Andrea Scanzi, il Fatto Quotidiano 30/12/2012, 30 dicembre 2012
Gli ottant’anni di Paolo Villaggio
[Auguri Paolo, mezzo secolo di carriera tragicomica, nei suoi personaggi i lati più biechi del paese] –
Contro non poche Cassandre per fortuna non auto avveratesi, Paolo Villaggio è sopravvissuto a se stesso. Oggi compie 80 anni, portati in direzione quasi sempre ostinata e contraria, come scriveva e scandiva Fabrizio De André. Cantautore e poeta, ma più che altro – qui – amico. Da sempre. Scorribande, zingarate bastarde, improbabili Carlo Martello ritornanti, giornate da fannulloni, soprannomi eternati (“Faber”) e concertacci in crociera senza Schettino (però con Berlusconi). Ogni volta che gli chiedono di ricordare l’amico, non ne nasconde – anzi piuttosto ostenta – i difetti. La santificazione che ha caramellato post mortem la cartolina di De André, anarchico ribelle mai stato comodo, lo fa oltremodo incazzare (“arrabbiare” sarebbe un anelito all’edulcorazione che con Villaggio nulla c’entra). I testacoda continui e le esagerazioni feroci non costituiscono un controcanto da silenziare, rappresentando piuttosto ciò che a Faber permise di divenire Faber. Probabilmente dai diamanti non nasce niente, di sicuro il letame non è mai stato innocente. Per questo, contro se stesso, il peccatore (spesso impenitente) è eccome prossimo alla meraviglia.
Paolo Villaggio ha sempre odiato i buoni sentimenti, che è poi un bene contraffatto e di contrabbando. Detesta il conformismo, l’happy end, l’artisticamente corretto.
AL MIELE PREFERISCE LA MELMA, all’anoressia intellettuale la bulimia totale. Il buonismo non l’ha mai intaccato, il cinismo lo ha sempre attratto. Fino al punto da lasciarsi da esso intridere. Con voluttà. La misericordia, nei suoi libri e film, non è mai esibita. Dall’annullamento – dal calvario, dal ridicolo – dei suoi personaggi deriva per contrasto l’ironica aspirazione a una dolorosa pietà. Alla sua creatura più nota, prima letteraria e poi filmica, non ha mai voluto male: odiarla era troppo facile, dunque banale. Il grande successo finisce col fagocitare l’artista: il cantante è noto solo per quella canzone, lo scrittore solo per quel libro. Villaggio, per non pochi, soltanto per Fantozzi. Villaggio sa bene che quel ragionier-fantoccio ha oscurato i non pochi libri splendidi, il connubio con Gassman , i premi alla carriera (che gli attirarono l’invidia di tanti, su tutti Nino Manfredi), il talento scoperto a fine Sessanta da Maurizio Costanzo. Ugo ha ingoiato quasi tutto, anche i film con Ferreri e Fellini (che Villaggio, sempre per bruciare preventivamente il proprio santino, non si stanca di ridimensionare). Ma li ha ingoiati bene. Così doveva essere: la maschera come parte del tutto. Un tutto fatto di televisione pionieristica, teatro coraggioso e tormentoni (“Com’è umano lei”, anche se di umanità tutt’attorno non ce n’è quasi mai traccia).
Carattere imprevedibile, che è spesso l’eufemismo per alludere a una lunaticità estrema (“Mi vuole intervistare? D’accordo, ma solo se mi chiama alle 5 del mattino”. E non scherza). Goloso di provocazioni, da quella epidermica del look (le tuniche, le ciabatte) a quella forsennatamente cattivista (in radio, in tivù: e giù polemiche, che lo divertono come gli accadeva da ragazzo). Penna vivida, lessico surreale, fantasia rara (e fortunatamente deviata).
Di “cagate pazzesche”, ennesima immagine da lui eternata, ne ha collezionate pure lui. Soprattutto dalla fine degli Ottanta. È il primo a saperlo. Quando recitava in Carabinieri o con Neri Parenti, è presumibile che non lo facesse perché irretito dalle sceneggiature. Villaggio ha lottato contro Brancaleone, direttori megagalattici, belve umane. Sensibile come pochi alla ferocia quotidiana, suole esibirla fino al parossismo, come esorcizzazione apparentemente ilare di una contemporaneità implosa.
Spesso gli artisti non sanno invecchiare. Villaggio sì, proprio perché non ha mai voluto invecchiare (men che meno bene). Coscienza più spietata che critica. Talento autolesionista. Vaccino alla melassa, antidoto al nulla telegenico. A volte antitutto, per certo antitaliano. Auguri, Paolo Villaggio. Anche se, quando qualcuno te li fa, avverti subito una gran voglia di mandarli (mandarci) a quel paese.