Raffaello Masci, La Stampa 30/12/2012, 30 dicembre 2012
“L’EFFETTO MONTI PUÒ VALERE FINO AL 20%”
[Dopo la “salita” in politica del premier e di Antonio Ingroia i sondaggisti si interrogano sul loro peso nelle urne In entrambi i casi resta un dubbio: eroderanno il consenso altrui o convinceranno parte dell’elettorato indeciso?] –
Bersani non solo vince, ma si ritrova un «elettorato gasato dall’odore della vittoria» (definizione di Antonio Noto, di Ipr marketing), che difficilmente si farà distogliere dai richiami che possono venire sia da Ingroia, a sinistra, sia da Monti, al centro. Tuttavia - dicono i maggiori esperti di sondaggi - l’arrivo sulla piazza elettorale di questi due nuovi soggetti, qualche scombussolamento lo determina. Non foss’altro che per il mero riposizionamento di una parte dell’elettorato.
«Ingroia per ora non esiste - dice il politologo Roberto D’Alimonte - mentre diversa è la condizione di Monti: sto ancora studiando i dati e non vorrei esprimermi nel dettaglio, ma dico solo che le aspettative per il premier sono molto lusinghiere». E poi il politologo fa un numero: «Può arrivare al 20% con la sua coalizione erodendo qualcosa un po’ a tutti».
Un ragionamento più articolato lo fa Antonio Noto: «Ingroia non sfonda. Intorno a lui si raccoglieranno le frange disperse della sinistra e dei movimenti ecologisti, oltre a ciò che resta dell’Idv. Noi diamo Di Pietro al 2%, la Federazione della sinistra e i Verdi entrambi tra il 1,5 e 2 per cento. La platea di Ingroia è quella lì, oltre non va». Se vogliamo tradurre questa valutazione in numeri, Noto ritiene che non andrà oltre «il 4% e questo significa che alla Camera potrà forse entrare, ma al Senato, dove serve l’8% assolutamente no. A meno che non punti ad una alleanza con Grillo». Anche secondo il sociologo Renato Mannheimer «Ingroia pesca dove può pescare, cioè nell’estrema sinistra e non raccoglierà nessun voto che già non appartenesse a quest’area. Con la sua discesa nell’agone la situazione resta identica e il suo sarà un piccolo partito e basta».
Diversa è la situazione per Monti. «Lui è un leader forte - dice Noto - gli altri suoi alleati molto meno. Tant’è che noi diamo la sua lista da sola (al Senato) al 10%, mentre la coalizione alla Camera potrebbe arrivare a un 15%, quindi i suoi alleati non portano più del 5%». Però Monti è un problema per il centrosinistra: è da lì che pesca, dai moderati di area ex Margherita e cattolici. «Il 65% di quelli che votano Monti - aggiunge Noto - se non ci fosse stato lui avrebbero votato Bersani».
Tuttavia il Professore non ha alcuna possibilità di aggregare una maggioranza. «Può sperare di arrivare al massimo al 20% - dice Renato Mannheimer -, ma deve essere molto bravo e soprattutto deve far dimenticare che abbiamo appena pagato l’Imu. Non credo che intaccherà il bacino di Bersani più di tanto, ma si rivolgerà soprattutto alla fascia degli indecisi che ora è del 40%. Se ad astenersi dovesse essere un 25%, resta un 15% da conquistare e lì deve lavorare Monti. Con un temibile avversario, però, il supercomunicatore Berlusconi, che a quella stessa platea si rivolge. Ricordiamoci che il Pdl è ora dato al 18% e il loro obiettivo è di arrivare almeno al 22%».
Tuttavia, che vinca o che solo si affermi, il fatto nuovo di queste elezioni secondo il massmediologo Mario Morcellini - è proprio il Professore, ripagato dal fatto «di non aver legato troppo strettamente il suo nome a soggetti politici già esistenti, cosa che gli farebbe perdere quella dimensione super partes guadagnata finora». D’altronde, conclude Morcellini «in questa campagna elettorale chiunque produrrà segni di cambiamento, anche retorici, anche solo legati alla dimensione semantica, Grillo compreso, che ha già lucrato abbastanza sul suo nome, sarà destinato a ingrossare i propri consensi. Al contrario i partiti che riproporranno la stessa tipologia di comunicazione e la medesima dichiarazione di identità faticheranno molto».