Stefano Feltri, il Fatto Quotidiano 30/12/2012, 30 dicembre 2012
PASSERA O NON PASSERÀ QUESTO IL (SUO) DILEMMA [I
neo-centristi stanno provando a ricucire lo strappo anche se l’ex banchiere non è più giudicato essenziale] –
Dicono che sia recuperabile. Che lo strappo si possa ricucire, che resta uno utile, anche se il suo progetto è stato sconfitto. Dicono, insomma, che Corrado Passera avrà un ruolo politico anche nella prossima legislatura. Forse. Al momento le cose stanno così: l’Udc e Pier Ferdinando Casini hanno vinto, Passera ha perso, alla Camera ci saranno più liste a sostenere la candidatura a premier di Mario Monti, invece che una sola. Nella filosofia di Passera o si fa la lista unica oppure non c’è alcuna svolta nel sistema politico e continueranno a comandare i soliti partiti. E quindi il ministro dello Sviluppo non si vuole più candidare, come ha detto venerdì, nel vertice centrista, lasciando un po’ perplesso anche lo stesso Monti. Ci sarebbe poi anche la questione dell’indagine a suo carico per una sospetta evasione fiscale di banca Intesa Sanpaolo quando era amministratore delegato. Ma difficile credere che Enrico Bondi, incaricato di vagliare la situazione giudiziaria dei candidati montiani, avrebbe osato bloccare la corsa del ministro.
“CI RIPENSERÀ”, dicono dal giro montiano. Per ora Passera si limita al silenzio, in queste ore a chi gli chiede che farà da marzo risponde solo che “cercherà di fare bene il ministro fino all’ultimo giorno, ci sono decine di decreti attuativi e tavoli di crisi da gestire”. Non si registrano reazioni. Giuliano Cazzola, ex deputato Pdl tra i primi a passare con Monti, lo liquida così: “Passera è uno dei ministri più sopravvalutati di questa compagine. Se se ne va, qualcun altro prenderà il suo posto. Non è una gran perdita”. Secondo quanto racconta al Fatto un membro importante del governo, “Monti aveva un’opinione migliore di Passera prima che facesse il ministro, come banchiere lo stimava . Poi, da Professore abituato a dare i voti, ha formulato un giudizio meno lusinghiero”. Anche se il suo successore, Enrico Tomaso Cucchiani, appena arriva procede a una svalutazione da 10 miliardi di euro.
Passera aveva investito tutto sulla politica, scelta, pare, approvata e incoraggiata anche dalla moglie, Giovanna Salza. Una scelta costosa. Nel bilancio 2011 Intesa ringrazia Passera per aver guidato la banca “con autorevolezza in un periodo di eccezionali trasformazioni, garantendo stabilità patrimoniale e continuità di risultati”. Passera, per essere politicamente più appetibile, rinuncia a chiedere una buonuscita analoga a quella che Alessandro Profumo aveva strappato a Unicredit, 40 milioni di euro.
Dopo un mese di governo, su pressione del Fatto Quotidiano e di Milena Gabanelli sul Corriere della Sera, vende le azioni di Intesa che aveva ricevuto, per evitare le accuse di conflitto di interessi. Con una minusvalenza teorica di 20 milioni di euro. É il prezzo della politica e lui ne è consapevole. Ma in quei giorni tutto sembra possibile: i giornali parlano di un governo Monti-Passera, l’ex banchiere è l’unico ministro davvero forte dell’esecutivo. E si prende il suo spazio con una cascata di interviste come quella, memorabile, ad Aldo Cazzullo del Corriere l’8 gennaio 2012. Titolo: “Un decreto al mese per liberalizzare. Tasse? No, capitolo chiuso”. Le cose sono andate diversamente: non è riuscito a smaltire i pagamenti arretrati della Pubblica amministrazione, non ha rivoluzionato gli incentivi alle imprese (ma neppure Monti, che pure aveva assunto Fracesco Giavazzi per elaborare il piano), si è fatto notare più per aver difeso le grandi opere che per aver combattuto le corporazioni. Le crisi industriali più grosse, dalla Fiat all’Ilva al Sulcis, gli sono sfuggite di mano. L’ultima volta che è stato in Sardegna è dovuto fuggire in elicottero, assediato dagli operai furenti. É anche andato poco a Bruxelles, peccato questo grave nella deontologia montiana.
In un ministero che è stato feudo berlusconiano autonomo, prima con Claudio Scajola poi con Paolo Romani, faticato a smontare il sistema di potere ereditato (ha dovuto perfino assoldare Romani, suo predecessore, come consulente e ha subito diverse nomine ispirate da Gianni Letta).
MA PASSERA attribuisce la fine delle sue fortune a un momento preciso: quando ha annullato il beauty contest, la finta gara che regalava le frequenze televisive liberate dal passaggio al digitale a Rai e Mediaset. Passera è convinto che Berlusconi non gliel’abbia mai perdonato e che il distacco del Pdl dalla “strana maggioranza” dietro il governo tecnico è iniziato lì.
Di certo ad oggi Passera risulta troppo vicino agli ambienti del centrodestra (inclusi Vaticano e Cl) per essere recuperabile dal Pd. Troppo poco affidabile per essere un interlocutore del Pdl o dei suoi transfughi. E troppo ingombrante perché l’Udc e gli altri partitini gli lascino quel ruolo di responsabile dell’organizzazione della coalizione montiana cui lui ambiva. In questi mesi la sua preparazione del futuro politico si è tradotta in una prudenza eccessiva che lo ha fatto percepire come distante dal pubblico. E quindi ora il superministro si ritrova anche privo di quel consenso popolare che gli servirebbe per giocare in proprio. Se fosse un calciatore, visto il suo momento di scarsa forma, ricorderebbe Pato. L’attaccante del Milan sta per tornare in Brasile, senza gloria. Anche lui con rapporti non più sereni come una volta con la famiglia Berlusconi, lato Barbara.