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 2012  dicembre 30 Domenica calendario

OBBLIGO DI VISITARE GLI ANZIANI IL FLOP DEL COMUNISMO CINESE

[Pechino approva una legge che impone ai familiari di andare a trovare regolarmente i genitori. E chi si sente trascurato può fare causa ai figli] –
Scarseggia la carità dei privati, ma oramai nemmeno lo Stato totalitario e onnipotente è in grado di sostenere i più deboli. Così la Cina approva una legge che impone ai familiari di far visita regolare ai parenti più anziani.
Sul sito web del governo della Repubblica Popolare, fra un pacchetto di emendamenti alla legislazione per la tutela dei diritti e gli interessi delle persone anziane, compare anche la legge a favore dei nonni abbandonati, approvata dal Congresso del Popolo venerdì scorso e destinata a entrare in vigore il primo luglio 2013.
«I componenti delle famiglie che vivono lontano dagli anziani dovranno visitarli spesso», recita la nuova normativa, aggiungendo che «i datori di lavoro dovranno garantire il permesso» ad assentarsi per motivi familiari. La legge però non specifica quali siano le eventuali sanzioni per gli inadempienti né chiarisce cosa si debba intendere con l’avverbio «spesso».
Sono i canali informativi di Stato a fornire l’interpretazione corretta delle nuove disposizioni: i genitori che si sentono trascurati potranno trascinare i propri figli in tribunale per ottenere soddisfazione e un giusto risarcimento.
Il pacchetto di normative riflette il crescente problema demografico della Cina, alle prese con una popolazione sempre più anziana dopo tre decenni di politica del «figlio unico». Alla fine del 2011 in Cina vi erano più di 184 milioni di persone sopra i 60 anni di età, circa il 13,7% della popolazione. Secondo l’Onu, entro il 2050 circa il 30% dei cinesi avrà superato i 60 anni (contro il 20% della media mondiale e il 10% della Cina nel 2000).
È l’anticamera del declino, anche economico, di una potenza industriale e militare di dimensioni tali da rendere arduo il tentativo di innestare la marcia indietro.
In occasione dell’ultimo congresso del Partito comunista cinese, nel novembre scorso, il problema era emerso in tutta la sua gravità, particolarmente riguardo alla ridistribuzione della ricchezza del Paese a tutte le fasce più povere, con l’estensione delle garanzie del welfare e con il miglioramento dei salari.
A ostacolare la strada delle riforme, tuttavia, vi sono i dati sull’apparente successo del nuovo modello di sviluppo cinese. Da un lato, negli ultimi dieci anni il Pil pro capite dei cinesi è cresciuto da 1.135 a 5.432 dollari. Quel che le statistiche ufficiali non spiegano è che larghissima parte di quel benessere è andata a vantaggio delle centinaia di miliardari, tutti alti membri del Partito. È questa una delle cause, inconfessabili, per le quali, secondo molti studi economici, la Cina risulta essere il Paese che detiene il primato mondiale per la distanza maggiore fra ricchi e poveri. L’altra faccia della medaglia, infatti, indica che vi sono numerosi pensionati che vivono con 1300 yuan al mese (equivalenti a circa 130 euro) e che almeno 110 milioni di persone sono costrette a vivere con meno di 1,25 dollari al giorno, ben al di sotto della soglia della povertà.
Ecco perché, a circa un mese dal termine del Congresso del Partito comunista, sembra affiorare non tanto qualche riforma di tipo economico, che preveda aumenti di salari e pensioni, quanto un trasferimento del peso della solidarietà pubblica sui singoli. Questo deriva non dal senso di dignità e giustizia verso le persone, ma dalla necessità sempre più urgente di aumentare il consumo interno, ora che le esportazioni verso Usa ed Europa soffrono a causa della crisi globale. Perfino la legge sul figlio unico potrebbe essere ritoccata in "legge dei due figli", dato che nelle industrie del Guangdong e di Shanghai scarseggia la manodopera proveniente dai migranti, dopo decenni di controllo sulla popolazione.