere nei paesi in via di sviluppo. «I telefonini erano una rarità in certe zone povere del mondo, ora sono ovunque», si legge in un lungo e dettagliato
report
che la Banca Mondiale ha dedicato al fenomeno.
Non si tratta di offrire un gadget ai poveri, ma di dar loro una speranza di crescita. Si chiama “
mobile revolution”:
«La rivoluzione dei telefonini sta trasfor-mando la qualità della vita, aiuta
a creare nuove possibilità di impresa e cambia il modo in cui comunichiamo producendo opportunità di sviluppo su una scala mai vista prima», sostiene Marianne Fay, capo economista della Banca Mondiale. Parliamo qui di telefonini evoluti, naturalmente, ovvero di
smartphone,
collegati alla rete di Internet e con sistemi operativi in grado di gestire applicazioni utili. Magari non ci facciamo più caso, ma, come ha detto recentemente il visionario Ray Kurzweill, «oggi un ragazzino in Africa con uno
smartphone
ha accesso a più informazioni di quelle che aveva il presidente degli Stati Uniti soltanto 15 anni fa». È questa la novità:
con gli
smartphone,
decine di Paesi stanno scoprendo Internet senza passare per i computer. E l’impatto è notevole.
Gli esempi raccolti dalla Banca Mondiale a sostegno di questa tesi sono innumerevoli. In Niger i telefonini hanno consentito ai commercianti di grano di conoscere i prezzi sui vari mercati e di regolarsi senza doverci andare di persona. In Uganda i telefonini sono usati dai docenti per contattare le famiglie in caso di assenza degli studenti e questo ha ridotto l’abbandono scolastico. In Sri Lanka la produzione del latte è cresciuta grazie a una semplice interfaccia sms che gli allevatori utilizzano per
avere informazioni. In Perù la qualità del caffè è migliorata grazie ad una
app
per iPad (ma utilizzabile anche via web) che tiene traccia di tutta la filiera produttiva. In India l’agenzia giornalistica
Reuters
ha avviato nel 2007 un servizio sms che fornisce notizie utili: lo utilizzano 250mila persone che hanno visto crescere il proprio fatturato del 10 per cento. In Palestina, sempre dal 2007, la
startup
Soutkel ha lanciato un servizio per cercare e offrire lavoro tramite una banca dati accessibile via telefonino. Infine uno dei Paesi leader in questo settore, il Kenya, che ha sviluppato un notissimo ed efficace sistema di pagamenti elettronici senza moneta (mPesa), nel 2011 ha lanciato medAfrica, piattaforma mobile per erogare informazioni e servizi medici.
«Ma il meglio deve ancora venire », sostiene allegramente Marty Cooper che sta preparando un libro di memorie e con la moglie ha recentemente lanciato un modello di cellulare «per anziani». «La rivoluzione si vedrà non appena tutti ci renderemo conto che in fondo il telefonino ormai serve soprattutto a scambiarsi dati, informazioni, servizi. Paradossalmente, la cosa meno utile che fa oggi un telefonino è farci parlare e farci ascoltare». Parola dell’uomo che ha fatto la prima telefonata senza fili della storia.