Stefano Lepri, La Stampa 30/12/2012, 30 dicembre 2012
UN FISCO TRA EQUITÀ ED EFFICIENZA
Se il carico fiscale difficilmente potrà scendere, in tutti i Paesi avanzati, è ovvio che si inasprisca la lotta su come ripartirlo. Dal «fiscal cliff» americano alla nostra campagna elettorale, il nodo è lì. La sentenza di ieri del Consiglio Costituzionale francese contiene un insegnamento anche per noi, seppur non quello che sembra a prima vista.
L’aliquota di imposta al 75% sui redditi oltre il milione di euro non è stata bocciata perché troppo alta: in democrazia nessuna Corte Costituzionale può giudicare su questo aspetto, che è di competenza dei Parlamenti. E’ stata bocciata perché produce effetti perversi, di ineguaglianza, combinandosi con il «quoziente familiare» da tempo in vigore in Francia.
Non per questo cade la duplice questione che al di là delle Alpi fa discutere, se il 75% sia troppo o no in linea di principio, e se una aliquota così elevata non sia nella pratica controproducente. Dovunque nel mondo, quando si parla di tasse, occorre sempre tener presenti entrambe le facce della medaglia: l’equità e l’efficienza.
Di solito la sinistra guarda solo alla prima, la destra solo alla seconda, ed entrambe spesso finiscono per non trovare nemmeno ciò che cercano.
Poi ci sono i populisti che non si interessano né di equità né di efficienza perché cercano solo slogan da agitare: prendono il tributo che sembra più impopolare, e gridano che vogliono abolirlo.
Certo si litigherebbe meno se fosse possibile abbassare le tasse a tutti. Questo è improbabile ovunque. Germania e Olanda ne sarebbero in grado, ma preferiscono evitarlo perché con una popolazione che invecchia vogliono pensare al futuro. Altrove il carico di debiti è troppo alto, dunque sarebbero necessari tagli drastici alle spese pubbliche. Con un paradosso solo apparente questo sembra più facile negli Usa, dove il welfare è diretto soprattutto ai poveri, rispetto all’Italia dove di una spesa pubblica molto più alta beneficiano largamente i ceti medi.
In Italia l’urgenza prima, di pulizia, è ridurre la discrezionalità della politica nel distribuire la spesa. Quanto al carico fiscale, data la situazione dobbiamo limitarci a discutere su come può essere meglio distribuito. Le ragioni dell’equità ci dicono che occorre chiedere a chi più ha, e nel nostro Paese i patrimoni sono più sperequati dei redditi. Le ragioni dell’efficienza ci dicono che occorre sgravare i fattori concreti della produzione, ovvero il lavoro e l’impresa.
Una verifica incrociata degli obiettivi conferma. Non danneggia l’efficienza colpire i patrimoni, non danneggia l’equità sgravare lavoro e impresa. Al contrario, una aliquota alla Hollande sui redditi più elevati non è nemmeno comparsa nel dibattito, poiché da noi molti redditi evadono l’Irpef o non vi sono soggetti. Equità ed efficienza insieme spingono a detassare il lavoro delle donne, mentre il quoziente familiare lo scoraggia.
L’agenda Monti ha il merito di mostrare che l’imposizione sui patrimoni non è soltanto una mania delle sinistre. Il governo dei tecnici ha già colpito sia il grosso dei patrimoni immobili (la casa), sia i patrimoni mobili attraverso la tassa sulle transazioni finanziarie. Sui secondi il prelievo è stato alquanto più basso perché possono fuggire all’estero.
Non sarà facile andare oltre: i capitali appunto possono emigrare, mentre altre ricchezze immobili al fisco non sono note. Così pure non sarà facile, per trovare risorse a beneficio di lavoro e impresa, colpire i consumi senza danneggiare né i deboli né il ceto medio. Ma di questo, e non di altro, è bene che si discuta.