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 2012  dicembre 31 Lunedì calendario

Ascoltato dai partiti e consultato da Monti, Roberto D’Alimonte per la prima volta esibisce le analisi di dati e flussi elettorali in un processo penale, anziché in un’aula universitaria

Ascoltato dai partiti e consultato da Monti, Roberto D’Alimonte per la prima volta esibisce le analisi di dati e flussi elettorali in un processo penale, anziché in un’aula universitaria. Un suo studio è infatti depositato al tribunale del riesame di Milano, nell’inchiesta su ’ndrangheta e politica che 83 giorni fa ha portato in carcere Domenico Zambetti (Pdl), assessore regionale alla casa, infliggendo il colpo ferale alla giunta Formigoni. Si tratta di una perizia commissionata al docente della Luiss dalla difesa di Ambrogio Crespi, anch’egli arrestato per concorso esterno in associazione mafiosa. Incrociando intercettazioni telefoniche e ambientali avvenute nel 2011 tra presunti ’ndranghetisti procacciatori di voti a cui Zambetti versava decine di migliaia di euro, la Procura di Milano accusa Crespi, fratello e collaboratore del noto sondaggista Luigi, di aver «procurato a Zambetti, grazie anche ai suoi contatti e alle relazioni privilegiate con esponenti della criminalità operanti a Milano, 2500 voti di preferenza, contribuendo in modo decisivo al suo successo elettorale» nelle elezioni regionali 2010. Ciò in cambio di una promessa di soldi poi non mantenuta. Circa 2500 preferenze sulle 4444 raccolte a Milano da Zambetti: un ricco «portafoglio di voti», scrive il gip, citando in particolare una chiacchierata in cui un altro degli arrestati, Eugenio Costantino, spiega che «Ambrogio 2500 voti a Milano gli ha fatto prendere (...) ha amici intimi tra calabresi, siciliani e napoletani», tra cui alcuni che «hanno 10-12 grossi condomini a Milano che dirigono loro». Ecco il punto: interi condomini controllati da criminali legati a Crespi, in grado di spostare 2500 voti. Qui entra in scena D’Alimonte, ingaggiato dalla difesa di Crespi per radiografare risultati e flussi elettorali a Milano tra il 2006 e il 2010. Il professore analizza le preferenze raccolte da Zambetti in tutte le 1200 sezioni di Milano, sia in valore assoluto che in rapporto agli elettori e ai voti di lista del Pdl. E rileva che i dati sono omogenei in tutta la città, senza picchi di preferenze in zone specifiche, come sarebbe naturale aspettarsi con il controllo «militare» di interi condomini, i cui abitanti votano negli stessi seggi. Non solo. A Baggio, quartiere dei caseggiati «sospetti», la performance di Zambetti è la peggiore di Milano: appena 62 preferenze. Poi D’Alimonte compara i risultati di Zambetti con quelli del 2005, quando fu eletto per la prima volta in Regione nell’Udc. Preferenze cresciute ovunque, ma nella zona 7 (in cui si trova Baggio) con un tasso (62%) inferiore alla media cittadina (78,3%). E nelle 23 sezioni «sospette» le preferenze erano 30 in meno: nessun massiccio afflusso di voti. Il terzo dato analizzato riguarda le elezioni comunali 2006, quando Ambrogio Crespi si candida sindaco con due liste civiche, raccogliendo solo 1077 voti (0,1%), dunque la metà di quelli che avrebbe portato in dote a Zambetti, e solo 46 nelle sezioni dei condomini «incriminati». D’Alimonte conclude con una complessa valutazione statistica, dimostrando che «non c’è relazione statisticamente significativa» tra i risultati di Crespi e quelli di Zambetti (anzi in alcune sezioni vanno in direzione opposta). Piuttosto, l’ex assessore si è giovato nel 2010 del cambio di partito Udc-Pdl. Elementi che secondo Giuseppe Rossodivita, avvocato di Crespi, confutano la tesi del «portagoglio di voti» nei «10-12 condomini», molto valorizzato dal gip nell’ordinanza di arresto, vanificando le imputazioni. Ma le analisi di D’Alimonte, molto ascoltate da studiosi e politici, non trovano medesima audience in tribunale. Il gip le liquida come «sostanzialmente irrilevanti». La Procura spiega che la perizia «non contiene elementi tali che possano superare il dato inconfutabile del consistente aumento di preferenze di Zambetti» tra il 2005 e il 2010, considerato «perfettamente coerente» con il sostegno ’ndranghetista desumibile dalle intercettazioni. Il pm corrobora la tesi del «quadro probatorio rafforzato», accolta dal gip, con una considerazione politologica: Zambetti passando a Pdl avrebbe dovuto perdere voti, non guadagnarne, poiché «solo una parte del Cdu (in realtà Udc, ndr) aveva scelto di confluire nel Pdl, con conseguente perdita di una fetta di elettorato cattolico». Materia scivolosa. Ora la palla torna al Riesame.