Matteo Codignola, Domenicale, ilSole24Ore 30/12/2012, 30 dicembre 2012
LE PIETRE MILIARI DI MR. FLEMING
Questa storia rischia di somigliare al sogno di ogni bibliofilo, ma siccome siamo sotto le feste tanto vale raccontarla. Comincia a Londra un giorno del 1929, con un ragazzo inglese di bella presenza che vive da qualche mese in Tirolo, è appena tornato da una vacanza in Corsica, e adesso percorre avanti e indietro, ehm, Bond Street. Alla terza o quarta vasca, l’occhio gli cade sulla vetrina di una delle (allora) migliori librerie della città, Dulau, dove spicca una plaquette di poesie, Pansies, che un cartiglio molto asciutto presenta come «il nuovo D.H. Lawrence». Incuriosito, il ragazzo entra, e con l’avversione per i preliminari che diventerà un suo marchio di fabbrica, si presenta al direttore, Percy Muir. Mi chiamo Ian Fleming, dice, e vorrei sapere come mai ci tenete tanto a D.H. Lawrence. È probabile che proprio la risposta di Muir – detesto ogni personaggio che Lawrence concepisce e ogni idea che formula, ma lo considero il più grande scrittore inglese vivente – faccia capire a Fleming di avere trovato un suo simile, da trasformare prima possibile in fratello. I due vanno a colazione insieme, poi a cena, e a tarda notte Muir introduce Fleming ai meccanismi occulti (neanche tanto) del mercato dei libri. «Mi stai dicendo che il Lawrence che mi hai venduto stamattina, quando il libro andrà in ristampa, acquisterà automaticamente valore?» chiede Fleming sul far del mattino. Muir conferma, e al suo nuovo amico passa negli occhi un lampo piuttosto eloquente.
Dall’Austria, dove ritorna subito dopo, Fleming spedisce a Muir ordinazioni mai del tutto prevedibili – come l’abbonamento a «Transition», stravagante rivista surrealista diretta da un nipote di Pierpont Morgan, che tanto per arricchire il pedigree di famiglia non solo faceva il poeta, ma aveva istituito un suo personale culto del sole. Ma perché i due comincino a fare sul serio bisogna aspettare che Ian torni in patria, trascorra un periodo a Mosca come corrispondente della Reuters, quindi decida di rientrare nell’alveo delle tradizioni familiari, accettando l’offerta di una importante società finanziaria, la Rowe and Pitman.
Bene, pur essendo nipote del fondatore della Banca di Scozia, e nonostante un’attrazione convulsiva per il denaro, come broker Fleming pare non sia propriamente un fenomeno: ma siccome in finanza capacità e cespiti non sempre procedono di conserva, all’inizio del 1934 si vede versare un bonus di 250 sterline – al corso attuale, circa 7.000. Che decide subito di investire.
Chiama Muir – nel frattempo diventato socio di un’altra libreria illustre, la Elkin Matthews, da cui si servono Ottoline Morrell e Lytton Strachey – e lo incarica di comprare prime edizioni di libri che, a partire dall’anno 1800, abbiano fatto "succedere qualcosa" nella scienza, nella tecnica o nella storia del pensiero. È un mandato meno ampio di quel che potrebbe sembrare, dal momento che per ogni titolo Muir è tenuto a redigere una scheda dove si dimostri come il volume di cui propone l’acquisto sia effettivamente stato, al momento della pubblicazione, una "pietra miliare".
