Marco Onado, ilSole24Ore 29/12/2012, 29 dicembre 2012
QUANTO PESA L’ANELLO DEBOLE
L’anno della grande paura per l’Europa è stato positivo per i mercati finanziari e per chi ha investito in obbligazioni e azioni, anche dei paesi periferici, Italia compresa. Le previsioni che dipingevano l’anno bisestile come un calvario continuo per gli investitori non si sono rivelate migliori di quelle dei sedicenti interpreti dei Maya che annunciavano la fine del mondo.
Tutto bene, quindi? E, soprattutto, possiamo sperare in un 2013 che replichi l’anno che si sta per chiudere? In realtà, per interpretare i dati del 2012 bisogna tener conto di almeno tre elementi. Primo: le performance dei mercati finanziari sono anche una misura del successo delle banche centrali, che hanno fatto, soprattutto la Bce, «tutto quanto è necessario» (secondo l’espressione di Mario Draghi) per salvare l’euro ed evitare l’uscita traumatica della Grecia e degli altri paesi che sono via via entrati nell’occhio del ciclone, prima fra tutti la Spagna. Anche il varo del fondo europeo e l’avvio dell’unione bancaria hanno avuto un peso rilevante, ovviamente, ma queste misure incideranno soprattutto sulla performance dell’anno prossimo. Certo che se non fossero state varate, lo sforzo della Bce sarebbe stato vanificato.
Secondo: come direbbe il giardiniere Chance di "Oltre il giardino", più l’inverno è rigido, più la primavera risulta mite. In altre parole, i rendimenti positivi del 2012 sono spiegati anche dall’eccesso di pessimismo di un anno fa. Non a caso, i rendimenti più alti sono segnati dai titoli greci e dai paesi periferici in generale. È comunque un segno positivo che, almeno per quanto riguarda l’Italia, si sia riusciti a realizzare una manovra di bilancio su cui dodici mesi fa nessuno era disposto ad investire.
Terzo: se guardiamo ai dati del mercato azionario, si nota che la performance italiana, pur positiva, è circa la metà di Eurolandia e che, fra i grandi paesi, solo la Spagna ha fatto peggio. Il motivo fondamentale sono le valutazioni negative di mercato, tanto che oggi fra le banche italiane solo Mediobanca ha una capitalizzazione di borsa superiore alla metà del valore contabile. Circa la metà di Santander e Bbva, che pure devono fronteggiare la gravissima crisi spagnola e che hanno rapporti prezzi/valore contabile di 0,79 e 0,86 rispettivamente.
Tutto questo non porta a ridimensionare la performance positiva del 2012, ma aiuta a capirne sia le motivazioni di fondo, sia i punti di criticità per il futuro. Sostanzialmente, l’anno si è chiuso meglio del previsto perché a gennaio scorso i mercati erano pessimisti, sia pure per diversi motivi, sull’evoluzione politica tanto degli Stati Uniti, quanto dell’Europa. Molti dei pericoli paventati (dal blocco del bilancio federale, alla vittoria in Grecia di partiti anti-europei, al rischio di insuccesso del governo Monti) sono stati evitati e i prezzi dei titoli sono saliti dal baratro in cui erano caduti. Il 2013 sarà dominato non solo da rischi politici vecchi e nuovi (il fiscal cliff che si riaffaccia ancora più minaccioso, le elezioni italiane a febbraio e quelle tedesche a settembre) ma soprattutto dalla necessità di dare concreta attuazione alle risposte europee maturate negli ultimi mesi.
Il 2013 si annuncia come un vero e proprio momento della verità per l’Europa e per il suo sistema bancario. Troppi problemi sono ancora sul tappeto (o, meglio, accuratamente nascosti sotto): dall’insostenibilità del debito greco (e forse anche di quello portoghese) alle condizioni traballanti di tante banche. L’esempio più clamoroso è di questi giorni: dopo un salvataggio (si fa per dire) privato nell’estate del 2011 e uno pubblico del 2012, l’autorità spagnola ha annunciato che Bankia ha un patrimonio negativo di oltre 4 miliardi di euro e che nella sua controllante (non quotata) che raggruppa altre casse di risparmio la voragine ha superato i 10 miliardi.
È la prova definitiva dei disastri combinati da una vigilanza nazionale troppo ottimista e compiacente, che 18 mesi fa chiamava i risparmiatori a sottoscrivere a 3,75 euro azioni che oggi valgono poco più di mezzo euro e solo tre mesi fa dichiarava che l’iniezione di capitale pubblico per 4,5 miliardi sarebbe stata sufficiente.
Come ha ammonito più volte il Fondo monetario internazionale, le banche sono il vero anello debole della crisi europea, sia perché troppe banche sono arrivate alla crisi con troppi rischi e troppo poco capitale, sia perché la ripresa economica continua ad allontanarsi nel tempo, come un miraggio del deserto, peggiorando la qualità dell’attivo e quindi esigendo pesanti tributi sotto forma di accantonamenti per possibili perdite sul portafoglio crediti che compromettono la redditività corrente. Come dovrebbe aver ammonito il caso giapponese del "decennio perduto", risolvere i problemi delle zombie banks è condizione necessaria (ancorché non sufficiente) per la ripresa produttiva. Nel caso europeo, anche per evitare che le banche ancora sane, come quelle italiane, siano penalizzate dal mercato perché assimilate a quelle deboli e comunque vedano i loro profitti correnti evaporare sotto forma di accontamenti per rischi di crediti. Nel corso del 2011 questa voce ha assorbito oltre due terzi del profitto lordo e il dato del 2012 non dovrebbe essere migliore. La storia insegna che sistemi bancari sottoposti a stress di questo genere non sono in grado di sostenere una ripresa economica degna di questo nome, perché sono - comprensibilmente - troppo occupate a sopravvivere.
Nella partita a scacchi con i mercati, tocca adesso all’Europa muovere. Se arriveranno le risposte che sono state annunciate, in particolare con riferimento alle banche, potremo davvero vedere la luce in fondo al tunnel della crisi e sperare in performance del 2013 in linea con quelle correnti. Ma l’ottimismo che sempre regna sovrano quando si è prossimi a Capodanno non deve far dimenticare che i nodi politici da sciogliere, a livello di singoli paesi e comunitario, sono ancora molti e complessi.