Chiara Pasetti, Domenicale, ilSole24Ore 30/12/2012, 30 dicembre 2012
LA VERITÀ SUL CASO MAUPASSANT
L’anno che sta per aprirsi segnerà il centoventesimo anniversario della morte di Guy de Maupassant (1850-1893). Un importante evento editoriale legato allo scrittore non ha atteso la ricorrenza: è stata infatti recentemente pubblicata la monumentale biografia dell’eminente studiosa inglese Marlo Johnston, che costituirà da ora in avanti un punto di riferimento per gli studi maupassantiani. L’autrice ha consacrato la sua vita allo scrittore, di cui aveva già tradotto in inglese, tra gli altri, Sur l’eau e Dimanches d’un bourgeois de Paris; nel 2005, inoltre, aveva scoperto e pubblicato una sua pièce teatrale inedita del 1883, Madame Thomassin. La passione della specialista per l’autore di Bel Ami dura da molti anni, ma a un certo punto dei suoi studi miss Marlo si rese conto che lo scrittore era ancora circondato da molte leggende, mancando uno studio biografico rigoroso e soprattutto, cosa ancora più grave, un’edizione critica completa della sua corrispondenza (lavoro al quale si sta dedicando da tempo, e che speriamo veda presto la luce).
L’ultima edizione, pubblicata nel 1973 in tre volumi, contava circa ottocento lettere, spesso erroneamente datate. Marlo Johnston ha trovato moltissime lettere ancora inedite disperse negli archivi delle biblioteche francesi e soprattutto degli Stati Uniti, che ha utilizzato per ricostruire la vita di Maupassant. Quasi vent’anni di ricerche, che sono finalmente confluite in Guy de Maupassant, la sua biografia di milletrecento pagine, con circa trecento note, fotografie e immagini sconosciute, e tre preziosi dossier contenenti informazioni inedite. Con lo scrupolo dello scrittore realista di dire soltanto la verità, l’autrice si è accostata, come lei stessa rivela, con «pudore, rispetto e devozione» al suo soggetto di studio, nel tentativo di demolire alcune tenaci mitologie che ancora inquinano la sua figura e la sua opera.
La principale idée reçue smantellata dalla biografia della Johnston riguarda la presunta follia: lo scrittore non era folle, e certamente non lo era per cause ereditarie, o per il clima respirato in famiglia a causa della depressione della madre Laure, amica d’infanzia di Flaubert, sempre dipinta come una donna nevrastenica e affetta da gravi turbe psichiche sul finire dei suoi anni. La materia allucinata di alcune sue meravigliose pagine, come quelle del sublime racconto Le Horla, non ha alcun riferimento alla sua vicenda personale, almeno fino a quando venne internato nella clinica di Passy del dottor Blanche, dove morì a causa della malattia che contrasse molto giovane: la sifilide.
Con un accuratissimo studio documentario e clinico, che deve molto anche al marito della Johnston, medico che si è occupato proprio di pazienti sifilitici, l’autrice fa affiorare la verità sulla patologia progressiva che afflisse lo scrittore e lo portò, negli ultimi diciotto mesi di agonia, dalla semicecità alle convulsioni e alle allucinazioni, fino alla paralisi, all’incoscienza e alla morte. Sessualmente iperattivo (e per questo veniva spesso rimproverato dal suo maestro Flaubert, che esortava il «jeune lubrique» a dedicarsi più seriamente alla sua vocazione letteraria!) come molti artisti dell’epoca frequentava le prostitute, tenendosi lontano da relazioni sentimentali più coinvolgenti.
Un’altra leggenda che viene sfatata nella biografia, attraverso una dimostrazione convincente basata sulla ricostruzione precisa di date e documenti dell’epoca: egli non ebbe affatto tre figli («les enfants Litzelmann») non riconosciuti, come talvolta si legge. Il testo, dalla scrittura nitida e precisa e al contempo palpitante di emozione, rimane incollato all’anima e al cuore di Maupassant in tutte le fasi della sua vita: dall’infanzia alla vocazione poetica, dagli articoli di critica letteraria sui prestigiosi «Le Figaro», «Gil Blas», «Le Gaulois» e «L’Écho de Paris» ai primi lavori in prosa, dall’amicizia con Flaubert, «mon cher maître» teneramente e devotamente amato, che ricambierà con slancio l’affetto del discepolo chiamandolo persino «mon cher fils», al procedimento giudiziario del tribunale di Étampes, che lo accuserà di oltraggio ai costumi e alla morale pubblica per Au Bord de l’eau (vicenda che farà indignare Flaubert, il quale gli scriverà che la sua poesia, «come il sole, mette l’oro sul letame»), fino al successo di Boule de Suif, profeticamente giudicato da Flaubert «un capolavoro destinato a durare». E ancora, la fertile frequentazione con Zola e tutto il gruppo di Médan, e con Ivan Turgenev, al quale dedicherà, come «omaggio di un’affezione profonda e di una grande ammirazione», La Maison Tellier, l’amore per l’acqua, il canottaggio, le jolies filles, le cene parigine, l’esuberante vitalità, il riso contagioso, la passione per i viaggi, che lo condurrà in Algeria e fornirà la materia di tanti racconti ancora poco conosciuti, ricchi di osservazioni critiche sulla dura realtà coloniale e sulla spoliazione delle terre.
Il ritratto che si ricava dalle pagine di questa biografia appassionata e al contempo degna della più grande scuola realista è quella di uno scrittore estremamente moderno, privo di pregiudizi morali, indipendente, che spesso aveva bisogno di isolarsi da tutto e da tutti per creare, per trovare, come gli insegnava il suo maestro, «una maniera individuale di vedere e di sentire». Scettico e pessimista, ma non troppo come troppo spesso si è letto, se non aveva fede in nulla, specialmente nell’amore, che giudicava, complice la lettura ammirata di Schopenhauer, al pari delle religioni, ossia «tra le peggiori stupidità in cui sia caduta l’umanità», aveva tuttavia un incrollabile amore per la scrittura, e la certezza, ma anche la modestia, di essere nato per scrivere. La biografia di Marlo Johnston, che demolisce molte favole scritte sul suo conto, a Guy de Maupassant, démolisseur de rêves, sarebbe certo piaciuta, e costituisce la migliore introduzione alla sua mirabile ed eterna prosa.