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 2012  dicembre 29 Sabato calendario

QUANTI ERRORI DEGLI ECONOMISTI SULL’AUMENTO BOOM DEI PREZZI


Qualche lettore si ricorderà della campagna "Peter Schiff aveva ragione", nel 2009, una specie di blitz di public relations per sostenere che Schiff, editorialista vicino alla scuola austriaca, aveva previsto la crisi. Non era vero, ma ciò non impedì a Schiff di diventare presenza fissa negli show televisivi della destra, costantemente impegnato a lanciare allarmi sull’inflazione smisurata che l’espansione monetaria e le politiche di bilancio messe in atto da Obama avrebbero scatenato. Cullen Roche, sul blog Pragmatic Capitalism, si è imbattuto in un presentatore tv che ha messo in imbarazzo Schiff facendogli notare che era dal 2008 che prevedeva iperinflazione, eppure non se ne vedeva traccia. Dov’è l’iperinflazione?
Ci sono due tipi di previsioni sbagliate. Un tipo di errore, che fanno tutti in continuazione, riguarda quelle che potremmo chiamare forze esterne.
Se l’economista che fa la previsione non sa che ci sarà una guerra in Medio Oriente o un braccio di ferro sull’indebitamento, le sue previsioni potrebbero risultare sbagliate: il che è un peccato, ma non conferma né smentisce il modello su cui quelle previsioni erano basate. La stessa cosa vale anche nel caso in cui l’economista in questione avrebbe dovuto sapere cosa stava per succedere. Tutto questo per dire che magari quell’economista non è la fonte più attendibile per previsioni a breve termine, ma non significa che sia in errore su nodi più generali.
Ecco un esempio di previsione sbagliata che non ha influito sui fondamentali: nel 1929 il grande economista americano Irving Fisher dichiarò che i prezzi delle azioni avevano raggiunto un plateau alto; peggio ancora: attribuì questo roseo futuro ai guadagni di produttività consentiti dal proibizionismo. Fece la figura dell’idiota.
Tutto questo non influisce sulla sua analisi di fondo: le teorie di Fisher su tasso di interesse e deflazione da indebitamento sono ancora essenziali.
Schiff e gli altri seguaci della scuola austriaca che prevedono un’inflazione fuori controllo hanno ragione, dato il modello di base. Se siete convinti che le recessioni siano provocate da inadeguatezze sul versante della produzione, che siano il risultato di cattivi investimenti pregressi, sarete convinti anche che qualsiasi tentativo di correggere il declino espandendo il credito produrrà come unico effetto troppa moneta a fronte di una quantità troppo limitata di beni, e dunque inflazione a gogò.
Nello stesso senso, il fatto che questa inflazione alta non si stia concretizzando rappresenta una drastica confutazione di quel modello. (E non perché le cifre sono truccate: le stime effettuate da fonti indipendenti non differiscono dai dati ufficiali sull’inflazione).
Negli ultimi cinque anni abbiamo assistito ad ampie misure di politica economica: negli Usa un’espansione del bilancio della Fed e in alcuni Paesi disavanzi enormi e drastica austerity. Queste misure rappresentano esperimenti su scala naturale, che garantiscono agli economisti informazioni sulla validità dei modelli economici, e i modelli che hanno dimostrato di funzionare sono quelli incentrati sulla domanda, gli approcci più o meno keynesiani, mentre tutto il resto si è dimostrato sbagliato. Gli economisti che avevano proposto questi altri approcci avrebbero dovuto dire: «Mi sono sbagliato. Devo ripensare il mio approccio».
È quello che ho fatto io. Dopo la crisi asiatica di fine anni 90 ho rivisto le mie idee; dopo aver fatto una previsione sbagliata nel 2003, ho riesaminato le mie opinioni su debito e disavanzi nei Paesi avanzati. Ma pochissimi sono disposti a dare ragione ai fatti.

(Traduzione di Fabio Galimberti)