Enrico Caporale, La Stampa 30/12/2012, 30 dicembre 2012
NUOVI EMIGRANTI ITALIANI CON LA LAUREA IN VALIGIA
[In 10 anni sono triplicati - dice l’Istat - quelli che lasciano il Paese dopo l’università Sono i figli della classe media,vanno in cerca di lavoro e meritocrazia. Torneranno?] –
L’ Italia non è un Paese per laureati. O almeno, non lo è più. Lo raccontano le storie che, da anni si rincorrono sui forum in rete, lo conferma il «Rapporto Istat sulle migrazioni internazionali e interne della popolazione residente», secondo cui la percentuale dei giovani laureati sugli italiani che lasciano il Paese è passata dall’11,9 per cento del 2002 al 27,6 per cento del 2011: quasi il triplo in appena dieci anni.
La meta preferita? Il Regno Unito, che accoglie l’11,9 per cento dei nostri cervelli. Subito dietro Svizzera, Germania e Francia. Ma c’è anche chi decide di attraversare l’Oceano e fare rotta verso gli Stati Uniti, il Brasile e l’Australia.
Al contrario, la quota di emigrati con titolo di studio fino alla licenza media è scesa dal 51 al 37,9 per cento. A fuggire dall’Italia, insomma, sono soprattutto i giovani con alte aspettative d’impiego. La generazione che non rinuncia ai sogni, e pur di realizzarli molla tutto: famiglia, amici, certezze.
Spulciando i numeri dell’Istat, in tempi di precariato e disoccupazione giovanile alle stelle, si scopre che a partire sono soprattutto i figli della classe media: hanno studiato, soldi sul conto corrente e, spesso, il sostegno dei genitori. Ma che cosa cercano i ragazzi in fuga dall’Italia?
Mariolina Eliantonio, 34 anni, di Pescara, ricercatrice e insegnante presso la facoltà di Giurisprudenza dell’Università di Maastricht, non ha dubbi: lavoro, meritocrazia e senso civico. «In Italia la carriera universitaria è impossibile, tutti sanno che le selezioni per i dottorati non sono trasparenti. E non parliamo dell’avvocatura, per anni non vedi un soldo. In Olanda, invece, ho trovato rispetto e solidarietà sociale. Qui lo Stato non è percepito come un’entità estranea che chiede tasse e non restituisce. Il senso di comunità è molto forte. Se tornerei indietro? Assolutamente no».
Le statistiche le danno ragione. L’Istat rivela che il numero di italiani che nell’ultimo decennio si è iscritto dall’estero nel registro dei residenti è diminuito da oltre 35 mila a 22 mila. Non regge più neppure la metafora del «New York Magazine» sulla generazione boomerang. Si parte, non si torna.
E per chi ci prova la delusione è dietro l’angolo. Stefano ha una laurea in ingegneria nel cassetto, ma gli unici impieghi che ricorda sono quelli estivi. «Raccoglievo mele in Val di Non, ho fatto anche il bagnino». Gli sfoghi sui forum raccontano storie di eccellenza e paura. Un mix pericoloso.
«Mi sono laureato nel marzo 2010 in Economia e a luglio dello stesso anno mi sono trasferito in Gran Bretagna per fare un master. Speravo di migliorare il mio profilo professionale e curriculare. Sono tornato a settembre e ho ricevuto qualche offerta, ma poi tutti mi hanno chiuso una porta in faccia», dice un utente nascosto dietro il nickname Pablo81. E allora via, di nuovo fuori dai confini, a caccia di un posto all’altezza.
Per evitare la delusione di Dario78, sette mesi in uno studio legale a Ginevra, che ora sta con mamma a una manciata di chilometri da Torino. «Giro in bici con gli amici di quando avevo 15 anni - sorride-. Prospettive? Una collaborazione in nero la mattina e il calcetto la sera».