Insomma il cliente non è una mammola, ma il suo emissario neppure. Muir si era fatto le ossa – e una solida reputazione – trafficando con la Germania di Weimar, cioè sottraendo a poveri disgraziati volumi preziosissimi in cambio di spiccioli – anche se, sottolineava ogni volta, di sterline. Sa trattare, quindi, e anche persuadere. Se alcuni titoli da lui acquistati già nel 1935 possiedono i requisiti teoricamente necessari – l’importanza dell’Origine della specie di Darwin (25 sterline), della tesi di dottorato dove Eva Curie comunicava la scoperta del radio (4), o della Teoria dei Quanti di Niels Bohr (1) appariva dimostrata, o almeno dimostrabile –, la curiosità di sapere come Muir abbia convinto Fleming a considerare "pietre miliari" il primo manuale di regole del Ping Pong, o lo Scouting for Boys di Baden Powell permane. L’asso nella manica di Muir doveva essere però un altro, e cioè una scoperta per certi versi decisiva: siccome i titoli che Fleming cercava erano in buona parte testi tecnici, la domanda si concentrava sulle ultime edizioni, non sulle prime. In altre parole, quei libri non avevano mercato, né un prezzo degno di questo nome.
Ciò detto, anche una rapida occhiata al catalogo della collezione Fleming lascia capire perché Muir considerasse il suo assemblaggio una specie di opera d’arte, e l’apice della sua carriera di libraio. I circa 1000 volumi sono oggi ospitati, per intercessione dello stesso Muir, nella Lilly Library dell’Università dell’Indiana, e una parte del loro catalogo è disponibile online. Tuttora racchiusi nei lussuosi e costosissimi contenitori in tela rigida nera – non visibili online, ma grazie al cielo l’accesso ha qualche limite – che erano l’orgoglio di Fleming e la disperazione di Muir (tutte sterline sottratte al mio budget, pensava), quei libri rischiarano con estrema efficacia i meccanismi di una mente attratta allo stesso modo dal Che Fare? di Lenin, dal trattato sulle impronte digitali di Galton o dalla Notice sur le Cinématographe dei fratelli Lumière. Al tempo stesso, rendono particolarmente oscuro l’ordine perentorio con cui il loro proprietario, alla vigilia della guerra, comunica a Muir che può bastare così.
Da quel momento in poi, Fleming considererà la sua collezione un incrocio fra un complemento d’arredo (chiunque abbia visitato le sue case ricorda lo sfondo dei contenitori neri, che con l’intensificarsi dei bombardamenti verranno tuttavia trasferiti in un posto sicuro) e un’assicurazione sulla vita. A un antiquario americano che negli anni Cinquanta gli chiede quanto la valuti, Fleming risponde sparando, come sempre, ad alzo zero: 100.000 dollari. Scherzava, a suo modo, ma fino a un certo punto.
Fine della storia? Figurarsi. Poco prima di cominciare a scrivere Casino Royale, Fleming si lancia in un paio di imprese apparentemente dissennate: compra per 50 sterline da Lord Kemsley, suo datore di lavoro al «Sunday Times», una rivista che ne perdeva mille a numero e, con l’aiuto del solito Muir, la trasforma nell’oggi leggendario «Book Collector». E assume la direzione di un’altra azienda decotta dello stesso Lord Klemsey, la Queen Anne Press, che pubblicava Evelyn Waugh, Patrick Leigh Fermor e Mervyn Peake in una veste – molto – ricercata. Cosa aveva in mente? Per capirlo basta sfogliare l’ultimo volume della casa editrice oggi diretta da un nipote di Ian, Fergus Fleming. Si tratta della monumentale bibliografia di Fleming (Ian, beninteso) curata da Jon Gilbert, studioso dell’autore e proprietario di Harrington, una piccola libreria antiquaria di Kensington che ha in catalogo tutte le prime edizioni di Fleming (Ian, sempre lui). Il libro di Gilbert è una specie di sontuoso panopticon che trasforma a vista manoscritti, dattiloscritti, e copertine in quello che Fleming probabilmente avrebbe voluto che diventassero: una collezione. Ah, l’edizione deluxe del libro, che riproduce la veste anche tipografica scelta da Fleming per un’edizione numerata di Al Servizio Segreto di sua Maestà Britannica, costa 250 sterline, ed è a sua volta assai collezionabile. Gira un po’ la testa? Sì, e per una volta il Martini non c’entra.